Modelli di persistenza dei profitti
In questo lavoro mi occupo dei modelli di persistenza dei profitti. Tali modelli partono dal presupposto che un mercato in cui si registrano tassi di profitto superiori (od inferiori) alla media siano mercati poco concorrenziali. Infatti, si ritiene che in un’economia dinamica le differenze dei tassi di profitto dalla media del settore scompaiano più velocemente rispetto a mercati meno dinamici.
L’approccio teorico su cui poggia tale metodo empirico è l’equilibrio economico di lungo periodo di matrice neoclassica, secondo il quale il profitto è il prezzo di un fattore produttivo uguale per tutti gli operatori del mercato. Per cui, è esclusa, nel lungo periodo, la presenza di differenziali nei tassi di profitto.
L’evidenza empirica relativa al mondo reale, tuttavia, mostra un grado non trascurabile nella persistenza dei tassi di profitto.
I modelli di persistenza dei profitti non sempre giungono a risultati univoci. Tuttavia, restano un efficace strumento per stimare il grado di concorrenzialità di un settore.
Questi tipi di modelli si prestano anche alla misurazione della possibilità che un’impresa ha di difendere un vantaggio competitivo. L’ipotesi, in questo caso, è che la presenza di differenziali nei tassi di profitto indichi maggiore capacità dell’impresa a mantenere, nel tempo, una posizione di vantaggio rispetto ai propri concorrenti.
I modelli di persistenza dei profitti consentono di esaminare le motivazioni della presenza di imprese sistematicamente sotto e sopra la media dei profitti del settore. La letteratura di economia industriale è sempre stata legata ad un approccio asimmetrico, perchè sono le imprese che realizzano profitti superiori alla media quelle che preoccupano maggiormente le autorità antitrust. Scarsa attenzione hanno ricevuto le imprese sotto la media, anche se si deve tenere presente che il grado di concorrenzialità di un sistema dipende anche dalla capacità di eliminare i soggetti inefficienti, o altrimenti fornire stimoli affinchè queste ultime raggiungano risultati migliori.
Il lavoro è strutturato nel modo seguente.
Nel primo capitolo sono fornite le informazioni di carattere generale utili ad inquadrare le argomentazioni dal punto di vista teorico ed empirico. Vengono brevemente ricordati il paradigma “struttura – comportamento – risultati” e le sue evoluzioni teoriche. Sono anche esposti alcuni cenni di carattere generale sui metodi previsionali, utili all’analisi dei mercati in cui l’impresa opera.
Nel secondo capitolo si definiscono i principali riferimenti teorici che permettono di inquadrare il fenomeno della persistenza dei profitti, partendo dalla teoria neoclassica, fino agli approcci più recenti, passando per la teoria dei mercati contendibili, punto di partenza teorico dell’analisi della persistenza dei profitti.
Nel terzo capitolo si definiscono i principali modelli empirici con i quali si è cercato di affrontare il problema della persistenza dei profitti. Si evidenziano i difetti derivanti dalla loro applicazione, i problemi relativi alla scelta dei dati e le variabili determinanti il grado di concorrenzialità di un settore. Infine, vengono date alcune indicazioni sui risultati empirici raggiunti applicando i modelli di persistenza dei profitti ai dati di alcune importanti economie mondiali.
Il quarto capitolo, dopo avere esposto il fenomeno dei gruppi di impresa, averne definito le tipologie e le possibili spiegazioni dell’esistenza, commenta i risultati raggiunti con l’applicazione del modello di persistenza ad una unità di analisi che non è la singola impresa, ma il gruppo stesso.
Le conclusioni riassumono e commentano i principali risultati.
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Informazioni tesi
Autore: | Riccardo Chiaramonte |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 2001-02 |
Università: | Università degli Studi di Catania |
Facoltà: | Economia |
Corso: | Economia e Commercio |
Relatore: | Roberto Cellini |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 94 |
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