Mind-game film e forme della complessità
Il mind-game film e le forme della classicità
La caratteristica fondamentale dei mind-game films, come abbiamo visto, è quella di saper trascinare lo spettatore all'interno di un mondo filmico che in qualche modo non è definibile, chiaro, interpretabile, lucidamente leggibile. Viene quindi ripresa, come sappiamo, un'istanza aristotelica fondamentale e come abbiamo visto essa viene rifunzionalizzata all'interno del sistema logico che va a tessere l'intricata trama delle regole del gioco.
Quello che è sicuro è che alcuni degli istituti fondanti di tutta la teoria della narrativa classica a partire da Aristotele non vengono infranti ma il mind-game film si prende in un certo senso gioco anche di esse. La struttura in tre atti, conosciuta anche come paradigma aristotelico80, costituisce la base nella quale le pedine del gioco filmico vengono ancora inserite con successo; non si può assolutamente asserire che i mind-game movies non rispettino questo schema. Si pensi ad A Beautiful Mind; ribadiamo, a tal proposito, due concetti formali importantissimi per la sceneggiatura: il turning point e l'unità aristotelica del tempo. Il turning point è un momento del film che scandisce il ritmo di tensione e la vicenda, delineando il conflitto esterno e l'obiettivo del protagonista. Dopo il primo turning point, posto circa alla fine del primo atto, che seguendo le indicazioni di Syd Field, dovrebbe durare circa un quarto dell'intero film (metà del film il secondo atto e un quarto il terzo ed ultimo atto), lo spettatore è ormai dentro l'universo filmico e la vicenda inizia e prosegue grazie agli scopi e alle motivazioni del protagonista.
In A Beautiful Mind il protagonista John Nash (Russell Crowe) è un brillante studioso di matematica in odor di genialità che dopo l'elaborazione di un'importante teoria (la celebre teoria dei giochi, realmente postulata da Nahs nel 1949 a soli 31 anni) e successivamente all'inizio di una relazione con la bellissima Alicia (Jennifer Connelly), che diventerà sua moglie, ottiene un importante incarico accademico. Inizia però al contempo (in senso diegetico) la manifestazione della schizofrenia del protagonista.
In realtà lo spettatore, che si trova in pieno regime d'immedesimazione, e risulta, come il protagonista, ignaro di tutte le allucinazioni da lui prodotte, ha già avuto modo di confrontarsi con le visioni del personaggio. Ma è solo dopo la ricezione di un incarico top secret che consiste nella ricerca e nella traduzione di messaggi in codice nascosti nei principali media di comunicazione di massa, soprattutto nei giornali (che ci proietta in un falso universo filmico legato agli spy movies) che si rivelerà totalmente frutto del degenero allucinatorio del protagonista. Inizia infatti ad insinuarsi il dubbio nello spettatore ed inizia quella catena di eventi che porta la moglie Alicia a indagare sulle attività del marito e a scoprire la sua malattia.
Avviene quindi un'epifania passiva (primo turning point): il protagonista sarà curato da psicologi, psichiatri e neurologi con terapie violente e più che invasive e gli psicofarmaci impediranno al nostro eroe di far fruttare il proprio inequivocabile talento matematico, causandogli anche una dolorosa perdita di virilità. Il protagonista decide quindi di rinunciare ai farmaci e si abbandona nuovamente ad un'allucinazione le cui conseguenze rischiano di essere davvero fatali (rischia infatti di annegare il figlio).
Improvvisamente però avviene un'epifania attiva (secondo turning point) e il protagonista diventa cosciente delle proprie allucinazioni. Infatti egli è convinto di vedere, durante i suoi attacchi, un amico, vecchio compagno di studi con la nipote ed un misterioso Ed Harris in versione agente CIA. L'epifania è data appunto da l'unità aristoteliche del tempo. La bambina immaginata dal personaggio non è infatti mai cresciuta in tutti gli anni in cui si svolge la vicenda narrata. E' evidentemente il prodotto di un'allucinazione. Risolto con la propria ragione questo enigma, il personaggio in un colpo solo chiude da un lato il suo conflitto interno principale (la schizofrenia), non curandola, affrontandola quindi a viso aperto, come ci saremmo aspettati nel cinema classico ma, in maniera del tutto inedita, imparando a convivere con essa; dall'altro risolve il proprio conflitto esterno, incorporato nelle allucinazioni e nei rapporti con gli altri che le stesse allucinazioni rendevano quasi impossibili, che visivamente è rappresentato nell'immagine dei personaggi allucinatori che guardano il protagonista, in silenzio, evitando di intervenire nella sua vita.
Gli elementi presenti nel sistema classico della sceneggiatura, nei manuali come nei testi di teoria o di interpretazione della narrativa cinematografica, sono tutti perfettamente presenti all'interno dei mind-game films. Certo in alcuni film in maniera più evidente rispetto ad altri: Strade Perdute o Mulholland Drive di David Lynch, sono sicuramente molto lontani da qualsiasi accezione del "classico"; lo stesso vale, in maniera totalmente diversa, per Memento di Cristopher Nolan. Matrix dei fratelli Wachowsky, è invece dispiegato perfettamente tra i tempi dettati dai paradigmi aristotelici.
Il fattore inedito è quindi da cercare nell'utilizzo che nel mind-game movie viene fatto degli stilemi cosiddetti classici, che hanno scandito in maniera insindacabile non solo la narrazione cinematografica del cinema "eccessivamente ovvio" di cui parla Bordwell ma anche e forse soprattutto, la narrazione per immagini di buona parte della cultura occidentale del dopoguerra, soprattutto nei momenti più alti della diffusione commerciale del cinema.
Questo brano è tratto dalla tesi:
Mind-game film e forme della complessità
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Informazioni tesi
Autore: | Niccolò Falsetti |
Tipo: | Tesi di Laurea Magistrale |
Anno: | 2010-11 |
Università: | Università degli Studi di Roma La Sapienza |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Forme e tecniche dello spettacolo |
Relatore: | Francesca Veneziano |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 200 |
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