Il Contratto di Swap e la tutela del contraente debole
SWAP e derivato: analisi della fattispecie contrattuale ed individuazione della disciplina applicabile
Come già precedentemente rilevato, il derivato è un contratto che genera uno strumento finanziario, identificandosi nel medesimo, ma non per questo cessando di essere un contratto.
Questa configurazione reagisce sulla natura del negozio e sulla sua stessa qualificazione sul piano giuridico.
Poiché la componente negoziale genera e permea di sé lo strumento generato, la qualificazione del derivato quale strumento finanziario non può prescindere da una riflessione di ordine prettamente civilistico riferita alla natura del negozio e alla causa che lo sorregge.
A tanto non si è obbligati quando si tratti di un’azione, di una obbligazione, una quota di un organismo comune di investimento collettivo. Questi strumenti sono pur sempre generati da un atto negoziale, dal quale tuttavia si affrancano un istante dopo la stipulazione, assumendo una riconosciuta autonomia istituzionale.
Non ha senso, dunque, né sarebbe possibile, domandarsi quale sia la causa di un’azione o di una quota di un fondo comune.
Essi sono solo strumenti finanziari e non già contratti.
Nel caso dei derivati, invece, la perdurante presenza nello strumento della componente negoziale (e di una componente negoziale, si noti, atipica) non esime, in linea di principio, dalla necessità di una siffatta indagine.
Del resto l’annosa diatriba, che ebbe ad accendersi attorno alla natura giuridica del derivato, mosse da questa corretta premessa di metodo (pur pervenendo, come vedremo, in prima battuta a conclusioni inaccettabili). Mosse cioè dall’esigenza di riconoscere una valida causa nel negozio.
Se si supera questo ostacolo, se cioè si riconosce nel derivato (inteso come contratto) una causa meritevole di piena tutela giuridica, allora il discorso si semplifica: se è “lecita” la causa, allora è “lecito” anche il contratto derivato, e di riflesso lo è pure lo strumento derivato che, identificandovisi, consegue al negozio stesso.
Se viceversa quell’ostacolo non viene superato, se cioè si nega che il negozio possieda una causa giuridicamente tutelabile, diviene giocoforza negare dignità istituzionale allo strumento che ne deriva.
Da qui, pertanto, la necessità dell’indagine.
Prima di addentrarci nel problema, è necessario porre l’attenzione sui tratti salienti dello strumento, in particolar modo il suo principale connotato: l’astrattezza, o meglio, “l’astrattezza pura”.
Con tale locuzione si intende esprimere il principio di assoluta e permanente separazione fra entità fondamentale e contratto derivato. Pur insistendo strutturalmente su una grandezza economica e pur derivando da essa il suo valore (o meglio la sua base di valorizzazione), il contratto derivato assume una propria ed assoluta individualità ed autonomia. Le vicende giuridiche che coinvolgono l’underlying instrument non reagiscono sulla disciplina dello strumento derivato. Quand’anche, in ipotesi, la grandezza economica su cui insista lo strumento fosse data da un titolo, a sua volta contrattuale, affetto da un vizio invalidante, tale circostanza non produrrebbe effetto alcuno sul derivato.
L’astrattezza del derivato non è dunque paragonabile a quella nascente dalla cartolarizzazione di un credito o dalla stipulazione di un contratto autonomo di garanzia. In tali casi, il requisito dell’astrattezza preclude solo temporaneamente l’opponibilità di eccezioni afferenti al rapporto fondamentale, ma non ne vieta la successiva contestabilità nell’ambito di un procedimento che assuma a doglianza l’invalidità o comunque l’irregolarità del rapporto sottostante.
Viceversa, nel derivato, l’astrattezza è assoluta, pura, nel senso che il derivato prescinde completamente dalle condizioni giuridiche dell’underlying instrument.
Ciò che in sé potrebbe apparire una contraddizione in termini, vale a dire l’assoluta separazione fra un’entità fondamentale e il contratto che ne deriva e ciò malgrado il secondo non esista in assenza della prima e ne risulti permanentemente condizionato in termini di valorizzazione, in realtà esprime la peculiarità della fattispecie in esame. Questo porta alla seguente conclusione: il contratto derivato è un’entità giuridica a sé stante che trova nella grandezza economica di riferimento una base genetica (necessaria ed insostituibile), dalla quale tuttavia il negozio si affranca immediatamente, assumendo un profilo proprio ed un’autonoma dimensione giuridica.
Tale principio non riguarda l’una o l’altra tipologia di strumento, bensì l’intera categoria negoziale. La sua applicazione prescinde dalla considerazione dell’entità fondamentale, dalla sua più o meno accentuata materialità, ovvero dalla sua “giuridica impalpabilità”.
Che si tratti di titoli, di azioni, di indici, di merci, di tassi, di valute, di panieri di indici o di azioni, ovvero di altre ancor più complesse grandezze o ancor più sofisticati indicatori economici, la regola non muta.
E si traduce, in definitiva, nell’indifferenza dell’oggetto fondamentale rispetto al negozio e, dunque, nell’affermazione della sua più piena autonomia.
Questo brano è tratto dalla tesi:
Il Contratto di Swap e la tutela del contraente debole
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Informazioni tesi
Autore: | Alessio Sbriccoli |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 2008-09 |
Università: | Università degli Studi della Tuscia |
Facoltà: | Economia |
Corso: | Economia e Commercio |
Relatore: | Michele Salvatore Desario |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 400 |
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