Alessandro Manzoni: Filosofia del linguaggio e filosofia dell'arte fra verità e convenzione

Se l'arte dunque deve porsi come qualcosa di oggettivo, o quantomeno "estraneo" alla soggettività, ne segue che essa debba distanziarsi anche dalle passioni soggettive. Contrariamente all'idea aristotelica che considerava i poeti più efficaci "quelli in atto di passioni", Manzoni sostiene che le passioni, inevitabilmente vengano a far parte della poesia, che "dipinge", per così dire, le emozioni, ma che ciò non sia finalizzato a "muovere" le passioni, bensì ad animare la riflessione del lettore. Scrive a tal proposito:

"Opinione ricantata e falsa: che il poeta per interessare deve muovere le passioni. Se fosse così sarebbe da proscrivere la poesia. Ma non è così: la rappresentazione delle passioni che non eccita simpatia, ma una sentita riflessione che è più poetica di ogni altra".

Si dischiude in queste parole una chiave interpretativa della nozione manzoniana di "passione". L'arte non deve essere intuizione di un'empatia col personaggio alle cui gesta noi assistiamo come spettatori, ma intuizione del vero, e solo secondariamente commozione per quel vero. La distinzione tra sentimento e giudizio si fa qui evidente. La commozione provata davanti all'opera d'arte deve essere qualcosa di diverso dalla mera identificazione psicologica con l'oggetto artistico. Distanziandosi dall'esser corrispondente alle passioni rappresentate, il sentimento di commozione è una sorta di "simpatia al bene" gradita allo spettatore, ma non per questo immedesimazione con l'oggetto rappresentato, sostituita, invece, dalla riflessione. Una riflessione fondata sulla percezione del vero, e inerente al sentimento solo in modo secondario. Il predominio della razionalità come giudizio deve quindi varcare la soggettività e il sentimento, concedendo alla "riflessione sentita" e, quindi, all'intuizione del vero lo spazio primario.