Alla ricerca dell’identità perduta. Analisi dei processi di branding e dei sistemi di identità visiva nel Terzo settore.
Tratti evolutivi del terzo settore e differenti tipologie di organizzazioni che ne fanno parte
Il Terzo settore circoscrive quell'ambito che comprende enti e strutture non afferenti né alla sfera pubblica (primo settore, lo Stato) né a quella privata (secondo settore, il mercato). Questa definizione, così come la stessa denominazione, rivela il carattere prettamente residuale del Terzo settore, così come percepito nel dibattito scientifico. Stessa residualità che si ritrova nella dicitura non profit, che addirittura definisce il settore non per ciò che è o fa ma per quello che non è e non fa. Fra l'altro, il significato dell'accezione non profit, pur essendo nell'uso comune quasi totalmente sovrapponibile all'espressione Terzo settore, sembra essere, dal punto di vista semantico, insoddisfacente, essendo palesemente in contrapposizione con uno solo degli altri due poli, quello privato. A ulteriore conferma di questo carattere residuale, si consideri che enti di Terzo settore sono spesso indicati quali formazioni intermedie:
"I soggetti che operano nell'ambito del TS sono numerosi e si muovono come formazioni sociali intermedie. La propria azione a volte è profondamente autonoma (come nel caso di famiglie, di reti di amicizia, di vicinato) cioè indipendente da ogni “relazione” con le istituzioni del mercato e dello Stato, il più delle volte, invece, s'intreccia, o si affianca e si relaziona con l'azione e l'attività di settori pubblici che erogano servizi; nonché con quella di imprese private del mercato che producono beni e servizi a fini di profitto".
Il carattere ibrido che contraddistingue gli enti di Terzo settore però è, al tempo stesso, sia un punto debole che un punto di forza. Il fatto di essere un'area intermedia di produzione sociale in costante dialogo critico con la crisi politica e finanziaria dello stato sociale e con l'insufficienza del mercato nella allocazione delle risorse e della tutela dei diritti fa sì che, in alcuni momenti storici, l'esperienza e i valori della galassia non profit assumano una maggiore rilevanza. E non è infatti casuale che si cominci a parlare di Terzo settore verso la fine degli anni '70 del '900 in concomitanza con l'inizio della crisi del welfare state. La peculiare forza delle associazioni non profit infatti sembra risiedere proprio nel rapporto privilegiato che queste detengono con il tessuto sociale da cui sono esse stesse generate, ma anche nella capacità di dialogo e di scambio che questi enti riescono ad avere sia con il pubblico che con il mercato. Ed in questo senso si può assumere una definizione, finalmente in positivo, delle organizzazioni non profit, fornitaci in questo caso da Giorgio Fiorentini:
"istituti che operano per conseguire il bene collettivo o bene comune tramite la produzione e l'erogazione di beni e servizi in una logica prevalentemente di scambio (economico, metaeconomico, di utilità) con l'ambiente esterno".
In questa definizione, oltre alla fondamentale dimensione dello scambio, si ravvede anche il vero e proprio specifico del Terzo settore, ovvero lo scopo ideale di promozione della società che anima (o dovrebbe animare) gli enti che ne fanno parte. Come precedentemente accennato, il Terzo settore emerge con forza in concomitanza con la crisi del welfare state che si palesa nel mondo occidentale e in particolar modo in Europa fra la fine degli anni '70 e l'inizio degli '80 del '900. Ovviamente anche in precedenza esistevano forme embrionali di quello che in seguito sarebbe stato chiamato settore non profit; per restare in Italia, basti pensare a tutte quelle organizzazioni di matrice cattolica, tuttora operanti soprattutto nell'assistenza e nelle opere caritatevoli, che vantano secoli di storia. Oltre a queste realtà, bisogna inoltre prendere in considerazione sul versante laico, tutte quelle organizzazioni a carattere mutualistico, nate in concomitanza con la rivoluzione industriale, a tutela dei diritti dei lavoratori. Ma è proprio negli anni '80, e a seguire nei '90, che il Terzo settore trova la sua ragion d'essere, infatti nonostante i fallimenti dello stato sociale indeboliscano in modo esplicito la posizione dei sostenitori dell'intervento pubblico (..) l'idea dei diritti acquisiti è ormai radicata nella cultura civile e risulta difficile riuscire ad immaginare una drastica riduzione delle garanzie pubbliche in materia di tutela e benessere sociale.
Ed è questa la difficoltà in cui si sono trovati i decisori politici, difficoltà acuita in Europa e soprattutto in Italia dal dover rispondere a vincoli di bilancio sempre più stringenti e conseguentemente intraprendere politiche di contenimento della spesa pubblica. Le organizzazioni non profit riescono perciò a trovare in questi anni il loro spazio, rispondendo alla crescente domanda di servizi sociali con risorse umane (i volontari) ed economiche (le donazioni) a costo basso se non addirittura nullo. In questo senso, la forza del settore è confermata dalla constatazione (provata da recenti ricerche) che la qualità delle prestazioni di chi opera in questo comparto non sia inferiore a quella di chi, lavorando in altri settori, percepisce salari mediamente superiori. Tutto ciò in virtù del fatto che gli operatori del Terzo settore hanno un alto livello di soddisfazione in conseguenza del preminente aspetto motivazionale che si riscontra all'interno di organizzazioni che operano per il benessere collettivo.
Non bisogna inoltre dimenticare come neanche il mercato, a causa di una scarsa redditività, riesca a proporre un'adeguata offerta di servizi sociali. Per dirla in altre parole, il potere pubblico, assodato il fallimento del binomio Stato-mercato e, nel tentativo di ridurre i costi di una società postmoderna e postindustriale, è ricorso sempre più all'aiuto strumentale delle reti informali (specie familiari) e delle «sfere di azione imperniate sul volontariato, sull'altruismo, sulla reciprocità, sulla solidarietà, sulla “produzione” non mercificata di relazionalità e socialità».
Un'altra svolta per il Terzo settore italiano si ha negli anni '90, e in particolar modo con la promulgazione di due leggi del 1991, la 266, legge quadro sul volontariato, e la 381 che norma l'attività delle cooperative sociali. Queste leggi hanno avuto il sicuro merito di far ulteriormente emergere il mondo del non profit italiano. Prendendo, ad esempio, in considerazione la legge 266/91, si può tranquillamente affermare che questa abbia causato la trasformazione della gran parte dei gruppi informali (che rappresentavano la forma associativa maggiormente diffusa nel mondo del volontariato) in associazioni di fatto. La volontà del legislatore infatti è stata quella di rendere più trasparente l'agire delle organizzazioni di volontariato, e questo è successo anche grazie alla creazione dei registri regionali del volontariato. Ed è sempre in quest'ottica che la legge ha previsto per questi enti un vantaggioso trattamento fiscale in cambio dell'adozione da parte degli stessi di una struttura democratica e dell'obbligo della presentazione di un annuale bilancio. La legge 381/91 ha invece normato l'attività delle cooperative sociali, prevedendo per queste un assetto assai complesso (e di non semplice gestione) che però può costituire un vantaggio competitivo, in quanto permette loro di essere maggiormente presenti nel territorio e legittimate, e quindi di produrre servizi che rispondano con più efficacia e tempestività ai bisogni.
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Alla ricerca dell’identità perduta. Analisi dei processi di branding e dei sistemi di identità visiva nel Terzo settore.
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Informazioni tesi
Autore: | Luca Testuzza |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 2009-10 |
Università: | Università degli Studi di Roma La Sapienza |
Facoltà: | Scienze della Comunicazione |
Corso: | Scienze della Comunicazione |
Relatore: | Marco Binotto |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 268 |
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