Altrimenti che essere. Soggettività e creaturalità in Emmanuel Lévinas

Il pensiero di Emmanuel Levinas è stato spesso accusato di annullare la soggettività in nome dell'Altro. Al contrario, a mio parere, la sua riflessione filosofica mira a superare quel concetto di soggettività, che formatosi nel corso del pensiero moderno, ha trovato il suo culmine nell'Io trascendentale. Contro questa, che per lui rappresenta una «riduzione» dello stesso soggetto ad una totalità onnicomprensiva e astratta, Levinas propone una sua particolare difesa e rivendicazione della soggettività, riprendendo l'istanza della filosofia di Rosenzweig, secondo cui: «Il soggetto umano – io - [...] non è [...] un momento del concetto». Come si vede, la prima nota che caratterizza il soggetto in Levinas è di non poter essere ridotto a forma concettuale, a momento di uno Spirito, o di una qualsiasi altra forma essenziale. La soggettività, che per l'autore coincide con l'umanità, è «il se stesso che respinge le annessioni dell'essenza». La singolarità è, dunque, irriducibile alla totalità o al genere umano. Ogni uomo è un genere a se stante: «si tratta di pensare la possibilità di uno sradicamento dall'essenza [...] la soggettività è il nodo o lo scioglimento dell'essenza». Da dove viene questa necessità di pensare altrimenti e di distaccarsi dalla filosofia occidentale? Levinas risponde in questo modo: «Se l'essere - malgrado o a causa della sua finitezza - ha un'essenza inglobante [...] la veracità del soggetto non avrà altra significazione che questa cancellazione davanti alla [sua] presenza [...] il soggetto non sarebbe l'origine di alcuna significazione - indipendentemente dalla verità dell'essenza che il soggetto serve». Dunque, l'annullamento del soggetto che viene rimproverato a Levinas, avverrebbe proprio ad opera di quella filosofia occidentale, che ritiene importante giustificare la libertà e il potere assoluto del soggetto contro ogni limitazione rappresentata dall'Altro, dal non-io: «La comunicazione sarebbe impossibile se dovesse cominciare nell'Io, soggetto libero dinanzi al quale ogni altro non sarebbe che limitazione invitante alla guerra». Come si vede da questo passo, ciò che muove Levinas ad opporsi alla riduzione della soggettività ad essenza non è un esigenza speculativa, che finirebbe col riproporre il nulla al posto dell'essere, ma è un'esigenza che possiamo già da subito definire etica: «Bisogna trovare all'uomo una parentela diversa da quella che lo lega all'essere - il che permetterà, forse, di pensare questa differenza tra me e l'altro [...] in un senso assolutamente opposto all'oppressione».

L'esigenza levinasiana della difesa della singolarità contro la totalità come sistema compiuto, deriva evidentemente dal suo background ebraico. La tradizione ebraica, infatti, abbraccia tutte le interpretazioni bibliche divergenti e anche contraddittorie, senza imporre alcuna sintesi conclusiva e, anzi, lasciando sussistere la ricchezza delle differenze. La parola di Dio è l'assolutamente concreto e quindi non può mai essere portata a compimento, essendo sempre fonte viva e voce che non si spegne. In tal senso la totalità del vero è realizzata dall'apporto di ognuno. Da qui l'importanza del singolo, a cui è dedicato esclusivamente un volto della Torah, la cui comprensione non potrebbe costituirsi senza di lui e una concezione di Verità che in quanto profezia e testimonianza, eccede l'ordine impersonale dello svelamento di un neutro, senza perciò soccombere ai pericoli del soggettivismo.