Ansia da Competizione: Fattore negativo o positivo?
Relazione Ansia-Performance
Per poter capire come l’ansia possa costituire un elemento positivo all’interno di una competizione, è necessario, prima di tutto, comprendere in che modo essa influisca sul rendimento di un atleta.
A questo proposito, nel corso dell’ultimo secolo, sono state svolte diverse ricerche scientifiche nel campo della psicologia dello sport, le quali hanno dimostrato come esistano delle relazioni che associno la sperimentazione di determinati livelli di ansia ad una certa qualità di prestazione fornita dall’atleta.
Tra le tante teorie pubblicate, quelle che, ad oggi, vengono ritenute le più significative per lo studio sull’ansia da competizione sono (in ordine cronologico):
✓ Teoria della Pulsione;
✓ Teoria della U rovesciata;
✓ Modello IZOF;
✓ Teoria del Rovesciamento;
✓ Teoria della Catastrofe;
✓ Teoria Multidimensionale;
Teoria della pulsione
La prima teoria volta a studiare la relazione tra ansia e prestazione fu la teoria della “Pulsione”, sviluppata nel 1943 dallo psicologo Clark L. Hull.
Essa attribuisce all’ansia una natura unidimensionale, infatti, il termine “pulsione”, si riferisce esclusivamente all’attivazione psicofisiologica dell’individuo: l’arousal. Hull ipotizza un rapporto direttamente proporzionale tra arousal e prestazione, ma solo quando i compiti da eseguire risultino semplici e/o appresi correttamente. Al contrario, se il compito motorio risultasse complicato e/o non acquisito in maniera corretta, lo psicologo prevede un rapporto inversamente proporzionale, con un peggioramento delle prestazioni all’aumentare dell’eccitazione.
Un concetto fondamentale di questa teoria è la “risposta dominante”, che, in psicologia, rappresenta la reazione automatica suscitata più rapidamente e facilmente da un determinato stimolo, ossia un gesto che eseguiamo per abitudine, istintivamente.
La teoria presuppone che un incremento di arousal comporti un aumento della probabilità di comparsa di questa risposta dominante: a bassi livelli di eccitazione, l’atleta può concentrarsi sull’esecuzione del gesto tecnico; quando però l’eccitazione raggiunge livelli importanti, il cervello perde la capacità di ragionare in maniera lucida e razionale, inducendo l’atleta ad eseguire ciò che ha imparato fino a quel momento e che gli è più familiare, anche se non necessariamente rappresenti la soluzione migliore.
Tale scoperta portò lo studioso a sviluppare un’equazione che riassumesse la sua ipotesi:
Performance = Risposta Dominante x Pulsione
Per cui, nei principianti, e quindi negli atleti che non hanno ancora assimilato e appreso correttamente il gesto tecnico, questa risposta risulterà poco efficace e/o inadeguata alla situazione e porterà ad un peggioramento della prestazione; al contrario, nei professionisti, o comunque, in chi padroneggia i movimenti con una certa dimestichezza, la risposta dominante risulterà appropriata alla situazione e porterà ad un miglioramento della prestazione.
Questo spiegherebbe quindi perché gli atleti esperti riescano a giocare bene anche sotto pressione, al contrario dei principianti e inesperti che, nelle medesime circostanze, invece, non riescono ad ottenere buoni risultati.
È evidente però che, a oggi, la teoria della “Pulsione” non può essere considerata una teoria plausibile per lo studio della relazione ansia-performance, in quanto non tiene conto che, anche per gli atleti più esperti, se si supera un certo livello di arousal, inevitabilmente si incorrerà ad un calo della prestazione.
Questo brano è tratto dalla tesi:
Ansia da Competizione: Fattore negativo o positivo?
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Informazioni tesi
Autore: | Davide Ghetti |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2019-20 |
Università: | Università degli Studi di Urbino |
Facoltà: | Scienze Motorie |
Corso: | Scienze delle attività motorie e sportive |
Relatore: | Riccardo Cuppini |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 39 |
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