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Nello specchio del Grand-Tour: Johann Zoffany e la “Tribuna” degli Uffizi tra realtà e finzione

Oggetto del presente lavoro è il dipinto “La Tribuna degli Uffizi”, cui lavorò tra il 1772 e il 1778 Johann Zoffany, pittore tedesco ma inglese di adozione.
L’opera, un caleidoscopio di capolavori d’arte dell’antichità e dell’età moderna, raffigura la Tribuna Buontalentiana degli Uffizi; uno scrigno di tesori all’interno della “Real Galleria”, luogo ammirato in tutta Europa e meta privilegiata dei viaggiatori del Grand Tour. In essa Zoffany inserisce uno stuolo di gentiluomini inglesi, intenti ad osservare i dipinti, le sculture, i bronzetti che la Tribuna racchiude; opere “native”, e opere che in essa non erano mai entrate, se non grazie alla fantasia del pittore.
Con tale lavoro ci si propone di analizzare e confrontare la Tribuna “reale” e la Tribuna “dipinta”, andando a ricercare in quest’ultima aspetti peculiari del collezionismo mediceo, e degli usi museologici del tempo.
Il primo capitolo prende in esame la Tribuna “reale”; si apre tracciando una linea che parte dalla sua realizzazione alla fine del Cinquecento, si snoda attraverso le vicissitudini che ne determinarono i mutamenti al suo interno, non dimenticando gli uomini che ne furono protagonisti: Francesco I de’ Medici e Bernardo Buontalenti, rispettivamente committente e realizzatore di questo “scrigno delle meraviglie”, in primis.
Dopo questa delineazione storica, si passa alla delineazione letteraria : la Tribuna attraverso le descrizioni avvicendatesi nei secoli nella letteratura artistica, dalle guide di Firenze ai trattati d’arte. L’ultima tappa di questa prima parte sono gli usi e costumi nella Galleria degli Uffizi nella seconda metà del Settecento, soffermandosi in particolare sulle regole per l’accesso del pubblico e sui visitatori.
Il secondo capitolo tratta dell’artefice della Tribuna “dipinta”, Johann Zoffany, dalla sua nascita nel 1734 nei pressi di Francoforte, alla sua formazione tra Regensburg e Roma, fino al successo in Inghilterra. A tale successo fece da cornice la corte del re d’Inghilterra Giorgio III e della sua consorte, Carlotta di Meclemburgo, committenti del dipinto in esame.
A conclusione del capitolo, con la funzione di ponte di collegamento tra questo e il terzo, vi è la descrizione dei rapporti che erano intercorsi, e che intercorrevano ai tempi dello Zoffany, tra Inghilterra e Firenze; rapporti che erano non solo di natura politico-economica (la Toscana costituiva per la corona inglese un avamposto privilegiato per i commerci nel Mediterraneo), ma anche culturali: Firenze, culla del Rinascimento e museo a cielo aperto, era una delle tappe obbligate per i gentiluomini inglesi, e non solo, che partivano alla volta del Grand Tour.
Arriviamo, infine, al terzo capitolo, cuore di questo lavoro, in cui si esamina da vicino la Tribuna “dipinta”, approfondendone progressivamente le tematiche peculiari. Si inizia delineando le vicende biografiche dell’opera: la sua commissione per volere dei reali inglesi, il soggiorno fiorentino del suo autore, le fasi e vicende esecutive.
La seconda parte mette a fuoco e opera un confronto tra le opere definite “native”, ossia facenti parte della decorazione della sala ai tempi in cui dipinge lo Zoffany, e tra le opere cosiddette “forestiere”, perché non facenti realmente parte dell’allestimento.
L’ultimo passo è la messa a fuoco di un’importante aspetto del collezionismo mediceo, a partire da un’opera ritratta. L’opera in questione è la Chimera bronzea, ritrovata ai tempi di Cosimo I (1553) nel corso di scavi nei dintorni di Arezzo, e subito portata a Firenze a Palazzo Vecchio. La Chimera, animale mitico del mondo etrusco, allude all’interesse per la cultura etrusca; un vero e proprio mito, in cui andare a ricercare le origini di Firenze. Di questo intento, la Chimera di Arezzo divenne l’emblema, a testimoniare la vittoria del Granduca “su tutte le fiere” (Vasari, Ragionamenti, 1588).


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5 Introduzione Oggetto del presente lavoro è il dipinto “La Tribuna degli Uffizi”, cui lavorò tra il 1772 e il 1778 Johann Zoffany, pittore tedesco ma inglese di adozione. L’opera, un caleidoscopio di capolavori d’arte dell’antichità e dell’età moderna, raffigura la Tribuna Buontalentiana degli Uffizi; uno scrigno di tesori all’interno della “Real Galleria”, luogo ammirato in tutta Europa e meta privilegiata dei viaggiatori del Grand Tour. In essa Zoffany inserisce uno stuolo di gentiluomini inglesi, intenti ad osservare i dipinti, le sculture, i bronzetti che la Tribuna racchiude; opere “native”, e opere che in essa non erano mai entrate, se non grazie alla fantasia del pittore. Con tale lavoro ci si propone di analizzare e confrontare la Tribuna “reale” e la Tribuna “dipinta”, andando a ricercare in quest’ultima aspetti peculiari del collezionismo mediceo, e degli usi museologici del tempo. Il primo capitolo prende in esame la Tribuna “reale”; si apre tracciando una linea che parte dalla sua realizzazione alla fine del Cinquecento, si snoda attraverso le vicissitudini che ne determinarono i mutamenti al suo interno, non dimenticando gli uomini che ne furono protagonisti: Francesco I de’ Medici e Bernardo Buontalenti, rispettivamente committente e realizzatore di questo “scrigno delle meraviglie”, in primis. Dopo questa delineazione storica, si passa alla delineazione letteraria : la Tribuna attraverso le descrizioni avvicendatesi nei secoli nella letteratura artistica, dalle guide di Firenze ai trattati d’arte. L’ultima tappa di questa prima parte sono gli usi e costumi nella Galleria degli Uffizi nella seconda metà del Settecento, soffermandosi in particolare sulle regole per l’accesso del pubblico e sui visitatori. Il secondo capitolo tratta dell’artefice della Tribuna “dipinta”, Johann Zoffany, dalla sua nascita nel 1734 nei pressi di Francoforte, alla sua

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