Gli strumenti di contrasto al lavoro sommerso
Lavoro sommerso, piccola impresa e Mezzogiorno
Un approccio al mondo del “lavoro sommerso” che prescinda da una distinzione in ordine alla dimensione dell’impresa, rischia di determinare un’analisi incompleta e poco funzionale del fenomeno, il quale assume proporzioni più rilevanti e significative con riferimento alla piccola impresa, piuttosto che alla grande impresa.
Strettamente connesso alla questione della dimensione dell’impresa, è il ruolo delle rappresentanze sindacali.
È fuori di ogni dubbio che nei grandi distretti industriali le associazioni sindacali sono maggiormente presenti e ivi possono fruire di un più ampio raggio d’azione; parimenti è inopinabile che la diffusione del lavoro sommerso è accentuata laddove è meno forte la presenza sindacale.
[…]
Inoltre, pur volendo prescindere dal ruolo dei sindacati, la piccola impresa di per sé facilita il mimetismo ed in qualche modo protegge, nella prevalenza della frammentazione, le forme irregolari di attività.
Una conferma di queste circostanze viene fuori, in maniera evidente, affiancando la mappa che raffigura la distribuzione dei grandi distretti industriali in Italia, e la mappa nazionale del rischio di sommerso: le due immagini sono perfettamente speculari ed è difficile credere che tale circostanza sia il frutto di una banale coincidenza.
Le differenze strutturali del lavoro sommerso tra nord e sud sono sostanziali.
Le imprese del nord si caratterizzano per la prevalente diffusione di forme di lavoro sommerso “di convenienza”, nelle quali la collusione tra datore e lavoratore prende forma di lavoro grigio: l’irregolarità è parziale ed i soggetti spesso sono già tutelati dal punto di vista previdenziale ed assicurativo. Nella maggior parte dei casi l’irregolarità consiste nella corresponsione fuori della busta paga di straordinari e di altre componenti della retribuzione. Il lavoro nero, invece, nelle imprese settentrionali si concentra quasi esclusivamente tra gli immigrati clandestini.
Al sud, prima ancora che di “convenienza” si deve parlare di “sopravvivenza”, laddove la gran parte delle imprese sceglie le (illecite) convenienze economiche del sommerso per evitare lachiusura delle strutture produttive, non essendo in grado di sostenere gli oneri legali connessi all’imposizione fiscale ed al costo del lavoro.
Inoltre il lavoro sommerso nel Mezzogiorno si caratterizza per la presenza di lavoro irregolare in senso stretto, in misura pari a circa il triplo di quello normalmente presente nei paesi industrializzati.
Ad accentuare questa differente impostazione del sommerso sul territorio nazionale e ad aggravare ulteriormente la già precaria situazione delle imprese del Sud, concorrono in varia misura altri fattori quali: l’eccesso di offerta di lavoro rispetto alla domanda, un prezzo legale del lavoro significativamente più elevato di quello di equilibrio, l’influenza sul territorio delle grandi organizzazioni criminali, la commistione tra attività sommerse ed attività illecite, la presenza di immigrati, la disoccupazione, la depressione economica.
Per quanto attiene agli aspetti economici del lavoro sommerso nel Mezzogiorno, la spinta verso l’economia sommersa proviene anche e soprattutto dal costo di produzione del lavoro, significativamente più elevato di quello di equilibrio.
Questo discorso concerne la produzione di beni facilmente trasferibili nello spazio che, utilizzando materie prime facilmente trasferibili, tende a localizzarsi nelle regioni nelle quali il costo di produzione del lavoro è più basso. Nel meridione tuttavia, il costo del lavoro è più alto in ragione della minore produttività dei fattori produttivi e della minore redditività media delle imprese.
È questa la causa principale del ricorso all’economia sommersa nel Mezzogiorno. Il piccolo imprenditore del Mezzogiorno per ottenere un prezzo del lavoro che renda l’impresa competitiva su scala nazionale ha, spesso, come unica scelta l’evasione degli obblighi legali connessi al costo del lavoro in generale.
È questo il sommerso “di sopravvivenza” cui si accennava prima, in contrapposizione al sommerso “di convenienza” tipico delle imprese del centro-nord.
Il discorso è differente per le produzioni a mercato locale, laddove le produzioni comportano un costo del lavoro identico per tutte le imprese che operano all’interno di uno stesso mercato. In questo contesto la riduzione dei costi del lavoro ottenuta violando le regole sull’utilizzazione del lavoro e sulla sua remunerazione, costituiscono il tipico esempio di “sommerso di convenienza” tipico delle imprese del centro-nord, ma presente anche nel Mezzogiorno.
Con riferimento alle difficoltà delle imprese meridionali a sostenere i costi del lavoro, va sottolineato che nel Mezzogiorno la tecnica della fiscalità agevolata, utilizzata dal legislatore per contrastare il fenomeno del lavoro sommerso e favorirne l’emersione, non ha prodotto gli effetti che si pensava potesse produrre. Ciò si spiega con la massiccia presenza di imprese che utilizzano la medesima capacità produttiva per produrre beni regolarmente fatturati e dichiarati al fisco e beni completamente sconosciuti alle autorità competenti. La coesistenza dei due processi produttivi fa sì che la quota di produzione al nero possa beneficiare, più o meno direttamente, di una serie di vantaggi (impianti produttivi tecnologicamente avanzati e notevole “portafoglio-clienti”) generalmente estranei alle imprese completamente sommerse.
Così, in questi casi, le sanatorie/condono e l’erogazione continua di incentivi fiscali hanno spinto questo genere di imprese ad emergere parzialmente, al solo scopo di fruire dei benefici previsti, continuando tuttavia ad operare anche nel sommerso.
Per quanto concerne i rapporti tra il lavoro sommerso e l’economia criminale, negli ultimi anni il dato più significativo riguarda le strategie della criminalità organizzata, le quali si stanno progressivamente affrancando delle comuni attività illecite, secondo la c.d. strategia dell’immersione o di mimetizzazione. Se un tempo le grandi organizzazioni criminali (Mafia, Ndrangheta, Camorra) si limitavano a trarre dal mondo dell’imprenditoria rendite parassitarie (pizzo, racket, estorsioni, tangenti) oggi con la strategia dell’immersione le cosche partecipano attivamente alla vita imprenditoriale, realizzando attività lecite ed illecite con prevalente utilizzo di manodopera irregolare.
Le organizzazioni criminali hanno così prescelto di misurarsi in un ambito, quello del lavoro sommerso, che per la frammentazione e la scarsa lesività delle condotte punibili costituisce uno dei canali più fecondi di accumulazione delle ricchezze.
I vantaggi economici derivanti dall’utilizzo di manodopera illegale sommati all’influenza che le organizzazioni criminali hanno sul territorio, creano un mix di condizioni che alterano notevolmente le condizioni di competitività sul mercato, falsano la concorrenza e limitano lo sviluppo economico del territorio.
In definitiva i piccoli imprenditori del meridione, che già si trovano ad operare in contesti di depressione economica, devono sopportare gli ulteriori costi e le condizioni insite nei mercati ai quali partecipano le grandi associazioni criminali.
Interventi efficaci, diretti alla regolarizzazione delle attività sommerse riconducibili alle grandi organizzazioni criminali, non ci sono stati. Per abbassare il costo del lavoro nel Mezzogiorno e rendere competitive le imprese locali sul mercato nazionale non basta una remunerazione del lavoro più bassa al Sud che al Centro-Nord. E per stimolare la competitività delle imprese meridionali non sono bastati gli incentivi previsti per gli investimenti nel Mezzogiorno.
In tale situazione non ci si deve meravigliare se, in presenza di un forte eccesso dell’offerta, rispetto alla domanda di lavoro, si siano sviluppati nel mezzogiorno efficienti distretti industriali sommersi, alimentati da attività produttive non rispettose di regole incompatibili con la loro sopravvivenza.
Questo brano è tratto dalla tesi:
Gli strumenti di contrasto al lavoro sommerso
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Informazioni tesi
Autore: | Francesco Dolce |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2006-07 |
Università: | Università degli Studi del Sannio |
Facoltà: | Economia |
Corso: | Scienze dei servizi giuridici |
Relatore: | Marco Mocella |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 101 |
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