1.3.1 L’esperimento di Harlow sull’attaccamento con le
scimmmie Rhesus
Nel primo volume di Attaccamento e Perdita, Bowlby analizza
gli esperimenti fatti su scimmie e primati, animali con cui sono state
riscontrate alcune affinità comportamentali con l’uomo. In particolare,
le osservazioni e gli esperimenti di Harlow hanno attirato l’attenzione
di Bowlby perché si ritrovano alcune particolarità nella relazione
madre-cucciolo che hanno contribuito alla definizione del
comportamento di attaccamento: questo sarebbe il risultato di una
“ricerca e mantenimento della vicinanza di un altro individuo”, per cui i
giovani primati sono indubbiamente propensi ad aggrapparsi per
cercare sicurezza soprattutto con un unico individuo, distinguendolo
da qualunque altro membro della famiglia o della colonia. Anche i
cuccioli di primati o scimmie di poche settimane, quando sentono di
perdere la presa sulla madre (a cui si aggrappano istintivamente) o
quando questa per qualche motivo è lontana anche di pochi metri,
iniziano a lamentarsi ed è la madre a stringerli in queste occasioni; il
cucciolo, in capo a qualche mese, inizierà esplorazioni autonome e poi
diventerà indipendente nella pubertà.
Utilizzando una specie di macaco indiano, la scimmia Rhesus,
Harlow analizzò i comportamenti delle scimmie in cattività e private di
un genitore, riscontrando comportamenti anomali una volta divenuti
adulti come l’incapacità relazionale o la ricerca di un partner. Le
scimmie senza una figura di attaccamento si disinteressavano dei
propri simili e si mostravano più timorose nell’esplorazione.
Laddove si fosse poi usato un surrogato di figura
d’attaccamento, ecco che le scimmie dimostravano di avere meno
difficoltà nell’esplorazione o nell’interazione con altri individui.
All’interno della gabbia di alcune scimmie, Harlow fece sistemare due
strutture, una ricoperta di un panno caldo, e una invece con un
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biberon: voleva osservare verso quale delle due figure il soggetto
avrebbe mostrato attaccamento, e anziché preferire quella che
provvedeva al nutrimento col biberon, questa preferiva restare
aggrappata alla figura che trasmetteva morbidezza e calore. Anche
utilizzando un semplice panno e lasciandolo dentro la gabbia, le
scimmie vi si aggrappavano e diventavano violente o catatoniche in
sua assenza (ad esempio quando si doveva ripulire la gabbia).
Da qui si poté destrutturare la teoria della dipendenza in cui le
scuole della Freud e della Klein vedevano un ruolo primario
nell’allattamento, nella soddisfazione di un principio orale e nelle
tensioni della libido esercitate sul seno.
1.4 - Comportamento istintivo e comportamento appreso
Secondo Bowlby, il comportamento genitoriale, così come
avviene per altre specie animali, come quello di attaccamento, è in
parte pre-determinato. Questo significa che il genitore proverà una
forte spinta ad attuare certe particolari azioni (come cullare il bambino,
tenerlo al caldo, protetto e nutrito). Tuttavia non bisogna pensare che il
giusto schema comportamentale si manifesti in modo compiuto e
dettagliato fin dall’inizio.
Non si deve cadere nella tentazione di credere esclusivamente
alla teoria degli istinti, troppo concentrata sulla parte pre-programmata
del comportamento, né dare eccessivo peso alla componente
appresa.
Il comportamento genitoriale ha sì forti radici biologiche, ma le
caratteristiche con cui questo si manifesta dipendono dalle esperienze
individuali. In particolare questo comportamento si può considerare un
esempio di una classe limitata di schemi comportamentali con radici
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biologiche, dei quali il comportamento di attaccamento è un altro
esempio.
Anche parlando di animali più semplici possiamo dire che il
comportamento è qualcosa di estremamente complesso, che varia in
modo sistematico fra specie diverse, e in modo meno sistematico fra i
singoli individui di una stessa specie. Vi sono tuttavia molti aspetti
regolari del comportamento, alcuni dei quali sono così sorprendenti e
svolgono una parte così importante nella sopravvivenza dell'individuo
e della specie da meritare l'attributo di «istintivi». (Bowlby,
Attaccamento e perdita. L’attaccamento alla madre). Questo termine
rimane valido purché lo si usi in senso puramente descrittivo, in
quanto presenta molti limiti e difficoltà.
Il comportamento chiamato tradizionalmente istintivo presenta
quattro caratteristiche principali:
- segue uno schema nettamente simile e
prevedibile in quasi tutti i membri di una stessa specie (o in
tutti i membri dello stesso sesso);
- costituisce non una semplice risposta a un
singolo stimolo ma una sequenza comportamentale che di
solito ha un decorso prevedibile;
- alcune delle sue conseguenze abituali
contribuiscono in modo evidente alla conservazione
dell'individuo o alla continuità della specie;
- in molti casi questo comportamento si sviluppa
anche quando tutte le normali occasioni di apprendimento
sono scarsissime o addirittura nulle.
Ogni carattere biologico, sia esso morfologico, fisiologico o
comportamentale, è il prodotto dell'interazione fra il patrimonio
genetico e l'ambiente. Bowlby, prendendo in prestito dalla terminologia
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introdotta da Hinde (1959), definisce “ambientalmente stabile” ogni
carattere biologico il cui sviluppo venga scarsamente influenzato da
variazioni ambientali; ogni carattere il cui sviluppo sia invece molto
influenzato da tali variazioni viene chiamato «ambientalmente labile».
Il comportamento che usualmente viene definito istintivo è
ambientalmente stabile, o perlomeno è stabile finché l'ambiente in cui
l'animale vive non si discosta da quello in cui la sua specie vive
abitualmente. Quindi possiamo dire che in questo tipo di ambiente tale
comportamento si manifesta in una forma prevedibile in tutti i membri
della specie, e viene spesso chiamato «specie-specifico».
Molti tendono a credere che nell’uomo non sia possibile definire
come istintivo nessuno dei suoi tratti comportamentali, vi è una certa
tendenza a pensare che il modo di agire umano sia indefinitamente
variabile, poiché cambia da una cultura all'altra, a differenza degli
animali. Secondo Bowlby questo punto di vista non è affatto
sostenibile: se è vero che il comportamento umano è molto variabile,
non lo è però infinitamente; e, nonostante le enormi differenze
culturali, è possibile individuarne alcuni aspetti comuni.
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1.4.1 - Sviluppo del comportamento di attaccamento nel
primo anno di vita: il primo caso studiato dalla Ainsworth
È stato appurato come la maggior parte dei bambini che vivono
in una famiglia risponde in un modo particolare alla presenza della
madre. Quando il piccolo la vede infatti, solitamente sorride ed emette
dei vocalizzi per comunicare la sua gioia. La segue con gli occhi
mostrando di distinguerla da altre persone, e da questo è possibile
dedurre che sia già presente una forma di discriminazione percettiva.
L’attaccamento è presente tuttavia non solo se il bambino
riconosce la madre, ma se attua anche dei comportamenti tali da
mantenersi vicino a lei. Ad esempio ciò avviene quando il bambino
piange al vedere la propria madre lasciare la stanza, oppure se oltre
piangere cerca anche di seguirla. Si possono citare due interessanti
studi di bambini aventi stessa età ma appartenenti a luoghi geografici
diversi per descrivere quanto appena detto. Il primo caso è osservato
dalla Ainsworth (1963, 1967), che ci riporta delle osservazioni svolte
su un gruppo di bambini africani. Due di loro piangevano e cercavano
di seguire la madre già rispettivamente a quindici e a diciassette
settimane, inoltre entrambi i tipi di comportamento erano comuni a sei
mesi. Tutti i bambini, eccetto quattro, cominciarono a tentare di
seguire la madre quando questa si allontanava appena riuscirono a
gattonare. Come si evince da Gesell (1940):
In questo campione di bambini Ganda l'età media della comparsa
dell'andatura carponi era venticinque settimane, mentre nei bambini
americani bianchi è sette mesi e mezzo.
E poi da Géber (1956):
Sotto questo e sotto molti altri aspetti lo sviluppo motorio dei
bambini Ganda è assai più precoce che nei bambini bianchi.
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In questo studio la Ainsworth osservò venticinque madri con
ventisette bambini a intervalli di due settimane per un periodo di circa
sette mesi. Il gruppo apparteneva alla tribù dei Ganda ugandesi. La
Ainsworth visitò le madri nel pomeriggio, per un tempo di circa due
ore. Questo momento della giornata era infatti per le donne un
momento di riposo dal lavoro svolto la mattina, e spesso ricevevano
visite. Le madri potevano far dormire i loro piccoli, oppure li tenevano
in braccio o prendevano in grembo chi rimaneva sveglio, se era già in
grado di farlo il bambino era lasciato libero di gattonare. Dato che
erano sempre presenti diversi adulti, era facile osservare le diverse
reazioni dei piccoli, e il comportamento di attaccamento nei confronti
della madre risultava evidente.
Ciò che è emerse dallo studio è che fra i sei e i nove mesi, vari
comportamenti, come il pianto se lasciati soli con estranei e la gioia al
ritorno della madre, si manifestarono più regolarmente e più
intensamente con l’aumentare del tempo, a significare il rafforzamento
dell’attaccamento verso il caregiver. I bambini inoltre mostravano
l’intenzione di voler seguire la madre quando lasciava la stanza.
Quando invece ritornava la salutavano e poi cercavano subito di
raggiungerla. Dopo i nove mesi i bambini si aggrappavano alla madre,
in circostanze in cui potevano sentirsi intimoriti (per esempio se era
presente uno sconosciuto). In questi bambini il comportamento di
attaccamento si manifestava anche verso altri adulti noti, ma verso la
madre quasi sempre si era manifestato con maggiore velocità ed
intensità.
Fra i sei e i nove mesi ogni bambino manifestava felicità all’arrivo
del padre, ma non prima dei nove mesi il bambino cominciava a
seguire effettivamente un adulto a lui familiare, diverso dalla madre,
che si allontanava.
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A partire dai nove mesi, se era assente la madre, il bambino era
portato a seguire qualunque altro adulto a lui familiare che si trovasse
con lui in quel momento.
1.4.2 - Il secondo caso: Schaffer ed Emerson
Il secondo caso preso in considerazione è uno studio di Schaffer
ed Emerson (1964). La ricerca venne svolta su un gruppo di sessanta
bambini scozzesi, dalla nascita fino ai dodici mesi. Gli autori si sono
serviti delle informazioni raccolte dai genitori a intervalli di quattro
settimane. In questo secondo caso il criterio in base ai quale fu
valutato l'attaccamento fu la reazione del bambino all'abbandono da
parte della madre. Le situazioni osservate erano sette, tra le quali per
esempio:
l'essere lasciati soli in una stanza, l'essere deposti nella culla di
notte ecc.
In generale fu osservata l’intensità della reazione, ma vi era un
limite dovuto al fatto che furono tralasciate le risposte del bambino al
ritorno della madre. Nella ricerca emerse all’età di sei mesi, erano
circa un terzo dei bambini scozzesi a mettere in atto il comportamento
di attaccamento, per i restanti tre quarti ciò avveniva all'età di nove
mesi. La ricerca svolta da Schaffer e Emerson farebbe pensare che
nei bambini scozzesi lo sviluppo del comportamento di attaccamento
avvenga in modo più lento che nei bambini Ganda. I dati
sembrerebbero quindi confermare la precocità dello sviluppo motorio
nei Ganda. Tuttavia tali differenze potrebbero dipendere dai diversi
strumenti utilizzati per lo studio.
La Ainsworth osservava i bambini in prima persona e,
probabilmente, aveva notato i primissimi segni dell'attaccamento dei
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bambini, mentre Schaffer e Emerson si erano serviti delle informazioni
riportate dai genitori, i quali potrebbero non aver notato alcune
importanti risposte.
In ogni caso i due studi concordano su molti dati.
Uno di questi è la notevole oscillazione dell'età in cui il
comportamento di attaccamento si manifesta per la prima volta: dai
quattro mesi (e prima ancora) ai dodici mesi (e oltre) [Attaccamento e
perdita, l’attaccamento alla madre pag. 201].
Inoltre se si prende in considerazione la frequenza con cui il
comportamento di attaccamento è diretto verso figure diverse dalla
madre si possono notare ulteriori elementi comuni. Anche Schaffer e
Emerson riscontrarono infatti che alcuni dei bambini, a distanza di
circa un mese dopo aver sviluppato l’attaccamento per la madre,
orientavano questo attaccamento anche verso altre componenti della
famiglia, e raggiunti i diciotto mesi tutti i bambini tranne poche
eccezioni erano attaccati almeno ad un'altra figura, se non a diverse
altre figure. Subito dopo la madre, solitamente era il padre a far
nascere nel piccolo il comportamento di attaccamento; dopo di lui
venivano dei bambini più grandi, anche bambini di età prescolare.
Si notò anche che l'attaccamento alla madre non perdeva di
intensità al sorgere di manifestazioni dello stesso comportamento
verso gli altri membri della famiglia. Al contrario, nei primi mesi
dell'attaccamento, quante più erano le persone alle quali il bambino
era attaccato, tanto più il suo attaccamento alla madre sembrava
rafforzarsi. La madre veniva comunque riconosciuta come il caregiver
principale. Entrambi gli studi riferirono la presenza di grandi variazioni
nella velocità di sviluppo tra i diversi bambini. Non solo: anche che in
ogni singolo bambino l'intensità e la regolarità del comportamento di
attaccamento cambiavano da un giorno all'altro.
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I cambiamenti di breve durata possono essere imputati a diversi
fattori, che Bowlby distingue in variabili organismiche e ambientali. Fra
le variabili organismiche si possono elencare la fame, la stanchezza,
la malattia, il disagio, il dolore, che producono un aumento del pianto e
della tendenza a seguire l'oggetto dell'attaccamento.
Per quanto riguarda i fattori ambientali, in entrambe le ricerche si
nota che il comportamento di attaccamento è più intenso quando il
bambino ha paura. La Ainsworth era nella condizione migliore per
osservare le reazioni di spavento, in quanto, essendo una straniera
dalla pelle bianca, destava facilmente paura nei piccoli. Dopo le
quaranta settimane, ma anche nelle settimane successive, l'allarme
comparve praticamente in tutti i bambini osservati:
«I bambini che incontrammo per la prima volta nel quarto
trimestre di vita sembravano terrorizzati alla mia vista (...) In questa
situazione tendevano ad aggrapparsi spaventati alla madre.».
Gli autori dello studio sui bambini scozzesi riferirono inoltre che
l'intensità dell'attaccamento aumentava per un certo periodo dopo
un'assenza della madre.
Si è visto dunque quanto la qualità di cure che il bambino riceve
dalla madre influisca sullo sviluppo del comportamento di
attaccamento. Tuttavia non bisogna fare l’errore di pensare al ruolo del
bambino come ad un ruolo passivo. Difatti in una certa misura è il
bambino a promuovere la relazione di attaccamento con la figura di
riferimento, la influenza e in qualche modo la “direziona”.
Sia la Ainsworth che Schaffer, e con loro diversi altri osservatori,
sottolineano il ruolo assai attivo del bambino. La Ainsworth (1963)
scrive in proposito del gruppo ugandese:
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