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Picturesque, Villainy, Sensibility in The Mystery of Edwin Drood: Charles Dickens e il romanzo gotico tra tradizione e innovazione.

Il romanzo gotico inglese: successive evoluzioni nel XIX secolo

Il villain diabolico e privo di moralità del XVIII secolo, generalmente nobile o chierico, è strumento di oggettivazione del Male che insidia il Bene e permette, attraverso la punizione esemplare inflittagli, che il trionfo del Bene avvenga in maniera ancora più clamorosa, culminando nell’immancabile matrimonio finale della fanciulla perseguitata con l’eroe buono.

Nel XIX secolo il dualismo tra good e evil si fa meno netto, e i villains romantici fungono ora da “signs of internal states and conflicts” piuttosto che da “external threats”. Questa novità viene colta anche da Judith Wilth, la quale afferma che il gotico “became part of an internalised world of guilt, anxiety, despair, a world of individual transgression interrogating the uncertain bond of imaginative freedom and human knowledge”.

Riassumendo, mentre i gothic fathers, per usare l’espressione coniata dalla Wilt, attribuivano per lo più al malvagio anti–eroe le negatività sociali e religiose del loro periodo storico, i gothic brothers spostano il conflitto tra forze benigne e forze maligne all’interno dell’individuo stesso, che non q più completamente cattivo o perverso (un accenno al senso di colpa provato dal personaggio malefico si trovava invero anche nei romanzi precedenti), ma cova dentro di sé istinti opposti e molteplici tratti di personalità.

Siamo nel 1818 e Mary Wollstonecraft Godwin, la diciannovenne moglie del poeta Percy Bysshe Shelley, consegna alla stampa Frankenstein: or, The Modern Prometheus.

Protagonista del romanzo è Victor Frankenstein, giovane scienziato idealista e insofferente nei confronti delle restrizioni morali: in lui coesistono due identità: quella dell’eroe in quanto, nell’atto di plasmare la sua creatura, non è mosso da scopi venefici, ma da amore per il progresso, e del villain vittima di sé stesso in quanto, ricreando la vita dalla morte (per plasmare il “mostro” utilizza infatti parti di cadaveri prelevati da cimiteri e obitori), trasgredisce le leggi della natura e, sfidandone i limiti, si pone nella stessa condizione del mitico Prometeo che, seppur spinto da spirito di solidarietà nei confronti degli esseri umani suoi simili, è comunque reo di aver violato un divieto divino. Punter definisce questa figura, tanto eroica quanto colpevole, un “ricercatore di conoscenza proibita” . Desideroso di seguire le orme di antichi filosofi, alchimisti e occultisti quali Paracelso, Cornelio Agrippa e Alberto Magno, sin da adolescente si applica con successo allo studio della chimica, sempre più risoluto a penetrare l’arcano dell’origine della vita (e a riprodurla in laboratorio):

Whence, I often asked myself, did the principle of life proceed? It was a bold question, and one which has ever been considered a mystery; yet with how many things are we upon the brink of becoming acquainted, if cowardice or carelessness did not restrain our inquiries.

Il personaggio di Frankenstein, il suo ardore scientifico e la determinazione con cui persegue il suo ambizioso progetto, ricordano molto da vicino il leggendario Faust (senza però patto col diavolo) e l’Ulisse dantesco: pur non essendo animati da intenzioni di per sé malvagie, tutti e tre confidano eccessivamente nelle proprie risorse intellettuali, si lanciano quindi in missioni impossibili per poi cadere rovinosamente, trascinando con sé chi ha avuto fiducia in loro e li ha amati. La loro colpa consiste nel non saper contenere le rispettive aspirazioni individuali: troppo egocentrici e sicuri di sé, si sentono in qualche modo dei super-uomini al di là del bene e del male, ma in realtà corrono verso l’auto–distruzione.
Il personaggio del “mostro”, in un’era in cui il progresso tecnologico non aveva ancora sbaragliato la superstizione, generava inquietudine e paure irrazionali e rappresentava il prodotto del potere incontrollabile, minaccioso, quasi sovrannaturale della scienza, come sottolinea Fred Botting:

The scientific replacement of nature and humanity, the various means of producing and reproducing the material world and the creation of entities that threaten human

Nel commentare Frankenstein, anche altre e più sottili valenze simboliche sono state attribuite al mostro, specialmente da chi ha adottato una prospettiva psicanalitica. Robert Kiely pensa, per esempio, che esso rappresenti il tentativo, da parte dell’uomo, di ovviare alla necessità di una donna per poter procreare evidenziando che Victor, nel mettere al mondo in laboratorio la sua sventurata creatura, “seeks to combine the role of both parents in one, to eliminate the need for woman in the creative act”.

Il mostro possiede una carica altamente simbolica anche secondo Paul Cantor che, in Creature and Creator, Myth–Making and English Romanticism, vede nella sua figura, giustapposta a quella del suo creatore, “the complex duality of the romantic soul, the dark and the bright side, the violent as well as the benevolent impulses, the destructive as well as the creative urges” , duality che già Kiely aveva individuato, sostenendo che “Mary saw, as did her father W. Godwin – autore del romanzo, anch’esso fortemente gotico, Caleb Williams, or Things as They Are – the duality in human nature which is capable of bringing misery and ruin to the most gifted of beings” .

Il problema dell’identità divisa, che conosce il suo boom letterario nel Novecento sulla scorta degli studi di Sigmund Freud e dei suoi discepoli, era dunque già avvertito da tempo e, ancor prima della pubblicazione di The Strange Case of Dr. Jekyll and Mr. Hyde nel 1886, il presentimento che la personalità umana avesse molteplici sfumature si concretizza in Frankenstein, assumendo le vesti dello scienziato e del mostro, suo doppelgänger.
In The Memoirs and Confessions of a Justified Sinner dello scozzese James Hogg, pubblicato nel 1824, l’alter ego del protagonista è invece una sorta di consigliere del male che dapprima istiga Wringhim a compiere nefandezze in nome del Signore e poi si palesa in tutta la sua diabolicità persecutoria spingendo infine il personaggio al suicidio.

Non necessariamente, però, lo sdoppiamento dell’eroe si deve manifestare in maniera tangibile come nei romanzi appena citati: spesso accade che l’eroe positivo e il suo alter ego malvagio condividano un unico corpo e che il conflitto lacerante tra le due parti sia disputato del tutto interiormente, come in Melmoth the Wanderer, del prete irlandese Charles R. Maturin, uscito nel 1824. Qui ci troviamo davanti a un essere prodigioso che, in virtù del patto demoniaco da lui stipulato, possiede una straordinaria longevità nonché poteri sovrannaturali, ma q ugualmente portatore di un’eccezionale sensibilità che lo rende umano al pari di quelle persone sofferenti, disperate e perseguitate che in lui s’imbattono quando per loro non sembra ormai esserci altra via d’uscita che la morte, se non a patto di dannarsi l’anima. L’umanità di Melmoth emerge con particolare intensità quando conosce Immalee, una ragazza la cui “innocenza disarmante” lo turba profondamente forse perché, accanto a lei, egli si accorge di saper amare come e più di un uomo qualsiasi, ma avverte tragicamente che i suoi migliori sentimenti non solo non redimeranno lui, ma sanciranno la condanna a morte dell’amata.

Un ultimo accenno ad un altro personaggio gotico contemporaneo a Frankenstein, Wringhim e Melmoth è doveroso, tanto più che il suo creatore, John W. Polidori, faceva parte del circolo di amiciscrittori che comprendeva i coniugi Mary e Percy B. Shelley e Gordon Byron. Si tratta di Lord Ruthwen, il primo vampiro nella storia letteraria inglese, protagonista di The Vampyre, a Tale, edito nel 1819. La genesi di questo breve racconto è la stessa di Frankenstein, in quanto sia John Polidori che Mary Shelley, nell’estate del 1816, durante una vacanza in Svizzera, decisero di comune accordo di scrivere delle ghost stories (inizialmente avrebbero dovuto aderire al progetto anche P. B. Shelley e Byron).

La figura di Ruthwen, pur essendo plasmata sia sul modello del villain di fine Settecento che su quello più moderno del primo Ottocento, per certi versi si discosta da entrambi: contempla l’elemento soprannaturale (il vampiro infatti è immortale) ed è un aristocratico perverso dallo sguardo magnetico che diviene amico, al pari del Gil Martin di Hogg, di un giovane onesto per provocarne la rovina. Anche Ruthwen, inoltre, come gli altri villains, costituisce una minaccia per la verginità e l’onore delle fanciulle rispettabili le quali però, a differenza delle eroine gotiche di Walpole, Radcliffe e Lewis (mutuate a loro volta dalla Clarissa Richardsoniana), si lasciano infine sedurre diventando così vittime consenzienti del loro carnefice.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Picturesque, Villainy, Sensibility in The Mystery of Edwin Drood: Charles Dickens e il romanzo gotico tra tradizione e innovazione.

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Informazioni tesi

  Autore: Daniela Marras
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 2013-14
  Università: Università degli Studi di Cagliari
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Lettere moderne
  Relatore: Maria Grazia Dongu
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 121

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