Il paradosso scettico di Wittgenstein - Kripke
Il paradosso scettico e la teoria della causalità di Hume
Il paradosso wittgensteiniano, secondo Kripke, presenta analogie anche con la teoria della causalità formulata da David Hume. Sia Hume che Wittgenstein, secondo Kripke, presentano un paradosso scettico fondato sull'impossibilità di una derivazione necessaria tra il passato e il futuro. Lo scettico di Wittgenstein dubita che il nostro uso presente della funzione "più" sia conforme alle nostre intenzioni passate ed afferma che non esiste nessun fatto esterno o mentale che ci possa giustificare a rispondere "125" invece di "5", alla domanda quanto faccia "68+57".
Hume dubita che il legame tra causa ed effetto possa essere considerato oggettivo e necessario, e considera impossibile la causalità privata: possiamo dire che due eventi sono legati causalmente soltanto se sono simili ad altri eventi tra cui esiste una certa regolarità, e non considerati isolatamente. Vorrei ora spiegare più da vicino in che cosa consiste la teoria della causalità di Hume. Per Hume tutti i ragionamenti che riguardano la realtà o i fatti si fondano sulla relazione tra causa ed effetto. La tesi fondamentale di Hume è che la relazione tra la causa e l'effetto non può mai essere derivata a priori, cioè con il ragionamento, ma soltanto per esperienza. Nessuna persona, messa di fronte ad un oggetto, ad un fatto nuovo, può mai scoprire solo ragionando le cause e gli effetti di quell'oggetto, ma soltanto con l'esperienza.
Nei termini di Hume:
Adamo, anche se si supponga che le sue facoltà razionali fossero, fin dall'inizio, assolutamente perfette, non avrebbe potuto inferire dalla fluidità e trasparenza dell'acqua che questa lo poteva soffocare, o dalla luce e dal calore del fuoco che questo poteva ridurlo in cenere. Nessun oggetto manifesta, per mezzo delle qualità che appaiono ai sensi, né le cause che lo hanno prodotto, né gli effetti che sorgeranno da esso; né la ragione può mai, senza l'aiuto della esperienza, trarre alcuna inferenza riguardante esistenze reali e materia di fatto. (Ricerca sull'intelletto umano, p. 41).
Con queste parole Hume ci vuol dire che la connessione tra causa ed effetto è priva di qualsiasi necessità oggettiva. Causa ed effetto sono due fatti diversi, e uno non richiama necessariamente l'altro. Quando vediamo, secondo Hume, una palla di bigliardo che corre diritto verso l'altra, anche supponendo che nasca in noi il pensiero del movimento della seconda palla come risultato del loro incontro, potremmo benissimo concepire altre possibilità: per esempio, che le due palle di bigliardo rimangano entrambe ferme o che la prima ritorni indietro o scappi da uno dei lati. Queste possibilità non sono contraddittorie e non possono essere escluse. L'esperienza ci dice che l'urto della prima palla mette in movimento la seconda, ci informa soltanto su fatti che abbiamo sperimentato in passato, ma non ci dice nulla sui fatti futuri. La connessione tra la causa e l'effetto rimane arbitraria e non può essere presa come fondamento in nessuna previsione per il futuro:
il pane, che ho mangiato in passato, mi ha nutrito; cioè, un corpo fornito di quelle determinate qualità sensibili era, in quel tempo, fornito di quei determinati poteri segreti; ma ne segue forse che altro pane deve egualmente nutrirmi in un altro tempo e che qualità sensibili simili debbono sempre essere accompagnate da poteri segreti simili? La conseguenza non sembra in alcun modo necessaria. (Ricerca sull'intelletto umano, p. 51).
Potrebbe sempre essere possibile che il corso della natura possa cambiare, che i legami causali che l'esperienza ci ha dimostrato per il passato possano non verificarsi per l'avvenire; tutto questo non implica contraddizione. Tutto ciò che sappiamo dall'esperienza è che da cause che ci sembrano simili ci attendiamo effetti simili. Se sospettassimo che il corso della natura potesse cambiare, allora ogni esperienza sarebbe inutile e non potremmo trarre nessuna inferenza induttiva. E' impossibile quindi che argomenti derivati dall'esperienza possano dimostrare la somiglianza del passato con il futuro. Queste considerazioni di Hume escludono che la connessione tra la causa e l'effetto possa essere dimostrata in modo oggettivo e necessario; tuttavia noi uomini la crediamo necessaria e su questa connessione fondiamo tutto il corso della nostra vita. La necessità di questa connessione, di questo legame tra causa ed effetto è quindi soltanto soggettiva, e secondo Hume va cercata in un principio della natura umana, che è l'abitudine. La ripetizione di un atto produce una disposizione a ripetere lo stesso atto senza che ci sia ragionamento: questa disposizione è l'abitudine. Quando abbiamo visto più volte uniti due oggetti o due fatti, per esempio la fiamma e il calore, siamo portati dall'abitudine ad aspettarci l'uno quando l'altro si presenta. E' l'abitudine che ci spinge a credere che domani il sole si alzerà come si è sempre alzato.
L'abitudine ci guida in tutta la nostra vita quotidiana e ci dà la sicurezza che il corso della natura non cambia ma si mantiene sempre costante e uguale, permettendoci in questo modo di fare previsioni per il futuro. Senza l'abitudine saremmo, per Hume, completamente ignoranti su ogni questione di fatto, ad esclusione di quelle che ci sono subito presenti con i sensi. Hume si serve del principio dell'abitudine non per giustificare in modo necessario la relazione causale, ma soltanto per spiegare in che modo noi stabiliamo connessioni tra i fatti. La relazione causale rimane ingiustificabile in modo oggettivo. Kripke nel suo saggio sottolinea l'analogia esistente tra l'impossibilità della causalità privata di Hume e il paradosso di Wittgenstein, come è già stato detto. Sia lo scettico di Wittgenstein che Hume ritengono che non ci sia nessun fatto che possa fondare le loro teorie. Hume non riconduce a fatti empirici la causalità, ma ci dice soltanto in quali circostanze noi possiamo stabilire legami tra eventi, oggetti. Così lo scettico di Wittgenstein, nell'esempio matematico, ci dice che non esiste nessun fatto che possa giustificare il nostro intendere con il "più" la funzione dell'addizione.
Questo brano è tratto dalla tesi:
Il paradosso scettico di Wittgenstein - Kripke
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Informazioni tesi
Autore: | Filippo Bernini |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2007-08 |
Università: | Università degli Studi di Milano |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Filosofia |
Relatore: | Elisa Paganini |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 59 |
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