Naturalizzazioni e forme di biopolitica. Evoluzionismi, natura umana e suoi processi di politicizzazione.

L’adattazionismo ha dunque mostrato i suoi limiti. Architetture filogenetiche lette come adattamenti quando evidentemente non lo sono, postulata direzionalità di un processo di selezione che non è direzionale e non si intende di futuro, incapacità di spiegare un’ampia casistica di importanti fatti evolutivi. Fin qui abbiamo visto come il criterio dell’adattamento oltre a non essere in grado di rendere conto di tutta una serie di fattori, sia anche spesso utilizzato impropriamente per descrivere dei cambiamenti evolutivi che non hanno nulla di adattativo, denotando così una mancanza linguistica. E dal momento che sappiamo che il linguaggio è sempre situato, dovremmo andare ad approfondire quello che si cela dietro questa imprecisione lessicale. Prestare attenzione al linguaggio di una scienza è utile per comprenderne le modalità di operare e le metafisiche di sfondo, poiché nostro linguaggio non è neutro, e ogni termine porta con sé il bagaglio culturale ed epistemologico che gli conferisce un senso e un significato precisi. Pertanto dal linguaggio che si utilizza dipendono gli stessi orizzonti di pensabilità che possono essere permessi o preclusi dall’utilizzo di una certa terminologia, la quale direziona costantemente, anche se non sempre ce ne accorgiamo, sia le domande che gli ambiti in cui cercare le risposte.
Focalizzandoci sul termine “adattamento”, troviamo definito come adattamento ogni cambiamento vantaggioso che assicura una buona corrispondenza tra l’organismo e il proprio ambiente, e lo troviamo riconosciuto attraverso due differenti criteri: la genesi storica, cioè quando ci troviamo in presenza di caratteristiche che la selezione naturale ha forgiato per la funzione che svolgono, e l’utilità attuale, cioè quando alcune caratteristiche, indipendentemente da come si sono sviluppate nel corso dell’evoluzione, ricoprono oggi un ruolo adattativo.