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Job turnover e struttura finanziaria d'impresa. Analisi empirica su un panel di imprese.

Sino all’avvento del primo shock petrolifero nel 1973, il tasso di disoccupazione nei Paesi appartenenti alla Comunità Europea (ora Unione Europea) rimaneva contenuto al di sotto della soglia del tre per cento, mantenendosi quindi in linea a tassi considerati di disoccupazione strutturale o naturale, seguendo la definizione data dall’economista Friedman; successivamente, dalla metà degli anni Settanta, il tasso di disoccupazione è bruscamente aumentato, toccando, nel 1985, un picco pari all’undici per cento, sino ad allora inimmaginabile.
Negli anni successivi, nonostante si sia assistito ad un parziale riassorbimento di questo fenomeno, sceso sino alla fine del decennio all’otto per cento, i tassi di disoccupazione sono tornati a crescere prepotentemente sotto la spinta di un forte periodo recessivo che sembra essere ormai terminato, ma che ha portato più di un lavoratore su dieci nell’UE ad essere in cerca di un posto di lavoro. Questo notevole incremento verificatosi nei livelli e nei tassi di disoccupazione, è quindi naturalmente divenuto uno dei principali argomenti di indagine per gli economisti ed una sorta di rompicapo per i policy-makers.
Quotidianamente sempre più esperti si interrogano sulle cause che hanno provocato questa impennata dei tassi di disoccupazione, allo scopo di riuscire a determinare metodi in grado di ridurre almeno parte di quella che oramai in Europa viene definita come una vera e propria “piaga sociale”: un fenomeno che coinvolge direttamente i diciotto milioni di disoccupati che risiedono nell’Unione Europea e, indirettamente, buona parte di tutta la popolazione. Negli Stati Uniti si sono verificati bruschi aumenti nell’andamento dei tassi di disoccupazione negli anni 1975-77, 1980-83 e 1991-93, a cui tuttavia sono seguiti periodi di espansione economica che hanno riassorbito i precedenti incrementi; sembra inoltre che la piaga della disoccupazione sia stata quasi completamente debellata negli ultimi mesi (le ultime stime pubblicate sui quotidiani parlano di tassi di disoccupazione inferiori al cinque per cento ). In netto contrasto la situazione nei Paesi appartenenti all’U.E., ove la disoccupazione non solo permane, ma anzi sembra aumentare nonostante i cicli economici espansivi: sembra infatti che l’attuale ripresa economica non sia in grado di riassorbire l’enorme mole di disoccupati, a differenza di quello che accade negli altri Paesi appartenenti all’OECD.
Ci chiediamo quindi cosa possa accomunare i Paesi appartenenti all’Unione Europea, distinguendoli dalle restanti nazioni del mondo industrializzato appartenenti all’OECD.

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CAPITOLO I DISOCCUPAZIONE E TEORIE ECONOMICHE 1. PANORAMA SULLA DISOCCUPAZIONE Sino all’avvento del primo shock petrolifero nel 1973, il tasso di disoccupazione nei Paesi appartenenti alla Comunità Europea (ora Unione Europea) rimaneva contenuto al di sotto della soglia del tre per cento, mantenendosi quindi in linea a tassi considerati di disoccupazione strutturale o naturale, seguendo la definizione data dall’economista Friedman; successivamente, dalla metà degli anni Settanta, il tasso di disoccupazione è bruscamente aumentato, toccando, nel 1985, un picco pari all’undici per cento, sino ad allora inimmaginabile. Negli anni successivi, nonostante si sia assistito ad un parziale riassorbimento di questo fenomeno, sceso sino alla fine del decennio all’otto per cento, i tassi di disoccupazione sono tornati a crescere prepotentemente sotto la spinta di un forte periodo recessivo che sembra essere ormai terminato, ma che ha portato più di un lavoratore su dieci nell’UE ad essere in cerca di un posto di lavoro. Questo notevole incremento verificatosi nei livelli e nei tassi di disoccupazione, è quindi naturalmente divenuto uno dei principali argomenti di indagine per gli economisti ed una sorta di rompicapo per i policy-makers. Quotidianamente sempre più esperti si interrogano sulle cause che hanno provocato questa impennata dei tassi di disoccupazione, allo scopo di riuscire a determinare metodi in grado di ridurre almeno parte di quella che oramai in Europa viene definita come una vera e propria “piaga sociale”: un fenomeno che coinvolge direttamente i diciotto milioni di disoccupati che risiedono nell’Unione Europea e, indirettamente, buona parte di tutta la popolazione. Inoltre, come appare nel grafico 1.1, questi dati rispecchiano una situazione che si rivela essere in netto contrasto con altri Paesi anche a noi vicini quali Austria, Svizzera e Paesi Nordici e, in generale, con gli altri Paesi Europei che non aderiscono all’Unione Europea. Anche in Giappone le autorità di politica economica sono riuscite a mantenere questo incremento della disoccupazione entro i limiti del due, tre per cento nel corso di tutti questi anni, sebbene i dati più recenti, risalenti a marzo 1998, parlino di “[…] tassi pari al 3,9% della popolazione attiva – un record assoluto da quando nel 1953 è iniziata la rilevazione del dato – a causa del circolo vizioso, evidenziato dagli analisti, taglio di posti di lavoro e contrazione dei consumi” [Il Sole 24 Ore (1998)]. Negli Stati Uniti si sono verificati bruschi aumenti nell’andamento dei tassi di disoccupazione negli anni 1975-77, 1980-83 e 1991-93, a cui tuttavia sono seguiti periodi di espansione economica che hanno riassorbito i precedenti incrementi; sembra inoltre che la piaga della disoccupazione sia stata quasi completamente debellata negli ultimi mesi (le ultime stime pubblicate sui quotidiani parlano di tassi di disoccupazione inferiori al cinque per cento 1 ). In netto contrasto la situazione nei Paesi appartenenti all’U.E., ove la disoccupazione non solo permane, ma anzi sembra aumentare nonostante i cicli economici espansivi: sembra infatti che l’attuale ripresa economica non sia in grado di riassorbire l’enorme mole di disoccupati, a differenza di quello che accade negli altri Paesi appartenenti all’OECD. Ci chiediamo quindi cosa possa accomunare i Paesi appartenenti all’Unione Europea, distinguendoli dalle restanti nazioni del mondo industrializzato appartenenti all’OECD. In seguito all’avvento del primo shock petrolifero, a livello mondiale si è assistito ad un rapido incremento nei prezzi del petrolio e nei tassi di disoccupazione. Nel 1980, in risposta al secondo shock petrolifero, i paesi attuano politiche monetarie molto restrittive (inizialmente negli Stati Uniti, di riflesso in Europa) che in realtà hanno contribuito ad aumentare la disoccupazione. Durante l’ultima recessione del 1992, per la prima volta dalla fine della 1 Si veda, tra gli altri, “The Economist”, April 18 th -24 th , page 112.

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Informazioni tesi

  Autore: Cristian Galizzi
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 1997-98
  Università: Università degli Studi di Bergamo
  Facoltà: Economia
  Corso: Economia e Commercio
  Relatore: Annalisa Cristini
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 138

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disoccupazione
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