I ritratti di Raffaello nel periodo fiorentino (1504-1508)
Raffaello e i ritratti del periodo fiorentino
Secondo il racconto dell'erudito latino Plinio il Vecchio, nel mondo greco, soprattutto nel periodo ellenistico, e poi nel mondo romano, il ritratto era una forma d'arte con le sue funzioni specifiche. In varie parti della sua opera, Plinio si dilunga sull'uso e la destinazione del ritratto nell'antichità, individuandone così tre funzioni primarie: commemorativa, celebrativa, didattica: il ritratto di un amico e dell'amante consola quando questi si allontana, mentre l'effige del defunto ci aiuta a mantenerne viva la memoria, i ritratti dei grandi imperatori e generali instillano rispetto e devozione, oltre ad essere un forma di propaganda, mentre il ritratto di chi ha contribuito allo sviluppo culturale, morale e politico della civiltà resta uno stimolo all'emulazione per i cittadini volenterosi. Accanto a queste informazioni di tipo storico, spesso vivacizzate da note aneddotiche, Plinio indaga le origini più remote delle arti figurative raccontando alcuni degli antichi miti tramandati fino al suo tempo; lo scrittore narra che l'arte nacque dall'impulso dell'uomo di tracciare i contorni dell'ombra di un corpo proiettata su un muro84.
I miti pliniani della circumductio umbrae (circoscrizione dell'ombra) si ritrovano in numerosi autori successivi, soprattutto negli scritti degli intellettuali e artisti del Rinascimento come Leon Battista Alberti e Leonardo da Vinci. Il fatto non sorprende: la riscoperta dell'antico pre-cristiano è legata, nell'arte rinascimentale, ad un approccio più descrittivo e mimetico della realtà naturale in opposizione allo stile astratto e simbolico che era prevalso nei primi secoli del Cristianesimo. Il procedimento della circumductio umbrae contiene un chiaro riferimento alla necessità dell'arte di guardare ai fenomeni naturali.
La riscoperta dell'arte antica, e quindi del ritratto, cominciò più di due secoli prima che la penna di Leon Battista Alberti riportasse i miti pliniani alla memoria dei suoi lettori. Già nel sec. XII, alla corte di Federico II, venivano eseguiti i primi ritratti all'antica dell'imperatore e dei suoi più fedeli collaboratori, per essere collocati sulle porte d'ingresso dei palazzi, come si faceva per gli imperatori romani. Nel Trecento la moda del ritratto si diffonde nelle corti italiane ed europee, ma sono il Quattrocento e il Cinquecento i secoli in cui il ritratto si sviluppa e matura verso una concezione vicina a quella moderna. Eppure, nonostante le numerose committenze e una pratica artistica piena mente consapevole delle sue possibilità espressive, fino ai primi anni del Seicento non esiste un pieno riconoscimento teorico del ritratto come genere pittorico autonomo85. Tuttavia, il dibattito sull'arte del ritratto produce le prime formulazioni teoriche, poiché coinvolge la dicotomia tra realtà e astrazione. Nel De pictura (1436), testo fondamentale per la storia della teoria dell'arte, Leon Battista Alberti sottolinea l'importanza per un artista di trovare un giusto equilibrio tra l'exemplar, ossia il modello da ritrarre, e l'ingenium, l'intuizione che dà accesso a una conoscenza più profonda di quella del dato fenomenico86. Per spiegare il suo pensiero con un esempio, Alberti riporta un famoso aneddoto già raccontato da Plinio che avrà un successo straordinario nella letteratura artistica: il noto pittore greco Zeusi, avendo avuto la commissione dagli abitanti di Crotone di dipingere le fattezze di una donna di bellezza ideale, selezionò le parti più belle di cinque bellissime fanciulle e le combinò insieme in modo perfetto. Il racconto invita il pittore, da una parte, a non perdere il contatto con il dato reale, dall'altra a introdurre degli aggiustamenti che lo migliorano avvicinandolo all'ideale.
Nel Quattrocento italiano il ruolo egemone viene svolto dalla corte; il ritratto diventa qui un mezzo importante di propaganda, di autoaffermazione e anche di vanità. I ritratti avevano un valore di rappresentanza, e solo di rado erano destinati alla residenza dei committenti, poiché erano più di frequente inviati ad amici o a importanti personalità politiche, non soltanto in Italia ma anche Oltralpe.
Uno dei più grandi e apprezzati ritrattisti di corte dell'epoca è Antonio Pisanello (13'5-1455). Il suo famoso Ritratto di Lionello d'Este, marchese di Ferrara, glorificato dai poeti per la sua somiglianza all'effigiato, rappresenta il duca di profilo su uno sfondo vegetale con piante e fiori; il soggetto indossa un abito riccamente decorato, esplicita allusione al suo status, mentre la capigliatura leonina evoca il nome stesso del marchese, Lionello. La posa di profilo è un retaggio proveniente dai prototipi franco-provenzali: già nel Trecento la presentazione del ritrattato di profilo era comune per la figura del donatore, che in questo modo veniva a porsi su di un piano diverso da quello dell'immagine sacra. Ora, tale posa aveva anche il significato di riproporre un legame cosciente con l'antichità classica: si trattava infatti di una posa tipica dei busti dei Cesari nelle monete antiche. Non a caso il Pisanello era un appassionato collezionista di oggetti e monete antiche e sviluppò la sua carriera artistica proprio nelle corti italiane (Verona, Mantova, Ferrara, Milano, Napoli), alternando l'esecuzione di dipinti e medaglie.
Nonostante l'esempio cronologicamente parallelo dell'arte fiamminga, il ritratto continua a mantenere l'impostazione tradizionale di profilo; alle corti degli Estensi, dei Gonzaga e degli Sforza il ritratto del principe e di altri importanti membri della corte, porta al limite estremo il gusto per la glorificazione cortese, e ostenta la potenza, la virtù, l'opulenza della propria signoria, attraverso precise caratteristiche: immediata riconoscibilità, scelta di un'espressione che ponesse in evidenza le qualità umane ed il rango intellettuale dell'effigiato, mascheramento per quanto possibile dei difetti.
Anche i celeberrimi ritratti dei Duchi di Urbino di Piero della Francesca rappresentano un esempio emblematico della ritrattistica quattrocentesca: Piero, l'artista che, secondo Adolfo Venturi, aveva avuto la maggiore influenza nel Quattrocento su tutto il territorio italiano, cerca di partire dal realismo dei soggetti ma aspira ad elevarli in una dimensione che supera il tempo. Il volto di Federico è fortemente caratterizzato: occhi bombati e rugosi, mento sporgente, naso aquilino e persino alcuni porri sparsi sulla guancia. Allo stesso tempo, però, il profilo netto e preciso incastonato nell'azzurro del cielo, mentre la pelle liscia e tirata, le morbide ciocche di capelli e lo sguardo distante, collocano il duca al di sopra della caducità terrena. Il naso aquilino inoltre, associato, come dice la stessa parola, all'aquila, era considerato simbolo di regalità. Le stesse considerazioni si possono fare per il ritratto della moglie Battista, il cui volto è, allo stesso tempo, caratterizzato e sublimato. Diversamente dal marito, la donna è ornata di preziosi gioielli, elemento fondamentale nei ritratti delle dame di alto rango.
Il maggiore naturalismo dei ritratti di Piero della Francesca (e parimenti del Mantegna) rispetto a quelli del Pisanello mette in luce il tipo di trasformazione che il ritratto italiano ha subito nella seconda metà del Quattrocento per influenza dell'arte fiamminga. I ritratti degli artisti fiamminghi, sempre più noti e apprezzati in Italia nel corso del secolo, sono caratterizzati da un naturalismo più mimetico e descrittivo. Lontani dall'influenza della cultura antica e dal filone neoplatonico, attenti indagatori dei fenomeni naturali, questi artisti consideravano la presa diretta sul reale come la massima qualità della pittura. Nei ritratti di Jan van Eyck, Rogier van der Weyden, Hans Memling, Petrus Christus, ogni ruga e irregolarità della pelle è minutamente riportata sulla tela e il volto, descritto nei minimi dettagli fisionomici, è fermato in un'espressione temporanea, legata alla caducità del momento.
Dal punto di vista compositivo, la pittura fiamminga introdusse una nuova postura del personaggio raffigurato: si passò infatti dalla descrizione di profilo alla posa a tre quarti. Tale posizione permetteva una più minuta analisi fisica e psicologica del personaggio. Si passava pertanto da una convenzionalità psicologica all'analisi del reale stato d'animo del soggetto.
Le influenze fiamminghe si sentirono anche in Italia, infatti l'impostazione dei ritratti cambiò radicalmente. I pittori si concentrarono sui tratti somatici e peculiari dei loro soggetti, ripresi con gran cura dei dettagli, e sulla rappresentazione di abiti e acconciature, che ci raccontavano la storia del personaggio, le mode e le usanze dell'epoca.
[…]
84 Si tratta del racconto della giovane Dibutade, che per serbare nella memoria la figura del suo amato (un soldato che stava per andare in guerra) ne avrebbe ricalcato sul muro la sagoma dell'ombra proiettata da un lume o dalla luce solare. In seguito il padre, applicando l'argilla sullo schizzo, ne ricavò un ritratto al fine di conservare intatto il ricordo delle fattezze del ragazzo nella memoria della figlia (Naturalis Historia, XXXV, 15 e 151).
85 E anche quando è riconosciuto come genere dotato di caratteristiche autonome, il ritratto occupa una posizione di inferiorità rispetto alla cosiddetta "pittura di storia", ossia quelle rappresentazioni in cui il messaggio veicolato è dotato di una complessità narrativa capace di trascendere la mera materialità della rappresentazione (episodi della storia antica, dei testi sacri, scene simboliche o mitologiche). Nella famosa epistola del marchese Giustiniani sulla gerarchia dei generi artistici, composta nel secondo decennio del Seicento, il ritratto è al quarto posto in ordine di importanza, più in basso della natura morta e della pittura di paesaggio (CASTELNUOVO 1'73, p. 43). Anche al livello terminologico, la parola "ritratto" diventa definitivamente riservata all'immagine dell'uomo fatta a sua somiglianza soltanto nel primo decennio del Seicento. Prima di allora il termine "ritrarre" era genericamente riferito all'atto di copiare qualcosa tratto per tratto, diversamente dal termine "imitare" legato invece all'idea di dare l'immagine di qualcosa (POMMIER 2003, p. 23). Se il primo termine allude a una rappresentazione letterale del modello, il secondo implica un processo di sintesi e di astrazione rispetto al soggetto rappresentato.
86 POMMIER 2003, p. 44.
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I ritratti di Raffaello nel periodo fiorentino (1504-1508)
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Informazioni tesi
Autore: | Rossella Dimona |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2023-24 |
Università: | Università degli Studi di Siena |
Facoltà: | Beni culturali |
Corso: | Storia dell'arte |
Relatore: | Alessandro Angelini |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 211 |
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