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La "manipolazione mediatica" della memoria collettiva: il caso del genocidio di Srebrenica

Il ruolo dei media nella guerra dei Balcani

Vengono di seguito descritti alcuni esempi della gestione della rappresentazione mediatica che si è formata durante la guerra nella ex-Jugoslavia.
Il ruolo dei media nell’ambito di un evento bellico non è predefinito, ma si è rafforzato nel corso dei decenni con il continuo succedersi di situazioni belliche mai vissute prima di allora fino a diventare, nel Novecento, un genere giornalistico e televisivo con caratteristiche ben specifiche, tanto da essere definito come war reporting. Il primo giornalista a riportare questa tipologia di informazioni fu William Russell, che seguì la Guerra di Crimea per conto del Times di Londra e diventò, nel 1854, il primo ad essere inviato sul campo di battaglia. Le difficoltà che incontrò furono numerose e diverse, a causa della difficile trasmissione degli articoli via telegrafo e della cruda veridicità degli stessi, che provocarono l’ostilità degli ufficiali inglesi. Quella di Russell fu una figura pioneristica in tale contesto (Pocecco 2017, 3).
I reportages dalle zone di guerra hanno subito una forte evoluzione nel corso dei decenni. A causa del basso sviluppo tecnologico delle telecomunicazioni dei primi anni del Novecento inviare, quotidianamente, notizie via telegrafo era arduo di per sé, ma ai problemi tecnici si aggiungeva la censura esercitata da parte di alcuni Stati. Per ovviare a ciò si trovò una soluzione attraverso l’utilizzo della fotografia, determinando l’introduzione della war photography, che divenne da subito uno strumento di propaganda molto efficace. Sin dall’inizio vennero apportate modifiche ai testi e alle immagini trasmesse, sia per amplificare la retorica bellica, sia per non comunicare al pubblico la realtà di quelle situazioni, in quanto non sempre coincideva con quanto si voleva trasmettere a livello propagandistico per stigmatizzare il nemico o rendere eroi i propri soldati. Gli elementi non veritieri che venivano trasmessi attraverso queste modifiche influivano sul relativo immaginario collettivo.
Grazie ai nuovi sviluppi tecnologici, nuovi medium si aggiunsero al panorama strumentale e tecnico usufruibile dal giornalismo. Nel primo dopoguerra si svilupparono, e acquisirono sempre più consenso, il cinema e la radio, tanto che quest’ultima divenne il principale medium utilizzato dai civili per poter rimanere aggiornati sugli eventi grazie ai reporter. Gli apparati militari, capita la potenzialità di tale strumento, tentarono di usarlo durante il conflitto come strumento di controllo sociale, dandogli una posizione rilevante in un contesto subordinato alle esigenze propagandistiche coadiuvate dalla censura militare; censura maggiormente utilizzata con riferimento alle perdite o alle sconfitte. Durante la Seconda guerra mondiale, questo avvenne anche attraverso la diffusione di crudi reportages che mostravano, compatibilmente con gli interessi politici, la brutalità degli atti del nemico influendo così sul processo di disumanizzazione; in Italia il controllo sulla radiofonia da parte dello stato fascista, così come in Germania, sono l’esempio di come l’orientamento dell’informazione può essere non solo mera censura, ma manipolazione ideologica.
Il cinema, invece, venne utilizzato ampiamente in riferimento alla Guerra in Vietnam creando storie, in alcuni casi con intento propagandistico e in altri con intento riflessivo, che nel tempo definiranno il cosiddetto genere dei Vietnam movies. La stessa guerra è nota anche come dining room war, perché le immagini della guerra entravano, per la prima volta, nelle case di tutti attraverso un altro nuovo medium: la televisione. L’intento era quello di sfruttare la copertura mediatica per creare consenso e stimolare nei giovani il desiderio patriottico di arruolarsi, ma l’effetto fu esattamente contrario, tanto da provocare una consolidata opposizione e lo sviluppo di manifestazioni pacifiste. Questo effetto è noto come sindrome del Vietnam ed “[…] è proprio la considerazione dell’effetto contrario che una copertura mediatica incontrollata può ingenerare nella società” (Pocecco 2017, 5).

 
Nel tentativo di diminuire gli effetti, che questa “sindrome” stava creando nella popolazione, venne impedito ai giornalisti di partecipare, insieme alle truppe, all’invasione di Grenada, ma questa censura ebbe l’effetto opposto e fu una strategia controproducente. I giornalisti, non avendo informazioni sul contesto da poter presentare al pubblico, dovettero evidenziare la violazione dei diritti legati all’informazione da parte delle istituzioni statunitensi. Un simile divieto sottolineò ancora di più l’importanza del ruolo dei media nella definizione dell’immagine e nella gestione della propaganda (Ragnedda 2011, 92).
Per tali ragioni, la censura totale delle informazioni iniziò a non essere applicata favorendo l’interesse della causa attraverso un utilizzo dei media come cassa di risonanza per le decisioni del vertice (Ragnedda 2011, 96).
Agli inizi degli anni Novanta, con la Guerra del Golfo, la copertura mediatica ufficiale divenne in presa diretta, con la reiterazione sui vari media delle stesse immagini. Nonostante gli inviati di guerra disponessero di tecnologie atte a supportare il loro lavoro, la ricerca delle informazioni da trasmettere rimase difficile a causa dei limiti posti a questa azione: le uniche informazioni ricevute erano quelle ufficiali delle conferenze stampa, informazioni costruite dalle autorità governative e militari statunitensi per evitare reazioni collettive di rifiuto e per legittimare le azioni di forza. Gli effetti mediatici sull'opinione pubblica diventavano obiettivo strategico dell'azione militare tanto che le strategie mediatiche venivano pianificate con quelle militari.

Questo brano è tratto dalla tesi:

La "manipolazione mediatica" della memoria collettiva: il caso del genocidio di Srebrenica

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Informazioni tesi

  Autore: Gaia Di Monte
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2019-20
  Università: Università degli Studi di Udine
  Facoltà: Scienze della Comunicazione
  Corso: Scienze della comunicazione
  Relatore: Antonella Pocecco
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 180

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Parole chiave

nazionalismo
propaganda
genocidio
disinformazione
memoria collettiva
strategie comunicative
srebrenica
copertura mediatica
teorie sui media
guerra in bosnia

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