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La colpa come momento critico dell'esistenza in Karl Jaspers

La colpa della Germania: una questione ancora aperta? Il 'passato che non vuole passare'

Nel 1962 Karl Jaspers aggiunge al suo scritto sulla Schuldfrage una postfazione non molto rassicurante. Emerge uno Jaspers sinceramente preoccupato per la conduzione democratica della Germania e molto deluso dai risultati del processo di Norimberga. Anni prima aveva guardato con fiducia alla «creazione di un diritto mondiale e di una situazione mondiale in cui, mediante la forza comune delle maggiori potenze, sarebbero stati puniti i delitti chiaramente definiti»101. Tuttavia, tali aspettative vennero ben presto deluse.

Per esempio, risultava paradossale in un tribunale che si diceva abbracciare il pensiero giuridico anglosassone la presenza di un giudice proveniente dalla Russia bolscevica che, di fatto, «non riconosceva assolutamente quel diritto sul quale il tribunale doveva essere fondato»102. Inoltre, il processo si era orientato esclusivamente all'interno della colpa giuridica senza approfondire in alcun modo colpe specificamente morali. La conseguenza di ciò fu che non tutte le personalità coinvolte nell'esperienza nazista ebbero quel che si meritavano. Jaspers fa nomi e cognomi: «perciò si ebbe l'assoluzione di Schacht, di von Papen, di Fritsch, nonostante venisse pronunciata da parte del tribunale la condanna morale delle loro azioni»103.

Jaspers, nel suo resoconto, ci offre un'importante lezione che noi tutti dovremmo mantenere viva nel nostro orizzonte culturale, politico e civile: anche se ci siamo liberati dal nazismo come evento storico, non ci siamo ancora liberati da ciò che ha reso possibile il nazismo. Il profondo e terrificante monito di Jaspers viene condiviso anche da Arendt, sua allieva, che nell'epilogo del suo La banalità del male così scrive:

Questa fosca possibilità non è affatto da escludere, per ragioni sia generali che particolari. È nella natura delle cose che ogni azione umana che abbia fatto una volta la sua comparsa nella storia del mondo possa ripetersi anche quando ormai appartiene a un lontano passato
104.

Non è dunque da escludere che dal ventre molle della società possano nascere forme non necessariamente uguali, ma abbastanza simili a quelle che il Novecento ha tragicamente testimoniato. Sicché alle domande: i tedeschi, a distanza di ormai quasi vent'anni dalla fine della guerra, hanno finalmente espiato tutte le loro colpe? I tedeschi, in fondo, hanno realmente fatto i conti con il loro passato? Jaspers risponde ancora negativamente.

La questione sollevata da Jaspers sulla responsabilità collettiva del popolo tedesco rimane aperta anche sul finire degli anni Ottanta. Ciò è testimoniato da un dibattito che, proprio in quegli anni, ha interessato storici, filosofi, politici e politologi. Parliamo della cosiddetta Historikerstreit (disputa tra storici)105, una controversia storiografica che ha come oggetto l'Olocausto e il 'passato che non vuole passare'. Il passato nazionalsocialista della Germania è realmente passato o intorno alla questione tedesca rimane ancora qualcosa di indefinito?

Nell'immediato secondo dopoguerra si era diffusa l'idea di colpa collettiva secondo cui tutti i tedeschi – anche se in diversi gradi e misure – sono effettivamente complici. Tuttavia, con il passare degli anni, inizia ad emergere una prospettiva opposta, l'idea che i tedeschi non vogliano riconoscere pienamente questa colpa e pretendano di dimenticarla o negarla.

Ad aprire il dibattito fu Ernst Nolte, storico e filosofo tedesco, originario di Witten, nonché allievo di Heidegger e professore di storia contemporanea all'università di Marburgo e alla Freie Universitat di Berlino. Nolte, profondamente contrario alla Schuldfrage, dimostra tutta la sua determinazione a liberare la Germania dal 'passato che non passa', come si intitola il suo articolo pubblicato nel giugno 1986 sul quotidiano Frankfurter Allgemeine Zeitung, dove scrive:

Il tema implica la tesi che ogni passato di solito passa, e che in questo non passare c'è qualcosa di affatto eccezionale. D'altra parte, il normale passare del passato non va inteso come scomparsa. Nei libri di storia si continua a discutere dell'età napoleonica o della classicità augustea; ma questi passati hanno perso, ovviamente, l'urgenza che avevano per i contemporanei, e proprio per questo possono essere affidati agli storici. Invece, a quanto pare, il passato nazionalsocialista (come ha rilevato di recente Hermann Lübbel) non soggiace a questo processo di dissoluzione e di indebolimento, ma sembra, al contrario, diventare sempre più vivo e vigoroso: non come modello bensì come spauracchio, come passato che si pone come presente, o che pende sul presente come una mannaia
106.

Nolte sembrava voler dire che i tedeschi potevano benissimo assumere e comprendere la loro storia senza complessi di colpa. Contrariamente all'idea di 'colpa collettiva', i tedeschi possono risolvere e superare i loro problemi storici senza espiare alcun tipo di colpa. Il compito dello storico è quello di comprendere gli eventi e in qualche modo appropriarsene, anche se si tratta dei delitti del nazismo.

Nolte fu fortemente criticato ed accusato di giustificazionismo – in particolar modo dal filosofo Jürgen Habermas107 – soprattutto dopo aver sostenuto la non unicità dell'Olocausto. Egli si era limitato a riconoscere i differenti metodi di uccisione, ma per il resto aveva messo sullo stesso piano tutti i genocidi di massa del Novecento. Nel famoso passo incriminato scrive: «L'"Arcipelago Gulag" non precedette Auschwitz? Non fu lo "sterminio di classe" dei bolscevichi il prius logico e fattuale dello "sterminio di razza" dei nazionalsocialisti?»108.

Quando Nolte parla di 'prius logico e fattuale' del bolscevismo rispetto al nazismo, sta ritenendo l'esperienza nazista come una sorta di reazione alla minaccia esistenziale rappresentata dal bolscevismo. In altre parole, con questo nesso causale, sta ponendo sul medesimo livello le due grandi ideologie totalitarie del Novecento: comunismo e nazismo. Questa tesi ha infiammato notevolmente il dibattito poiché, stando alla teoria noltiana, la Shoah non sarebbe nient'altro che la diretta e logica conseguenza dei Gulag.

100 V. Rasini, Il potere della violenza. Su alcune riflessioni di Günther Anders, in Etica & Politica, XV, 2, 2013, p. 268.
101 K. Jaspers, La questione della colpa. Sulla responsabilità politica della Germania, cit., pp. 134-135.
102 Ivi, p. 137.
103 38.
104 H. Arendt, La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, cit., p. 279.
105 Cfr. J. Sandford, Historikerstreit, in Encyclopedia of Contemporary German Culture, Routledge, 2013.
106 E. Nolte, Germania: un passato che non passa, a cura di G. E. Rusconi, Torino, Einaudi, 1987, p. 3.
107 Habermas accusò Nolte di «aver dato il via alla "politica del pareggiamento" tra i due regimi, e di trasposizione politica del revisionismo "caldeggiato con impazienza dai politici del governo della svolta" (accusando con ciò anche la politica estera dell'allora cancelliere Kohl e la sua particolare sensibilità per la questione del peso sul presente del tragico passato tedesco)» (P. Simoncelli, La disputa. Totalitarismi: Nolte contro Habermas, in Avvenire, 2016).
108 E. Nolte, Germania: un passato che non passa, cit., p. 9. Su ciò Nolte ritorna anche in Controversie scrivendo che «non è assolutamente possibile negare un "nesso causale" fra gulag e "Auschwitz"» (E. Nolte, Controversie. Nazionalsocialismo, bolscevismo, questione ebraica nella storia del Novecento, Corbaccio,, 1999, p. 157).

Questo brano è tratto dalla tesi:

La colpa come momento critico dell'esistenza in Karl Jaspers

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Informazioni tesi

  Autore: Lorenzo Cardines
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2021-22
  Università: Università degli Studi di Napoli - Federico II
  Facoltà: Filosofia
  Corso: Storia della filosofia
  Relatore: Anna Donise
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 127

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