La poesia come rimedio e salvezza: (Temi e motivi emergenti nell'opera di Alda Merini)
Alda Merini: Poeta, Folle. Forse converrebbe cominciare da qui, prescindendo dalle facili suggestioni che provengono dalla storia sciagurata della sua vita, quelle che danno come risultato l’immagine dell’artista sempre “diverso”, sempre alienato, genio e sregolatezza, emarginato prima ed esaltato poi dall’ipocrisia tardiva di un mondo soddisfatto che accetta la propria immagine capovolta dalla poesia solo quando ha potuto disinnescarla. Un luogo comune, in fondo, che finisce per banalizzare e smarrire proprio quel lirismo che, al contrario, vorremmo riconoscere ed esaltare: perché la retorica, anche se benintenzionata, finisce per falsare l’incontro con la poesia.Poesia e follia, un cliché, una trappola rischiosa.Eppure, se e’ vero che l’opera di un poeta non può essere compresa se scissa dal contesto culturale che le gravita intorno e soprattutto dalla biografia del suo autore, ancor più tale premessa pare indispensabile e necessaria per avvicinarsi all’opera di Alda Merini.
Eppure, in lei vita e poesia sembrano fondersi perfettamente, verso e malattia appaiono ineludibilmente abbracciate, Uomo e Poesia coincidono, tra le mura del manicomio e la difesa di un’identità che sembra possibile solo nel verso poetico. Tuttavia , nonostante il cliché, nei suoi versi tutto sembra “pregno” di questo legame: i malati di Alda Merini sono disperatamente soli e crudeli, come bambini abbandonati e aggrappati alla loro malattia che diventa sogno e sconfitta, finestra e cella, possibilità e negazione di una possibile identità sempre negata e tuttavia mai taciuta.Negli amori che segnarono, crudelmente, l’anticamera della pazzia definitiva e conclamata Alda Merini si è ritrovata a sostenere un personaggio che in fondo non aveva scelto, quello dell’amante folle e disperato e infine intrappolato nell’alternativa tutto sommato banale “pazzo perché poeta” o “poeta perché pazzo” e così trasformato, suo malgrado, in un “caso letterario”. Alla base di un’opera d’arte, dunque, c’è quasi sempre l’influenza determinante del vissuto dell’artista dove le opere mantengono un legame solido con le vicende umane dell’autore: ma il caso della poetessa milanese è del tutto singolare in quanto ci si trova di fronte ad un dilemma di difficile risoluzione: è possibile ed è lecito attendersi da una donna che ha subito le angherie e le umiliazioni di una reclusione manicomiale, un qualche insegnamento di vita, o una visione poetica del sublime?Si è dibattuto a lungo su questo tema, lo si è fatto con alterne fortune un po’ in tutta la civiltà occidentale, specie nell’ultimo secolo. Eppure volendo privilegiare il pensiero dei poeti piuttosto che quello dei critici, viene da credere che la questione sia ancora irrisolta. Un aiuto può venire da ciò che scrisse la poetessa americana Emily Dickinson (1830-1886): “molta follia è divina saggezza/ per un occhio capace/ molta saggezza, pura follia”. Il problema semmai è di rintracciare e tenere ben presente il sottile confine che separa i due aspetti della psiche umana, poiché tra la follia e la saggezza vi è un abisso di dolore, di dimenticanza e di buio. L’obiettivo di questa tesi è di verificare in che modo e con quali intenzioni la grande poetessa dell’ultimo Novecento, Alda Merini, tuttora vivente, abbia saputo riemergere dalla tragicità dell’internamento manicomiale e soprattutto come la poesia sia stata per lei aiuto, conforto, rimedio e salvezza. La ricerca è strutturata in tre capitoli: il primo riguarda un excursus sulla vita, una rilettura della biografia della poetessa concentrata soprattutto sulle opere artistiche e sulla loro derivazione dall’esperienze vissute.Il secondo capitolo è un’analisi dei differenti contributi critici che dal 1955 fino ai giorni nostri si sono susseguiti nella ricezione dell’opera in versi di Alda Merini. Il terzo capitolo evidenzia le tematiche principali che si trovano all’interno delle liriche meriniane: le “svariate” interpretazioni del sentimento dell’amare e ancor più in particolare delle diverse forme d’ ”amore” nel senso più lato del termine. Il sentimento amoroso meriniano è complesso e diversificato: può essere diretto a un fratello, a un figlio, a una amica. La morte che aleggia come uno spettro e che viene vissuta in tutta la sua crudezza con la perdita di persone molto vicine. La percezione del sé ossia le infinite immagini con cui la Merini, inquieta e malcerta, si definisce. La solitudine, l’unica amica che non ha mai avuto l’ardire di abbandonarla e alla quale la poetessa sa di potere rivolgersi anche nei giorni più bui.Quel che più sorprende nel “dire” meriniano sta tutto nell’uso perfetto degli endecasillabi, nel potere sublimante delle metafore “assurde”, usate dalla poetessa milanese per trasfigurare i dolori lancinanti nella gioia più pura, di chi ha saputo riconquistare il possesso di sé, la vita.
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Informazioni tesi
Autore: | Carlo Buonerba |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 2004-05 |
Università: | Università degli Studi di Torino |
Facoltà: | Lettere |
Corso: | Lettere moderne |
Relatore: | Luisa Ricaldone |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 145 |
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