Il valore nominale delle azioni nelle società quotate in Borsa

La tradizione legata al valore nominale delle azioni antecedente la riforma societaria vede la partecipazione sociale essenzialmente come una ‘partecipazione al capitale’. Considerando infatti il complesso del capitale sociale come il totale di riferimento della società, la quota di partecipazione di ciascun socio risulta dal rapporto tra il valore nominale delle azioni possedute e il capitale nominale: si partecipa alla società in quanto e nella misura in cui si partecipa al capitale.
Attraverso la novità delle azioni prive di valore nominale si realizza un distacco tra partecipazione e capitale sociale, in quanto viene meno l’elemento di unione.
La ‘partecipazione alla società’ intesa in senso stretto si basa sul concetto che l’azione in se stessa rappresenta un’unità di misura della partecipazione; la quota di ciascun socio pertanto può essere espressa dal rapporto tra il numero di azioni possedute e il numero complessivo delle azioni emesse.
L’adozione di questa prospettiva evidenzia alcuni limiti presenti nel concetto tradizionale di partecipazione sociale. Esprimendo infatti la quota di partecipazione di ciascun socio come un rapporto che ha per denominatore il totale delle azioni emesse, ne risulta che tale quota venga modificata ogni qual volta muti il numero totale delle azioni mentre non risulta modificata qualora venga modificato il capitale nominale senza emissione di azioni. D’altro canto, se si considera invece il metodo basato sul valore nominale, la percezione della variazione della quota è meno evidente soprattutto in quelle operazioni in cui non varia il valore nominale
ma si incrementa il numero delle azioni, sicché ciascuna delle azioni viene a rappresentare una quota di partecipazione minore anche se formalmente rimane identica.