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Filosofia e popular music: Adorno e Marcuse

Un tentativo di applicare le categorie adorniane alla musica rock

Come abbiamo visto precedentemente esaminando la critica ad Adorno da parte di Middleton, è innegabile che il filosofo tedesco abbia generalizzato e semplificato alcuni meccanismi della popular music, riducendoli a logiche di profitto e di sottomissione e irrigidendo le trame dell'intero sistema dell'industria culturale. Non solo, Adorno ha nettamente e rigidamente contrapposto due modi di concepire e praticare la musica, non tenendo in considerazione le innumerevoli e mutevoli possibilità intermedie e questa mancanza di differenziazione ha sicuramente ostacolato l'accettazione generale delle sue idee sulla musica popular. Eppure, come rileva Max Paddison:

Adorno's critique of popular music is generally considered the least convincing aspect of his otherwise impressive analysis of the predicament of Western music in the twentieth century. The immediate reasons as to why his views on popular music are difficult to accept are obvious enough, and it must be admitted that the usual criticism – that Adorno is prejudiced, arrogant and uninformed in this field – contain more than a grain of truth.164

In questo paragrafo conclusivo ci muoveremo lungo due strade: una ci porterà a convergere su un aspetto innegabile della prospettiva adorniana, l'altra ci allontanerà da quest'ultima. In linea con Adorno, sosterremo il carattere decisamente "industriale" – e impossibile da negare – dei prodotti della cultura popular. Contro Adorno, invece, si sosterrà qui che, il materiale popular, seppur influenzato dalle categorie dell'industria culturale, non è necessariamente e automaticamente standardizzato, preformato e predigerito.
Riteniamo perciò che risulti piuttosto utile, seppur provocatoria, ai fini del nostro studio, l'analisi di alcuni studiosi che, in tempo recenti, si sono proficuamente serviti di certe categorie della filosofia e sociologia della musica adorniana per comprendere alcune dinamiche caratterizzanti il fenomeno della popular music165. Si avanzerà quindi l'ipotesi secondo la quale possiamo traslare nell'ambito di tale musica, quanto Adorno aveva individuato nella musica seria, vale a dire la capacità che egli aveva riconosciuto ad alcuni autori, come Gustav Mahler, di manipolare materiale tonale e formale regredito, al punto da renderlo autentico. Nel vasto e articolato panorama della popular music sono infatti riscontrabili casi, ben più complessi e articolati di quanto il filosofo tedesco non fosse disposto a concedere, in cui tale musica, in virtù di determinate caratteristiche e potenzialità estetiche, si sottrae al mero carattere commerciale e intrinsecamente consumistico, che invece Adorno estendeva all'intera sfera popular. Ciò significa che alcuni prodotti culturali popular, lavorando su materiali non-standardizzati, in modo libero, creativo e originale, dimostrano chiaramente di non voler essere racchiusi nella semplice categoria di merce.
Sottoponendo dunque determinate categorie filosofico-musicali adorniane a un ripensamento critico, diviene senza dubbio possibile applicare efficacemente queste ultime all'interpretazione di alcuni fenomeni musicali strettamente legati all'industria culturale, sebbene certamente non tutti possano essere inquadrati attraverso tali categorie. Un caso è quello del jazz che, in quanto registrato, commercializzato e distribuito, rientra a tutti gli effetti nell'orbita dei prodotti dell'industria culturale. Contrariamente però a ciò che pensava Adorno, alcune varianti di jazz si sono sottratte alla standardizzazione attraverso varie risorse creative, fra cui, in primo luogo, proprio un uso accentuato dell'improvvisazione. Basti pensare a una parte del repertorio jazz che, nel corso della sua storia, si è aperto a contaminazioni, ibridazioni e variazioni, evolvendosi in swing, be-pop, cool jazz, hard pop, jazz modale, free jazz e poi ancora oltre. Dal terreno della mercificazione e del regime del sempre-uguale, la musica in questione ha acquisito la forza dirompente del non-identico, esprimendo speranza, gioia, disperazione e rabbia, qualità espressive che Adorno non ha mai considerato. In altre parole, nonostante esistano e siano sempre esistite espressioni jazzistiche assimilabili alla musica commerciale, ciò non significa che il jazz nella sua totalità sia riducibile a queste espressioni.
Un'altra categoria interna alla popular music che si presta bene ad essere inquadrata attraverso le categorie adorniane, è anche la musica rock che d'altronde vide la luce proprio durante gli ultimi anni di vita e di riflessione di Adorno. A differenza del jazz, Adorno non ha mai dedicato interi scritti al rock. Una delle sue testimonianze più esplicite su tale musica è rinvenibile in una breve intervista televisiva166, durante la quale il francofortese si esprime riguardo alle canzoni rock di protesta contro il Vietnam di una certa controcultura americana degli anni Sessanta. Com'è facilmente immaginabile, il giudizio di Adorno è estremamente negativo. Il filosofo afferma che, essendo tali canzoni interamente standardizzate in quanto prodotti industriali, anche quando la loro intenzione è quella di dar voce all'orrore inesprimibile di una guerra, esse in realtà tendono a mercificare le atrocità di «Auschwitz» (sono frequenti i richiami di Adorno agli eventi della Seconda Guerra Mondiale), trasformandole in merce vendibile persino al supermercato (e oggi acquistabile persino online) e dunque, tali canzoni, rendono asettica la coscienza del fruitore anziché risvegliarla criticamente. Nella prospettiva adorniana, tutto ciò che costituisce un ingranaggio dell'industria culturale, per principio non può in alcun modo fungere da mutamento di mentalità; contribuirà solamente a rafforzare la presa che il sistema dominante ha sulla coscienza delle masse. Da ciò se ne deduce che, per Adorno, tali prodotti saranno tutti esteticamente e politicamente falsi.
A questo punto è chiaro che se si accetta il lapidario e sintetico giudizio adorniano sul rock, si esclude la possibilità che il discorso intorno a tale musica possa essere sottoposto a una seria e competente riflessione filosofica. Se invece si intende superare alcune delle posizioni estetiche di Adorno – prima fra tutte quella sul jazz e sul rock –, ritenendole datate, allora, risulta possibile delineare un'estetica, seppur sperimentale, del rock e di tutti quei generi musicali che lo stesso Adorno aveva racchiuso sotto l'espressione insignificante di Per adesso, intendiamo capovolgere i giudizi adorniani e mostrare che, seppur muovendosi fin dall'inizio all'interno delle dinamiche dell'industria culturale, la musica rock si è sempre contraddistinta per la presenza di «spazi che il sistema, per quanto lo possa desiderare, non può chiudere o rimuovere, e che garantiscono la possibilità di conflitti all'interno delle forze produttive nel loro insieme»168. Com'è stato notato, «la tensione del rock è il paradosso del rock, alla luce del fatto che la sua nascita e la sua esistenza sono iscritte all'interno della cultura di massa e dell'industria culturale». Una tale «tensione dialettica interna» alla musica rock – la quale fa sì che, «(a)nche quando appare in opposizione all'ordine costituito e al predominio della logica commerciale, in realtà ne attiva la spirale dialettica»169 – sembra essere stata molto chiara a non pochi musicisti popular, anche contemporanei ad Adorno, i quali, essendo intenzionati a non rientrare pienamente nelle abituali regole del mercato, decisero di sfruttarle a proprio favore. Sono un esempio le innovative e influenti sperimentazioni di musicisti contemporaneamente ascrivibili al rock e all'avanguardia.
Scrive infatti Paddison:

A marked feature of certain kinds of jazz and – in particular – rock music since the 1960s is the demand to be taken serious avant-garde, manifested in the degree of self-examination going on within the music itself. This is a state of affairs which inevitably carries with it its own in-built conflict – its own 170

In virtù della sua incredibile eterogeneità, varietà e contraddittorietà, è proprio la musica rock a far saltare il tradizionale dualismo fra musica colta (e, quindi, alta, musica artistica ecc.) e musica popular (e, quindi, bassa, di massa, commerciale, di consumo), che riteniamo ormai essere uno schema sorpassato, stereotipato, ed eccessivamente semplicistico. Lo stesso Middleton ha notato come «una distinzione adorniana fra "manipolazione commerciale" e "autenticità dell'avanguardia» sia rintracciabile anche

«all'interno del discorso delle comunità [&] rock», ad esempio «nelle registrazioni di Frank Zappa, Carla Bley o The Art of Noise», o ancora in musicisti come Laurie Anderson, Brian Eno, Robert Fripp, Robert Wyatt, «abbiamo degli esempi di oggetti di consumo d'avanguardia – una combinazione che, secondo Adorno, è impossibile»171.

Tra i personaggi e i percorsi della popular music, come già accennato da Middleton, spicca la figura di Frank Zappa172, ascrivibile in particolare alla corrente del rock e nella cui produzione musicale «l'engagement e l'entertainment non si escludono necessariamente l'un l'altro ma appaiono conciliabili, se non addirittura combacianti»173. Esattamente come, nell'ottica adorniana, la musica violentemente dissonante, con tonalità estesa di Schönberg, sia una musica capace di esprimere tutte le criticità della situazione vigente attraverso l'impiego di residui tonali, riteniamo che lo stesso fine sia traslabile anche su una musica popular rigorosamente autoconsapevole e profondamente impegnata da un punto di vista sociale come quella di Zappa. Per mezzo di una straordinaria varietà di materiali e tecniche, spesso attinti dallo stesso repertorio della musica leggera, Zappa riflette criticamente la realtà americana contemporanea nelle sue contraddizioni e insensatezze. È dunque possibile accostare, in un certo senso, la peculiare forma di critica sociale della musica zappiana ad una teoria critica come quella francofortese.
Abbiamo quindi cercato di mettere in discussione la rigida concezione adorniana della popular music, dimostrando che tale teoria può in un certo senso essere applicata anche a certa musica popular che, al pari della musica seria, riesca a sottrarsi al meccanismo della standardizzazione e a sfuggire così al proprio destino di merce.
Ora, per concludere il capitolo dedicato ad Adorno e alle sue feroci critiche alla popular music, possiamo interrogarci sull'attualità di certe categorie adorniane, e chiederci cioè se quello di oggi sia un mondo coperto o meno da tali categorie. Non possiamo di certo negare che una parte del repertorio pop e rock degli ultimi decenni sia interpretabile in termini di pseudo-individualizzazione e standardizzazione; alcune delle attuali melodie popular sembrano effettivamente presentarsi come «arabeschi, che dipendono dalla sequenza delle armonie»174, direbbe Adorno. Né possiamo smentire l'enorme diffusione del plugging che si afferma oggi attraverso meccanismi analoghi (e chiaramente ancora più sviluppati, articolati e sofisticati) a quelli denunciati da Adorno. Inoltre, tra gli ascoltatori si riscontra oggi quella che Adorno aveva definito glamour-mindedness ed è evidente anche il cosiddetto plugging degli stili e delle personalità. Ancora, il rapporto tra ascoltatore e brano è centrato su un processo di riconoscimento, nel quale interviene il fattore della ripetizione quasi ossessiva di un pezzo radiofonico; e la fruizione dei brani popular è strettamente collegata all'amusement, cioè all'intrattenimento come momento di rilassamento e di deconcentrazione. Possiamo infine riscontrare un ulteriore parallelismo tra quelli che Adorno chiamava jitterbugs, ossia i fan deliranti alla prima intonazione musicale del proprio divo, e i grandi concerti odierni che ci restituiscono comportamenti analoghi, animati da quella stessa isteria frenetica.
Naturalmente, queste categorie non possono essere applicate indistintamente a qualsiasi materiale musicale popular come invece sembra aver fatto Adorno, eppure non c'è dubbio che tali fenomeni sussistano in parte ancora oggi, e forse in maniera ancora più accentuata per via del consumo di massa, non tanto in relazione al jazz quanto a quella che definiamo genericamente pop music, essendo questo un genere musicale strettamente legato alla commerciabilità. È ovviamente indiscutibile che oggi vi sia una maggiore differenziazione musicale e, soprattutto, la disponibilità di nuove e diverse modalità di fruizione musicale, rese possibili anche da una risorsa come quella di internet, ma ciò non toglie che i meccanismi vincolanti dell'industria culturale continuino ad agire e a condizionare in maniera decisiva la produzione di musica, soprattutto alla luce di una civiltà dei consumi come la nostra.
Al di là di queste considerazioni, però, resta il fatto che la teoria estetica di Adorno non dimostra che certa musica popular, in particolare certa musica jazz o rock, possa rientrare in quella che il francofortese etichettava come "buona musica", e i suoi scritti non convincono del fatto che il fascino del popular sia spiegabile soltanto per via del suo carattere commerciale, strettamente legato alla logica retificata della produzione capitalistica.



164 M. Paddison, The Critique Critised. Adorno and Popular Music, in «Popular Music», vol. 2, 1982, pp. 201-218: 201.
165 Si veda: S. Marino (Verità e non-verità del popular, cit.); A. Alfieri (Rocksofia. Filosofia dell’hard rock nel passaggio di millennio, il melangolo, Genova 2019; Minimalismo e Rave music attraverso Adorno. Ripetizione ed eterno ritorno dell’identico nella musica contemporanea, in «Rivista di estetica», 61, 2016, pp. 3-16); G. Fronzi (Theodor W. Adorno. Pensiero critico e musica, cit.); M. Maurizi (La vendetta di Dioniso. La musica contemporanea da Schönberg ai Nirvana, Jaca Book, Milano 2018); M. Paddison (The Critique Critised, cit.).
166 L'intervista è reperibile al seguente link: https://www.youtube.com/watch?v=Xd7Fhaji8ow.
167 Cfr. Th. Gracyk, Rhytm and Noise: An Aesthetics of Rock, Duke University Press, Durham, 1996.
168 R. Middleton, It’s all over now, cit., p. 66.
169 A. Alfieri, Rocksofia, cit., pp. 8-9.
170 M. Paddison, The Critique Critised, cit., p. 215.
171 R. Middleton, It’s all over now, cit., p. 72.
172 Per un approfondimento dell'analisi adorniana (condotta, cioè, sulla base delle categorie fondamentali dell'estetica di Adorno) della musica di Zappa, si veda: S. Marino, La filosofia di Frank Zappa. Un’interpretazione adorniana, Mimesis, Milano-Udine 2014.
173 Ivi, p. 133.
174 Th. W. Adorno, Sulla popular music, cit., p. 87n.

Questo brano è tratto dalla tesi:

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Informazioni tesi

  Autore: Elisa Maddaluno
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2023-24
  Università: Università degli Studi di Siena
  Facoltà: Filosofia
  Corso: Scienze filosofiche
  Relatore: Ferdinando Abbri
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 119

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