Metafisica, scienza & linguaggio. Considerazioni su alcune difficoltà insite in un approccio razionalistico all’esperienza comune nonché scientifica
Stravolgimento di prospettiva
Alla luce della conclusione del capitolo precedente, riconsideriamo quanto dice Schlick in Positivismo e realismo: “Se si vuol definire come positivistica ogni concezione, la quale neghi la possibilità della metafisica, nulla vi sarà da ridire su ciò, in quanto mera definizione. Ed è proprio in questo senso che io vorrei dichiararmi un rigoroso positivista.”
Pare ovvio, naturalmente, che Schlick usi qui il termine metafisica secondo l’accezione che fin dall’antichità viene preferita, ossia quella platonica, che definisce la metafisica come dottrina del vero essere, della realtà in sé, dell’essere trascendente. Ovviamente, un simile discorso sull’essere autentico e reale presuppone un essere inautentico, minore e apparente che gli si contrappone: il regno dei fenomeni, il regno di tutto ciò che ci è direttamente accessibile e immediatamente conoscibile.
Dunque, tra questi due mondi, tra queste due specie d’essere, riscontriamo una opposizione che è possibile ricondurre al modo in cui operiamo per conoscerle: i fenomeni ci sono immediatamente noti in quanto dati, mentre la realtà metafisica deve ricavarsi indirettamente da quelli mediante ragionamenti.
Sembra, con ciò, di essere giunti a una fondamentale concezione propria dei positivisti, i quali, infatti, parlano sempre del dato e formulano per lo più il loro principio fondamentale asserendo che il filosofo, come lo scienziato, deve assolutamente attenersi a quanto è dato, e che il trasgredire questo limite, così come tenta di fare il metafisico, è impossibile o insensato (come si diceva nel capitolo precedente: l’aspirazione dei metafisici è sempre stata rivolta all’assurdo scopo di esprimere il contenuto puramente qualitativo – l’essenza delle cose – mediante asserti conoscitivi, ossia di dire l’indicibile!).
Ma qui si apre il campo ad una notevole contraddizione, infatti, dicendo questo, è “pressoché inevitabile identificare il dato del positivismo semplicemente con i fenomeni della metafisica e credere che il positivismo, in fondo, non sia altro che una metafisica dalla quale sia stato lasciato fuori o estromesso il trascendente.”
Già il termine dato si presta a non indifferenti malintesi; il dare, infatti, presuppone una relazione triadica, una relazione in cui abbiamo qualcuno che dà, qualcun altro che riceve e, infine, qualcosa che vien dato. Ora, per il metafisico, naturalmente, tutto questo va benissimo: ciò che dà è la realtà metafisica, il ricevente è la coscienza conoscente, la quale si appropria di ciò che vien dato come un
suo contenuto. Il positivista, però, non può assolutamente accettare un simile modo di pensare e, per lui, il dato non può che essere una mera parola adottata per indicare ciò che vi è di più semplice, di meno esposto a dubbi.
Questo brano è tratto dalla tesi:
Metafisica, scienza & linguaggio. Considerazioni su alcune difficoltà insite in un approccio razionalistico all’esperienza comune nonché scientifica
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Informazioni tesi
Autore: | Angelo Azzolina |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2009-10 |
Università: | Università degli Studi di Pavia |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Filosofia teoretica, morale, politica ed estetica |
Relatore: | Lorenzo Magnani |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 206 |
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