L'etica della cura: le tesi di J. Tronto e M. Nussbaum a confronto
La debolezza e la forza della cura
All'interno della prospettiva dell'etica della cura, Tronto è consapevole di due caratteristiche della cura, ossia la sua debolezza e, contemporaneamente, la sua forza. La debolezza principale risiede, secondo l'autrice, nella connessione della cura con l'ambito privato, con le emozioni, i sentimenti e la condizione di bisogno, dimensioni che si oppongono nettamente a qualità dotate di notevole valore all'interno della società odierna, quali il successo pubblico, la razionalità e l'autonomia.
Anche trattare la cura considerandola come una disposizione piuttosto che come una pratica mette in evidenza la sua debolezza. Tronto fa riferimento a pensatori come ad esempio Jeffrey Blustein, che pensano alla cura come ad un'attitudine o disposizione e la considerano non tanto in riferimento alle attività che le appartengono, bensì rispetto all'investimento emotivo che viene fatto all'interno di tale processo. Come disposizione o emozione la cura può essere facilmente privatizzata e resa sentimentale, e in questo modo si rischia di perdere la realtà della sua complessità, oltre che la sua profonda integrazione con ogni aspetto della vita umana.
Tronto con questo non vuole affermare che la cura non abbia nulla a che fare con le disposizioni o le emozioni, ma vuole mostrare come tali dimensioni ne descrivano esclusivamente una parte: solo se pensiamo la cura come una pratica siamo in grado di prendere in considerazione l'intero suo contesto, che attribuisce importanza anche gli interessi di chi la riceve e le abilità e il ruolo di chi la presta.
Un'ulteriore debolezza della cura viene messa in evidenza dalla svalutazione del suo significato, attraverso la correlazione tra la cura e la sfera privata.
Nella nostra cultura si ritiene generalmente che la cura sia una preoccupazione privata, alla quale si deve provvedere all'interno della sfera domestica; nel momento in cui in questo ambito non si riesce adeguatamente a provvedervi, allora interviene il mercato o il pubblico. Tuttavia l'idea che la cura debba essere privata supporta ulteriormente la percezione che la cura non sia una preoccupazione sociale, ma un problema dei singoli individui: relegata in questa dimensione, alla cura viene sottratto ulteriormente il suo aspetto positivo.
A diminuire la forza della cura contribuisce ulteriormente la svalutazione dovuta al disprezzo per i destinatari della cura stessa.
Richiedere cura significa avere un bisogno: poiché la condizione di bisogno è concepita come una minaccia all'autonomia e all'indipendenza, coloro che avranno più bisogni da soddisfare appariranno meno autonomi, quindi meno forti e capaci. Questo porta, secondo l'autrice, a costruire un'immagine delle persone bisognose come meritevoli di pietà; ciò influenza anche il riconoscimento dei propri bisogni, che diviene sempre più difficile per la paura di essere disprezzati. La diretta conseguenza della dinamica descritta è la costruzione di una distanza tra le persone bisognose e la gente comune, che crede di non avere bisogni e che considera i destinatari della cura non meritevoli di dignità e rispetto.
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Informazioni tesi
Autore: | Cristina Trabucchi |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 2008-09 |
Università: | Università degli Studi di Milano |
Facoltà: | Filosofia |
Corso: | Filosofia |
Relatore: | Amedeo Vigorelli |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 215 |
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