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Il disturbo borderline di personalità. Evoluzione e comprensione della diagnosi, delle definizioni e dei trattamenti

Il Disturbo Borderline di Personalità, noto al grande pubblico per l’interpretazione data in pellicole come “Ragazze interrotte” (Mangold, 1999) o “Shame” (McQueen, 2011), affliggerebbe tra l’1 e il 2% della popolazione (Oldham, 2004), ma secondo una ricerca (Grant, Chou, Goldstein, 2008) potrebbe oscillare intorno al 5 e 6%, per la precisione con il 5,6% per gli uomini e il 6,2% per le donne. Ne deriva una certa diffusione della sua definizione, una sorta di conoscenza superficiale generalizzata e che sfocia sovente in una stigmatizzazione verso i soggetti affetti dal disturbo, in quanto questo si manifesterebbe con una predisposizione alla rabbia, a comportamenti emotivi “eccessivi” e in generale si procede a bollare tali individui come inaffidabili (cosa comune a molte diagnosi di disturbi della personalità). Basta digitare la parola “Borderline” sulla barra di ricerca di un social network per ricevere decine di risposte, mentre troviamo migliaia di risultati indicizzati nei motori di ricerca per “disturbo borderline di personalità”.
Insomma, possiamo dire che il “grande pubblico” conosce l’espressione “disturbo borderline di personalità”.
In questa tesi approfondiremo la conoscenza di questo disturbo, ne comprenderemo eziologia e fattori di rischio, ma soprattutto ci concentreremo sulla possibilità di lavorare con terapie mirate.
Capiremo inoltre come sta cambiando il dibattito scientifico sui disturbi di personalità e come questa esplorazione necessiti di un approccio innovativo.
Useremo il punto di vista di diversi eminenti autori, tra cui posso dire di aver notato in particolare il contributo della dottoressa Marsha Linhean. Il suo caso è emblematico perché proprio questa ricercatrice fu ricoverata in un reparto psichiatrico per questo disturbo, e tale
esperienza la spronò a cercare una soluzione per non dover soffrire ancora di quello stato mentale così debilitante e che induceva un dolore che era incapace di comunicare. Questa incapacità non faceva altro che aumentare la sofferenza della giovane e la sofferenza la isolava, esponendola alle conseguenze della sua condizione, e chi è affetto da DBP vive in una simile spirale che rende inclini a gesti autodistruttivi.
Però, proprio come dimostra la storia della Linhean, esiste una possibile “luce alla fine del tunnel” e la percorreremo in questa tesi.

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1.3.1 L’esperimento di Harlow sull’attaccamento con le scimmmie Rhesus Nel primo volume di Attaccamento e Perdita, Bowlby analizza gli esperimenti fatti su scimmie e primati, animali con cui sono state riscontrate alcune affinità comportamentali con l’uomo. In particolare, le osservazioni e gli esperimenti di Harlow hanno attirato l’attenzione di Bowlby perché si ritrovano alcune particolarità nella relazione madre-cucciolo che hanno contribuito alla definizione del comportamento di attaccamento: questo sarebbe il risultato di una “ricerca e mantenimento della vicinanza di un altro individuo”, per cui i giovani primati sono indubbiamente propensi ad aggrapparsi per cercare sicurezza soprattutto con un unico individuo, distinguendolo da qualunque altro membro della famiglia o della colonia. Anche i cuccioli di primati o scimmie di poche settimane, quando sentono di perdere la presa sulla madre (a cui si aggrappano istintivamente) o quando questa per qualche motivo è lontana anche di pochi metri, iniziano a lamentarsi ed è la madre a stringerli in queste occasioni; il cucciolo, in capo a qualche mese, inizierà esplorazioni autonome e poi diventerà indipendente nella pubertà. Utilizzando una specie di macaco indiano, la scimmia Rhesus, Harlow analizzò i comportamenti delle scimmie in cattività e private di un genitore, riscontrando comportamenti anomali una volta divenuti adulti come l’incapacità relazionale o la ricerca di un partner. Le scimmie senza una figura di attaccamento si disinteressavano dei propri simili e si mostravano più timorose nell’esplorazione. Laddove si fosse poi usato un surrogato di figura d’attaccamento, ecco che le scimmie dimostravano di avere meno difficoltà nell’esplorazione o nell’interazione con altri individui. All’interno della gabbia di alcune scimmie, Harlow fece sistemare due strutture, una ricoperta di un panno caldo, e una invece con un 14

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cognitivo - comportamentale
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