Appropriazione culturale: un'analisi storica e antropologica del fenomeno
L’appropriazione culturale
Ora che abbiamo analizzato il contesto nel quale si sviluppano quelle pratiche che rientrano nel campo dell’appropriazione culturale, è necessario definire cosa intendiamo con questo termine. Qui però sorge il primo problema. Definire in modo univoco cos’è l’appropriazione culturale, infatti, non è facile se non altro perché non tutti gli studiosi sono concordi sui presupposti teorici che sottostanno al principio stesso di appropriazione. Per provare a comprendere meglio tale fenomeno possiamo partire dall’articolo "Sull’appropriazione. Un riesame critico del concetto e delle sue applicazioni nelle pratiche artistiche globali del 2011" del professor Arnd Schneider che, nel corso della sua carriera, si è spesso occupato del rapporto tra produzione culturale e aumento dei contatti tra popolazioni diverse nel tentativo di esplicitare gli effetti che la globalizzazione ha sulle espressioni culturali. Secondo Schneider, infatti, affinché il concetto di appropriazione culturale abbia senso è necessario, considerare la cultura come un sistema chiuso di valori, artefatti, immagini ed altre espressioni culturali, esclusivo di un certo gruppo sociale (Schneider 2011: p.17). Solo in quest’ottica si può infatti parlare di appropriazione culturale come di un utilizzo improprio e/o di un cambio di significato di un bene o di una pratica culturale senza il coinvolgimento e l’accordo delle comunità che li ha prodotti.
Nonostante tutte queste difficoltà una definizione accettabile e condivisa da cui partire è quella inserita nel 2017 nell’Oxford Dictionary: si definisce appropriazione culturale “the act of copying or using the customs and traditions of a particular group or culture, by somebody from a more dominant (= powerful) group in society”. Questa definizione impone subito due osservazioni: da una parte è una voce molto recente e ciò fa comprendere come questo tipo di studi sia relativamente nuovo e, dall’altra, introduce un tema, quello del rapporto di potere tra società che si appropria e società che subisce, su cui torneremo più approfonditamente nei successivi paragrafi. Per ora basti dire che moltissimi studiosi sono dell’idea che un fenomeno possa essere inserito nell’ambito dell’appropriazione culturale solo se compiuto da un gruppo culturalmente e socialmente dominante ai danni una minoranza.
Quando nella definizione che abbiamo visto si parla di “costumi e tradizioni” si fa riferimento al fatto che i fenomeni di appropriazione culturale hanno come oggetto qualsiasi manifestazione intellettuale, ossia tutto ciò che veicola una determinata identità culturale (che siano musiche, oggetti artistici o rituali, abiti, danze e simili). Si tratta quindi di quello che, a lungo e con senso dispregiativo, è stato definito folklore e che oggi si preferisce indicare con il termine espressioni culturali tradizionali.
È evidente però che questa definizione così essenziale non è sufficiente a spiegare la complessità di questo fenomeno che impone di considerare altri fattori, primo fra tutti il concetto di decontestualizzazione. Dobbiamo infatti intendere termini “copia e utilizzo” della definizione di Oxford non solo dal punto di vista di un possibile sfruttamento economico, ma anche di decontestualizzazione volontaria. Quando una società si appropria di una qualsivoglia manifestazione culturale la svincola infatti dal suo contesto originario facendole perdere qualsiasi ruolo o valore che essa potesse avere nel suo ambiente di provenienza. In più il passaggio di queste espressioni culturali da un contesto a un altro comporta in molti casi l’inserimento di tali manufatti in un ambito globale e in un mercato mondiale (Schneider 2011: pp. 21-24). Bisogna poi anche considerare il fatto che ciò che diviene oggetto dell’appropriazione non solo perde il significato originale ma, una volta eradicato dal suo contesto d’origine, ne assume di nuovi. È interessante notare inoltre come secondo alcuni antropologi, tra cui l’austriaco Richard Thurnwald, una delle principali fonti di appropriazione e conseguentemente di decontestualizzazione, sia da individuare nelle istituzioni museali (Ivi, p. 18). Questo perché, come abbiamo visto, a lungo i musei occidentali, che raccoglievano beni provenienti dal resto del mondo, finivano da una parte per sradicare completamente gli oggetti esposti dal loro contesto originario, privandoli così del loro ruolo sociale e della loro funzione e, dall’altra, attraverso le esposizioni comparative si cercava di stabilire dei legami con beni materiali occidentali che si riteneva svolgessero la medesima funzione andando a perpetuare una visione della umanità come un insieme di società disposte in base al loro grado di evoluzione che aveva come culmine la civiltà occidentale.
In secondo luogo, risulta fondamentale definire l’altro, ossia colui che si appropria di una manifestazione culturale. Chi sono, e come si stabilisce chi fa parte, delle culture “autorizzate” ad usufruire di determinate manifestazioni culturali? Sostenere una separazione troppo rigida tra chi può (legittimamente) considerarsi proprietario di un determinato fenomeno culturale o tradizionale e chi invece non ne ha diritto, rischia di escludere alcuni individui che si pongono al confine dei vari gruppi culturali (Matthes 2018, p. 1006). Bisogna poi considerare che, anche nel momento in cui fosse possibile stabilire con sicurezza i confini delle diverse comunità umane, non è certo che tutti gli individui che ne fanno parte siano unanimemente d’accordo se un determinato evento può, o meno, essere definito appropriazione.
Per riassumere quanto detto finora potremmo dire che l’appropriazione culturale è descrivibile come un atto di sottrazione di una qualsivoglia manifestazione culturale (materiale o immateriale che sia) da parte di un individuo o di un gruppo che non fanno parte della società che l’ha generato al fine di decontestualizzarlo e di dargli nuovi significati e valori.
Prima di passare al prossimo punto è necessario però almeno citare quella che secondo alcuni studiosi viene considerata come una seconda forma di appropriazione. Meno intuitiva rispetto a quella che abbiamo appena descritto si tratta di ciò che autori come James O. Young chiamano Subject Appropriation. La Subject Appropriation si verifica quando qualcuno fa di un’altra cultura (o dei membri appartenenti a tali comunità) il soggetto delle proprie opere (Young 2005, p. 136). Pensiamo ad esempio nel contesto statunitense a uno regista bianco che dirige un film che ha una persona di colore come protagonista (come avvenuto per il film Green Book che segue le vicende del pianista afroamericano Donald Shirley il cui il regista però è un uomo bianco). Intorno a questa questione però non c’è unanimità in quanto secondo altri studiosi questa forma di appropriazione, condannando a priori ogni tentativo di uscire dal proprio ambito socioculturale, non solo non considera minimamente la qualità di quanto viene prodotto ma limiterebbe anche drasticamente le libertà espressive della singola mente creativa.
Questo brano è tratto dalla tesi:
Appropriazione culturale: un'analisi storica e antropologica del fenomeno
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Informazioni tesi
Autore: | Luca Bellinzona |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2019-20 |
Università: | Studi Umanistici |
Facoltà: | Beni culturali |
Corso: | Scienze dei beni culturali |
Relatore: | Luca Ciabarri |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 51 |
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