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Pirrone, la filosofia e la Sapienza Indiana

Possibili analogie tra la sapienza indiana e il pensiero di Pirrone

Dalle testimonianze che ci sono pervenute sembra certo che Pirrone abbia partecipato alla spedizione in Oriente di Alessandro, che abbia conosciuto i gimonosofisti in India e
che abbia tratto da essi ispirazione. Lo stesso Diogene Laerzio nella sua opera Vite dei filosofi (IX 61) ci dice :

"Seguì poi Anassarco e lo accompagnò dovunque nei suoi viaggi così che ebbe la possibilità di avere dei rapporti con i Gimnosofisti in India e con i Magi. Di qui attinse maggiore stimolo per le sue convinzioni filosofiche e pare che egli si aprì la via più nobile nella filosofia, in quanto introdusse ed adatti principi della acatalessia (cioè della irrapresentabilità o incomprensione delle cose) e dell'epoche (cioè della sospensione del giudizio) : questo primato gli viene attribuito da Ascanio di Abdera."

Questa notizia è stata variamente valutata dagli studiosi i quali hanno assunto tre diverse posizioni, fra di loro assai diverse. Alcuni ne hanno negato il valore, o ne hanno ridotto la portata in maniera drastica, sostenendo che anche senza il viaggio in Oriente e l'incontro con i gimnosofisti la filosofia di Pirrone sarebbe rimasta la stessa, o che in ogni caso essa deve ben poco agli influssi non greci. Altri invece hanno ricollegato all'influsso dei gimnosofisti soprattutto alcuni tratti dell'etica pirroniana, in particolare i concetti di indifferenza e di apatheia. E qui si è insistito, ad esempio sull'episodio di Calano (cfr. supra p. 33) e dell'impressione che dovette fare la sua morte volontaria sul rogo in uno stato di totale impassibilità. Si è anche rilevato come l'influsso della sapienza orientale possa aver agito sul giudizio stesso circa il non valore delle cose. Si è riscontrata, quindi, in modo generale, una certa somiglianza tra lo scetticismo di Pirrone ed alcune modalità di comportamento, alcune attitudini attribuite al pensiero orientale in quanto entrambe sembrano condividere un certo distacco dal mondo sensibile e materiale, una tranquillità particolare ed una pace interiore che deriva da questo distacco.
Ma ci sono stati altri studiosi che si sono spinti assai oltre, proponendo un interpretazione nettamente a favore riguardo all'ipotesi di una possibile influenza del pensiero indiano sulla filosofia di Pirrone. Questi studiosi, infatti, asseriscono che vi è una forte probabilità, quasi certa, che lo stesso impianto teoretico e le stesse categorie speculative di cui si avvale Pirrone, potrebbero risalire all'Oriente.

Tra questi interpreti noi, in particolare, citeremo Flintoff il quale riscontra all'interno della filosofia di Pirrone diretti influssi Buddistici.
Flintoff inizia la sua analisi facendo riferimento a quegli studiosi che hanno proceduto nello studio del pensiero di Pirrone trascurando la sua esperienza in India, non prendendo in considerazione quelle fonti (cfr.supra p. 36) da cui risulta che Pirrone, durante il suo viaggio, incontre si associa gruppi di asceti indiani (Ind Gianisti, Buddisti) e che come risultato di questo il suo stile di vita e il suo pensiero ne uscirono fortemente trasformati. Tuttavia, continua Flintoff, gli unici motivi per cui non si dovrebbe prendere in considerazione queste notizie potrebbero essere due: 1) Il ritenere che la filosofia di Pirrone, sia nella sua forma che sia nelle sue argomentazioni, risulta essere talmente lontana da quella indiana che l'intraprendere una ricerca o approfondire l'argomento in tal senso si rivelerebbe una perdita di tempo. 2) Oppure il non considerare come affidabili le fonti di Diogene Laerzio che riguardano i contatti con l'oriente e in questo modo escluderle decisamente dalla ricerca. A proposito di quest'ultima ipotesi Flintoff afferma che effettivamente Diogene Laerzio ci riporta molte notizie che sembrano inclini a rilevare influenze orientali in molti filosofi, anche i più impensati (si citano nomi come Solone, Pitagora, Democrito, che pare abbiano viaggiato tra l'Egitto, la Persia, il Mar Rosso, l'Etiopia) e quindi potrebbero sembrare poco fondate. Ma questo, continua, potrebbe invece essere la prova che molti filosofi viaggiavano e si allontanavano dalla loro terra in cerca di nuove forme di conoscenza già molto prima del tempo di Pirrone. Pertanto si può dire che quando intraprese il viaggio in Oriente con Anassarco, Pirrone stesse seguendo una tradizione stabilita per diverse generazioni. Ci sono ampie varietà di fonti a testimonianza del fatto i Greci in quel periodo dovevano aver fatto viaggi all'Est e che i filosofi a seconda delle loro possibilità, abilità, linguistiche o economiche ampliassero i loro orizzonti al di là dei confini della Grecia per avviare discussioni con intellettuali degli esotici paesi dell'Est. Guardando al pensiero di Pirrone, sostiene Flintoff, possiamo rilevare sorprendenti affinità con una o più scuole che sembra esistessero in India al tempo in cui egli fece il suo viaggio, e pertanto si può affermare che è da lì che deriva la forma generale della sua filosofia. Flintoff individua che ciche differenzia il pensiero di Pirrone dalla filosofia greca in generale, consiste nell'approccio antitetico riguardo al metafisico. Certamente anche all'interno della tradizione greca, egli afferma, vi erano precedenti rispetto a questo tipo di posizione, che egli fa risalire al periodo dei Sofisti, e in particolare a Protagora quando affermava che ad ogni argomento corrispondono sempre due Iati ad esso opposti. Ma ci continua, non può esser confinato al pensiero greco in quanto sia le polarità che le antinomie costituiscono un marchio ricorrente nel pensiero Buddhista e risultano presenti fin dal tempo dei più antichi sutra, testi scritti che incorporavano tradizioni orali molto più antiche. E qui, si dirà, che il Buddha ha utilizzato queste antinomie all'interno del suo pensiero in modo da assumere una posizione agnostica riguardo alle questioni metafisiche. A questo proposito Flintoff cita T.R.V. Murti: " Buddha dichiara che alcuni problemi sono insolubili e inesprimibili (avyakrta). Questo è quello che si chiama agnosticismo del Buddha. Il criticismo è la vera essenza dell'insegnamento del Buddha. Egli era consapevole del carattere antinomico della ragione. Il suo rifiuto di rispondere a domande riguardanti l'inizio o la fine del mondo o domande sull'incondizionata esistenza dell'anima (jiva) e sull'essere perfetto (tathagata) era il risultato diretto della consapevolezza del conflitto nella ragione." E poi cita un altro brano, sempre dello stesso autore in cui si dice "Il dialogo di apertura del Diha Nika indica la posizione del Buddha. Egli caratterizza tutte le speculazioni come dogmatismo e rifiuta di venir attirato nella rete (jala) egli sa dell'interminabile natura del conflitto e lo risolve innalzandosi sulla posizione più alta del criticismo. Così nacque la dialettica. A Buddha appartiene l'onore di aver scoperto la dialettica molto prima che nell'Ovest venisse formulato qualcosa di vagamente simile." E continua affermando che " II criticismo è la liberazione della mente umana da tutti i coinvolgimenti sentimentali e dalle passioni. E' la libertà in se stessa ". E da ciò risulta che la formulazione e la coscienza di queste antinomie costituivano un momento necessario nel processo dell'illuminazione. Infatti Flintoff afferma che questa posizione risulta essere sorprendentemente vicina a quella di Pirrone, che ci viene presentata nel frammento di Aristocle (T53 FDC). Qui in questo frammento, l'autore, rileva una stretta connessione con la logica indiana dal momento che, per esprimere l'astensione totale dall'asserzione, Pirrone utilizzerebbe quel modo di argomentazione tipicamente indiano chiamato quadrilemma. In particolare ciò verrebbe espresso, dal punto di vista di Flintoff, in quella parte del frammento nella quale si dice che noi non potremmo dire di nessuna cosa "che è, che non è, che è e che non è, né che è né che non è." Il pensiero pirroniano affonderebbe allora le sue radici nella forma logica del quadrilemma, modo di pensare questo senza precedenti nella filosofia greca, e che risulta familiare alla logica indiana. Flintoff, poi continua la sua analisi, rilevando che il quadrilemma veniva utilizzato nella discussione di argomenti metafisici, che i Buddhisti chiamavano gli Inesprimibili (Avyakrta). Murti afferma che gli inesprimibili sono quattordici, formati da quattro gruppi di domande tre dei quali hanno quattro alternative ciascuna, mentre per l'ultimo gruppo che riguarda l'anima ne ha due ( non si sa perchè quest'ultima non venga formulata logicamente come le altre). Le domande sono tre :
1) Se il mondo sia eterno o no, o entrambi, o nessuno dei due;
2) Se il mondo sia finito o infinito, o entrambi, o nessuno dei due;
3) Se il Tathagata esiste dopo la morte, o non esiste, o entrambi, o nessuno dei due.
4) Se l'anima sia uguale al corpo o diversa da essa.

Nella composizione delle alternative troviamo, una tesi positiva alla quale s1 contrappone una controtesi negativa, queste due alternative basilari verranno affermate in maniera congiunta per formare la terza alternativa e poi verranno negate in maniera disgiunta per formare la quarta tesi. Da tutto ciò Flintoff afferma che il pirronismo nel far uso della polarità e del quadrilemma presenterà alcune evidenti affinità con il pensiero indiano. Infatti ambedue formulano antinomie in modo tale da farle sparire, e la conseguenza e il fine di questo processo è che può sopraggiungere una cera tranquillità.
Nella tradizione greca, dirà, l'uso delle antinomie avveniva per scopi diversi rispetto a quelli delle filosofie indiane. Nell'utilizzo greco vi era sempre un elemento eristico (polemico) per il quale il disputatore sfruttava le antinomie e il dubbio per avere controllo della situazione imponendo la sua versione della realtà sull'avversario confuso e sconfitto. Ma dal suo punto di vista questo non è il caso del pirronismo. Nei presocratici, nei sofisti e nei dialoghi di Platone l'aporia è utilizzata puramente come un mezzo per arrivare ad un fine ben preciso. Mentre per Pirrone l'aporia diviene il fine stesso, l'unico modo che ci è dato per ottenere un nuovo livello di coscienza tranquilla, e a questo proposito citerà le ultime righe della testimonianza di Aristocle (T53 FDC):
"A coloro che si troveranno in questa disposizione, Timone dice che deriverà per prima cosa l'afasia, poi l'imperturbabilità".
Qui Flintoffrileva che in entrambe le filosofie, sia indiana che pirroniana, l'argomento antinomiale è usato per produrre una trasformazione all'interno della coscienza umana nella quale il mondo, di cui generalmente si fa esperienza, viene improvvisamente visto come qualcosa di irreale, ciò che gli indiani chiamano con il nome maia. Procede poi con una lettura della testimonianza (T53 FDC) nella quale mette in evidenza il carattere negativo dei termini che vengono utilizzati; partendo da quelli riferiti al mondo in cui viviamo come adhiaphora, asthatmeta, anepikrita, quelli che definiscono gli atteggiamenti negativi utilizzati dal filosofo "illuminato" verso il mondo, ed in fine la descrizione negativa dello scopo stesso con i termini aphasia e ataraxia. Tutto questo viene messo in relazione con il pensiero indiano. Infatti l'utilizzo di termini negativi è presente in una buona quantità di materiali Gianisti, e soprattutto in testi Buddisti in cui i termini negativi appaiono in quasi ciascun livello di discussione, sia per quanto riguarda le descrizioni del mondo (avyakrta e anatta), sia per quanto riguarda il tipo di atteggiamento che a noi è raccomandato di avere nei confronti del mondo (ahimsa -non violenza, asteya-non rubare, aparigraha-frugalità). Mentre nella tradizione greca tutto questo risultava completamente inusuale in quanto per espnmere la idee centrali all'interno delle speculazioni filosofiche spesso venivano utilizzati termini positivi. Flintoff conclude la sua analisi affermando che Pirrone risultava essere anticonvenzionale, oltre che per le sue idee, anche con i suoi comportamenti. E fa riferimento all'impassibilità mostrata nei confronti del dolore (DLIX 67), che fa risalire alla tradizione ascetica indiana, e la sua apragmosyne (DL IX 64), mancanza di attaccamento alle cose, e in generale al mondo, in cui rivede Io stile meditativo di vita di alcuni nomadi indiani.
Tuttavia altri studiosi hanno notato che tutte le affinità che sembrerebbero esistere tra il pensiero di Pirrone e la filosofia orientale, non sono poi così fondate. Infatti sono state rilevate molteplici differenze tra questi due pensieri che invece per molti aspetti sembrano presentare delle analogie. Da quanto abbiamo visto (cfr.supra p. 39) nel Buddhismo i quadrilemmi fanno parte di una serie di domande conosciute come avyakrt, domande inesprimibili, "indeterminate", "senza risposta". Esse vengono chiamate inesprimibili perché il rispondere a tali domande oltre a risultare inutile allo sviluppo della saggezza, potrebbe costituire anche un ostacolo. Ogni risposta positiva a queste domande potrebbe costituire un pericolo, un vincolo capace di allontanare da ciche è il fine ultimo, l'assenza di passione, la quiescenza, la saggezza suprema ed al Nirvana. Allora vediamo delle similitudini tra i due tipi di linguaggi; il Buddha non dà delle risposte definitive a queste domande, e Pirrone suggerisce un linguaggio volto ad esprimere l'indeterminatezza delle cose. Inoltre il rifiutarsi di rispondere alle domande è l'unico modo per raggiungere l'assenza di "passione" la "quiescenza" , e il risultato ultimo dell'adozione del linguaggio suggerito da Pirrone sarà l'ataraxia e l'apatheia. Ma ci sono anche delle differenze che non vanno sottovalutate. Per prima cosa le parole del Buddha si riferiscono solo a quattro argomenti specifici di natura metafisica. Mentre il linguaggio suggerito da Pirrone si riferisce ad "ogni singola" cosa, cioè ad ogni cosa che nel mondo ordinario ci si presenta sotto forma di "sensazioni o opinioni" . Una seconda e forse più importante differenza è che per il Buddha il rifiuto di queste domande apre la strada verso l'illuminazione ed il Nirvana, il che complessivamente deve verificarsi ad un altro livello di consapevolezza; la vera saggezza e la vera realtà si trovano tramite la rinuncia a rispondere ad alcune domande che riguardano la realtà. Ma in Pirrone non c'è il tentativo di trovare la realtà ad un altro livello. Molti interpreti del passaggio di Aristocle hanno rilevato, infatti, che il linguaggio di Pirrone è focalizzato, esattamente, sulla reale natura delle cose, e si esprime con un'affermazione dogmatica negativa sul mondo, che non consente di cercare la verità in qualsiasi altro luogo. Da questo punto di vista allora la differenza tra i due risiede nel fatto che, il punto centrale della dottrina del Buddha si esprime con il rifiuto di rispondere ad una serie di quattro domande, di ordine metafisico e in tal modo rifiuta del tutto di essere coinvolto in tale tipo di questioni. Nel caso di Pirrone invece vediamo che egli ha un punto di vista metafisico, del quale il modulo in quattro parti è l'espressione (T53 FDC). Una conseguenza di tutte queste differenze è che per il Buddha la constatazione che a queste domande non si debba rispondere rappresenta un importante stadio di progresso all'interno del suo percorso, uno stadio, che peroccorre, superare, il prima possibile. Mentre per Pirrone l'adozione del modulo in quattro parti non è un espediente temporaneo bensì parte integrante del proprio stadio finale di conoscenza. Esso conduce all'ataraxia ed entra a far parte del proprio definitivo punto di vista sulle cose, in modo tale che si esclude un passaggio in cui esso viene sostituito con un altro più alto livello di consapevolezza. Inoltre i sostenitori, di quella che potremmo definire interpretazione orientalistica, hanno letto l'iter della testimonianza di Aristocle in funzione di puntuali corrispondenza con il pensiero indiano. Da questo punto di vista quindi, l'argomentazione indiana tetralemmatica ("è"; "non è"; "è e non è"; "né è né non è") si ritroverebbe in Pirrone e Timone (T53 FDC). Ma da studi approfonditi è stato rilevato che in questo tipo di interpretazione si incorre ad un errore di scansione logica.

Infatti vediamo, in modo più specifico, che il quadrilemma indiano è costituito da :
1) affermazione di una proposizione ;
2) negazione della medesima;
3) affermazione e negazione ad un tempo;
4) negazione sia dell'affermazione sia della negazione da un tempo;

Mentre la testimonianza di Aristocle nella quale viene esposto il pensiero di Pirrone, conterrebbe un trilemma, e non un tetralemma, in quanto essa si articola in:
1) né affermazione né negazione (non più affermazione che negazione);
2) e affermazione e negazione;
3) e negazione dell'affermazione e negazione della negazione.

L'errore allora avverrebbe a causa di un fraintendimento della formula pirroniana che non pone mai separatamente affermazione o negazione, ma sempre le unisce con l'espressione" non più questo che quello". Inoltre è stato rilevato che questa forma ha i suoi precedenti nel pensiero greco; la ritroviamo infatti in Platone ( Theaet.l 71a, I 82e ) come anche in Aristotele (Metaph. IV 1008 a 30-34). Non risulta allora legittimo fare inferenze su questa base per trarre conclusioni a proposito dell'influsso della filosofia indiana su Pirrone. Alla luce di questo, allora, per riguarda gli aspetti nei quali, in generale, sono state riscontrate similitudini tra dottrine scettiche e dottrine indiane sarà più opportuno, in mancanza di prove più puntuali e precise, non parlare di derivazione ma tutt'al più di convergenza.
Da quanto rilevato, si può affermare che ci sono molte ragioni per cui non è facile stabilire in termini concreti la portata dell'influsso dei sapienti orientali su Pirrone. Ma nel caso non si voglia rinunciare a porre questo problema e quindi continuare ad indagare sulle possibili motivazioni che spingevano i Greci a sottolineare con tanta enfasi l'importanza dell'Oriente rispetto al filosofo di Elide, ci si può trovare davanti a due vie, entrambe per certi aspetti insoddisfacenti. La prima consiste nell'esaminare il materiale greco sui gimnosofisti, cercando eventuali elementi affini in quest'ambito; per questa strada emergeranno, inevitabilmente, soprattutto alcuni tratti di carattere esteriore, legati al comportamento. L'altra via che alcuni studiosi hanno cercato di percorrere, si sforza piuttosto ricogliere affinità intrinseche tra il pensiero indiano ricostruito tramite le sue fonti precipue e la filosofia di Pirrone (come abbiamo esposto nel corso di questo paragrafo questo è anche il caso di Flintoff 8). Questo tentativo che dal punto di vista teoretico, a m10 avviso, è molto interessate, tuttavia da quanto è emerso da molti studi in proposito si scontra con una serie di problemi assai rilevanti: in primo luogo occorre chiedersi quale fosse la comunicazione storicamente possibile di dottrine complesse come quelle indiane; a tale proposito si può ricordare il racconto di Onesicrito che attesta l'impossibilità di comunicare tramite tre interpreti esperti se non tanto della lingua, tanto meno abili nella comprensione di concetti filosofici. Sarebbe come, egli dice, se si volesse ottenere acqua pura facendola passare attraverso il fango. In secondo luogo possiamo aggiungere che questa strada può essere percorsa soltanto allorché sia possibile delineare un quadro storicamente abbastanza sicuro della dottrina pirroniana antica. E a questo proposito, come più volte è stato ricordato, questo è un percorso che presenta molti ostacoli dal momento che Pirrone non ha lasciato testi scritti.
In conclusione possiamo dire, in accordo con quanto afferma Hankinson, che Pirrone usava argomenti di tanto in tanto, ed egli era un uomo di poche parole. Ma l'ipotesi di un influenza diretta dell'India su Pirrone rimane tuttavia priva di prove, non è pertanto completamente da escludere l'ipotesi che egli abbia avuto un mentore indiano. Ma le sue radici più profonde sono da ricercare sicuramente in Grecia.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Pirrone, la filosofia e la Sapienza Indiana

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Informazioni tesi

  Autore: Ortensia Galanti
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2005-06
  Università: Università degli Studi di Roma La Sapienza
  Facoltà: Filosofia
  Corso: Filosofia
  Relatore: Emidio Spinelli
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 52

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