Un'indagine su equità, diseguaglianza e crescita economica
Nel corso dell’ultimo quarto di secolo, la distribuzione delle risorse economiche tra gli individui e tra le nazioni, è tornata a rappresentare una questione cruciale tanto nel dibattito politico nazionale quanto sulla scena delle relazioni internazionali, ma anche l’oggetto di un rinnovato interesse da parte della comunità scientifica.
L’approccio alle questioni distributive appare completamente rivoluzionato: la diseguaglianza non viene più letta come l’esito dell’interazione di altre variabili fondamentali, ma acquista la dignità di protagonista delle dinamiche economiche, causa ed effetto al tempo stesso di tutta una serie di fattori, le scelte degli agenti, il progresso tecnologico, la crescita del prodotto, il ruolo svolto dalle istituzioni e le politiche da esse implementate.
Partendo dal presupposto che non è possibile parlare del modo in cui la ricchezza di una collettività è distribuita tra i suoi membri, senza chiedersi se quel determinato assetto distributivo sia giusto o ingiusto, equo o iniquo, il primo capitolo è dedicato alle più importanti teorie della giustizia sociale, che nel corso dei secoli hanno forgiato l’idea di diseguaglianza e la sua presunta soglia di accettabilità nel pensiero delle persone e negli indirizzi politici dei governi che le rappresentano. La prima tappa del nostro viaggio ideale è stata, dunque, un’immersione nell’aspetto normativo della questione distributiva.
Passando in rassegna lepiù importanti linee di pensiero dell’etica economica e sociale, dall’utilitarismo al libertarismo, dal pensiero di Marx all’egualitarismo liberale di Rawls, si è cercato di mettere in luce in che modo ciascuna di esse abbia contribuito al dibattito sulla giustizia sociale, fornendo le premesse etiche e filosofiche per lo sviluppo di nuove teorie e di nuovi concetti di equità e di benessere. E’ d’obbligo, a questo proposito, il riferimento in particolare al noto approccio delle capabilities di Amartya Sen, che oltre ad essergli valso il premio Nobel, è diventato l’asse portante di tutta la letteratura recente sulla giustizia distributiva.
Prescindendo dalla differenze riguardanti la propensione all’altruismo, il concetto personale di merito e di bisogno o il colore delle preferenze politiche individuali, al giorno d’oggi la connotazione negativa attribuita alla presenza di diseguaglianze (o, per lo meno, di eccessive diseguaglianze) nelle nostre società può ritenersi un’idea largamente accettata. La diseguaglianza, in quanto tale, viola infatti il senso di giustizia individuale, gli insegnamenti della maggior parte delle più importanti filosofie politiche e i precetti delle grandi religioni della terra, nonchè l’universalità del riconoscimento dei diritti umani fondamentali, sul quale si impernia il sistema di valori comuni che è auspicabile diventino il cemento della moderna comunità globale. Il dibattito sulla giustizia sociale del terzo millennio, quindi, non può e non deve più essere incentrato sulla contrapposizione tra fautori e non di una maggior equità distributiva, bensì sull’individuazione di un concetto di eguaglianza, che sia al tempo stesso praticamente realizzabile e il più largamente condiviso possibile: compito quest’ultimo tutt’altro che semplice per due ragioni fondamentali. Da una parte, si potrebbe incorrere nel rischio di minimizzare le ricadute sociali della diseguaglianza economica, e quindi il problema in sè, enfatizzando quella parte delle disparità dei redditi e delle ricchezze attribuibile alle differenze nei gusti e nelle scelte personali o semplicemente al caso, fattori che invece sono in grado di spiegare soltanto una minima parte della diseguaglianza e della povertà osservabili. Dall’altra, preso atto del fatto che le ingiustizie distributive caratteristiche del nostro tempo sono ben lontane dall’essere meramente l’esito delle decisioni e delle preferenze individuali (diseguaglianza dei risultati), ci si ritrova, però, a dover definire un concetto piuttosto astratto ed elusivo quale è quello di diseguaglianza delle opportunità.
Tuttavia, al di là dalla definizione stessa del concetto di opportunità e delle sue determinanti (i beni primari di Rawls, le capabilities di Sen o le caratteristiche innate, individuate da Dworkin e da Roemer, per le quali gli individui non possono essere ritenuti responsabili), riteniamo sia importante sottolineare come proprio l’evoluzione delle teorie della giustizia sociale abbia contribuito a spostare progressivamente l’attenzione dai risultati alla opportunità.
Oggi ogni cittadino, ogni comunità, ogni policy maker, abbracciando una determinata idea di giustizia sociale, ha infatti una propria peculiare visione di cosa sia necessario affinchè siano garantite a tutti e indistintamente eguali opportunità.
Il segnale più forte di novità viene forse dall’ultimo World Development Report della Banca Mondiale (2006), nel quale si riconosce l’importanza intrinseca dell’equità.
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Informazioni tesi
Autore: | Valentina Tageo |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 2005-06 |
Università: | Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano |
Facoltà: | Economia |
Corso: | Economia e Commercio |
Relatore: | Andrea Boitani |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 178 |
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