I mercati interni del lavoro: teorie classiche e nuove prospettive di analisi
Mercati interni del lavoro “chiusi”, “aperti” e “bloccati”.
Un ulteriore sviluppo del concetto di MIL si ha con l’inizio degli anni Novanta , quando viene posta particolare attenzione sul ruolo di regolazione sociale che i mercati interni avrebbero dovuto svolgere. Durante la fine degli anni Ottanta inizia infatti un periodo di crisi delle forme di macro-regolazione dei sistemi economici nazionali. Questo è stato dovuto principalmente alle nuove forme di competizione globale sui mercati internazionali e all’accresciuta necessità di flessibilità delle imprese che ha prodotto una maggiore integrazione dei ruoli lavorativi ed una responsabilizzazione della forza lavoro, nonché, alla crisi endogena delle politiche pubbliche centrali, dovuta alla mancanza di efficienza nella solidarietà, all’indebitamento finanziario degli Stati nazionali e ai costi dell’apparato pubblico che incidono sulle possibilità stesse di competizione del settore privato. La crisi dei meccanismi centrali di tutela ha trasformato le forme di regolazione del sistema economico, da una dimensione pubblica di tipo legale ed amministrativa, ad una dimensione micro-sociale di tipo economico e di mercato (Della Rocca, 1996). I sistemi organizzativi d’impresa, caratterizzati da una gestione della forza lavoro fondata su una complessa rete di regole interne (i mercati interni del lavoro), in parte negoziate dalle rappresentanze sindacali, ritornano ad essere considerati come importanti strumenti di regolazione sociale. Già parte della letteratura sociologica ed economica dei primi anni Sessanta (Kerr et al.,1960) espresse infatti le stesse idee, seppure con accezioni più radicali, affermando che le relazioni interne alle organizzazioni erano lo strumento più efficiente ed efficace di regolazione sociale e di tutela dei lavoratori. Ovviamente questo concetto è solo in parte condiviso dalle nuove teorie che infatti considerano l’utilizzo di regole interne alle imprese solo come un aspetto, seppur molto importante, della regolazione sociale del mercato del lavoro. Proprio la maggiore complessità delle relazioni di lavoro e di impiego sopraggiunte con le nuove riforme legislative in tema di lavoro, e le sempre più forti richieste di flessibilità provenienti dalle imprese a seguito dell’accentuata instabilità dei mercati, hanno contribuito ad incrementare la funzione regolativa dei MIL durante tutti gli anni Novanta. L’importanza assunta da fattori come l’affidabilità, la qualità, il rispetto di tempi di scadenza più tassativi, i costi di formazione e coordinazione del lavoro hanno posto sempre più l’attenzione sulla necessità da parte delle imprese di incrementare lo sforzo per controllare le dinamiche del mercato. Anche nel caso di rapporti di fornitura o di utilizzo di forme di occupazione secondaria come ad esempio contratti di lavoro a tempo determinato, a progetto o part-time , le imprese troveranno sempre conveniente disciplinare tali rapporti tramite l’utilizzo delle regole del proprio mercato interno del lavoro. Per questa ragione le imprese tenderanno, ove possibile, a mantenere rapporti di impiego e collaborazione, sebbene occasionali o a tempo parziale, sempre con gli stessi interlocutori (Della Rocca, 1996).
Questa analisi ci mostra come, a partire dagli anni ’90, nonostante il mercato avesse già palesato tratti di instabilità e le imprese fossero già alla ricerca di forme di impiego flessibili, ci sia stata una rivalutazione dell’importanza dei MIL, soprattutto da parte delle singole imprese, rispetto al decennio precedente. Ciò che risulta oltretutto evidente è il fatto che questo orientamento non abbia seguito regole precise ed uniformi. Questa è l’interessante tesi che emerge da un’analisi compiuta su un campione di aziende tra il 1990 e il 1995, e contenuta nell’opera di Giuseppe Della Rocca: “Lavoro pubblico, lavoro privato”(1996). Della Rocca, attraverso lo studio dell’organizzazione di varie imprese appartenenti a quattro diversi settori (produzione di autoveicoli, informatica, servizi pubblici locali e pubblica amministrazione), riesce a mettere in evidenza la presenza di tre diverse tipologie di mercati interni. Con quest’opera di ricerca empirica si supera definitivamente la concezione univoca di mercato interno. Doeringer e Piore infatti, pur sostenendo che gli scopi e le strutture dei mercati interni potevano variare considerevolmente tra imprese ed occupazioni diverse, consideravano il mercato interno della grande impresa industriale come il modello dominante.
Il primo tipo di mercato interno individuato dall’analisi di Della Rocca, e corrispondente a quello dell’industria automobilistica. Questo viene definito come “chiuso”, e si ricollega a quello delineato appunto da Doeringer e Piore , pur con le dovute differenze dovute ovviamente alla diversa congiuntura economica e alla novità rappresentata dal fattore flessibilità. In questa realtà la mobilità interna rappresenta non solo un indice di carriera o di status ma costituisce un fattore intrinseco della prestazione lavorativa. L’attività formativa è utilizzata per addestrare non solo ad una specializzazione funzionale ma per ottenere una maggiore interfunzionalità delle attività e delle skills. In questo tipo di industria si tenta di realizzare una maggiore responsabilizzazione attraverso un’apertura dei ruoli ed una minore predeterminazione delle attività.
Il secondo tipo di mercato interno viene definito come “aperto”ed è stato individuato dallo studio di diverse aziende appartenenti al settore della produzione di software. In questo caso la struttura amministrativa e burocratica è più snella rispetto al caso precedente, i rapporti di impiego sono più flessibili (rapporti di consulenza,a termine..) ed il turn-over è elevato. Lo sviluppo di carriera è segnato da un tipo di apprendimento professionale che consiste nella disponibilità a cambiare spesso mansioni, nell’interazione con i professionisti senior[Della Rocca, 1996], nella formazione sul lavoro e fuori dal lavoro ed in percorsi formativi personali e mai formalizzati. Il termine aperto indica il fatto che questo tipo di organizzazioni e di relazioni siano più esposte al mercato e meno burocratizzate, infatti la contrattazione collettiva è spesso debole o inesistente e le carriere possono essere sia interne che esterne alle aziende.
Il terzo tipo di mercato viene definito “bloccato” ed indica quel tipo di organizzazioni corrispondenti ai settori del servizio pubblico locale e dell’Amministrazione dello Stato. Con questo termine si vuole indicare un tipo di struttura in cui la mobilità viene circoscritta a quella in entrata ed in uscita. Il modello burocratico è caratterizzato da legami deboli, tendenti a frammentare la forza lavoro, da un’assenza di strumenti di integrazione delle attività, da una debolezza del vertice strategico e dalla mancanza di una struttura organizzativa sufficientemente rigida da permettere la definizione di regole e procedure di coordinamento tra le varie funzioni. Le caratteristiche del mercato interno si riscontrano soprattutto nelle garanzie del rapporto d’impiego, quali la sicurezza del posto a vita, negli orari lavorativi invidiabili e nei trattamenti pensionistici privilegiati. Durante gli ultimi anni questo settore è stato interessato da numerose riforme che ne hanno aumentato il grado di strutturazione organizzativa seguendo il modello delle aziende private, aumentandone l’efficienza e l’efficacia. Sono stati introdotti interventi mirati a facilitare ed implementare il controllo dei risultati delle prestazioni e dei costi di gestione, ed è stato riformulato il fin troppo generoso sistema di garanzie di cui usufruivano i dipendenti pubblici.
Quest’analisi, condotta nei diversi settori della vita economica e sociale di una società a capitalismo avanzato come quella italiana, ha provato dunque l’esistenza di più tipi di gestione interna della forza lavoro riconducibili a tre modelli di mercato interno, ognuno dei quali, dà luogo a strategie differenti attraverso cui affrontare il cambiamento, l’innovazione ed il bisogno di flessibilità richiesti dall’instabilità del mercato. L’orientamento delle imprese a favorire la creazione di queste forme interne di regolazione sociale della forza lavoro non segue, pertanto, regole precise ed uniformi. Spesso questo “eclettismo manageriale”(Della Rocca, 1996) non è solamente il risultato di una scelta razionale ponderata in base ad un calcolo di costi e benefici, ma può anche essere frutto dell’incertezza sulle soluzioni da adottare.
La variabilità delle regole del gioco costituisce infatti la principale novità dei MIL attuali rispetto a quelli dei primi anni ’70, quando la situazione economica favoriva una elevata stabilità del livello occupazionale ed un’omogeneità dei criteri che regolavano l’organizzazione interna, come la seniority, la job evaluation, i sistemi di incentivi, di cottimo e lo stesso tempo da dedicare al lavoro.
Questo brano è tratto dalla tesi:
I mercati interni del lavoro: teorie classiche e nuove prospettive di analisi
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Informazioni tesi
Autore: | Alberto Ferri |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2009-10 |
Università: | Università degli Studi di Firenze |
Facoltà: | Scienze Politiche |
Corso: | Scienze dell'amministrazione |
Relatore: | Annalisa Tonarelli |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 79 |
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