«Il segno di Giona» (Mt 12,39-40). Da Pinocchio a Paolo di Tarso: una simbolica della resurrezione in declinazione didattica.
Il ''segno di Giona'' indicato da Gesù (Mt 12,39-40)
Precisamente facendo perno su questo aspetto umile e vittorioso vogliamo illustrare la terza tappa del nostro viaggio per mare, quella del NT. Il vero e nuovo Israele, secondo lo spirito e non secondo la carne, viene fondato da Gesù Cristo. La storia di Giona continua nella sua Chiesa. I farisei-sadducei hanno crocifisso il Figlio di Dio e proprio Gesù rimprovera i giudei del suo tempo: i pagani di Ninive fecero penitenza, e voi no; perciò "morirete nel vostro peccato": il rifiuto del Messia. Questo rifiuto perdura tuttora, e di esso prende atto anche S.Paolo allorché, nella lettera ai Romani 11,25, vi discerne un disegno provvidenziale, quindi non passibile di condanna.
Gesù appunto non condanna nessuno e lascia il giudizio al Padre alla fine dei tempi, ma nel giudizio è la misericordia che prevale sulla giustizia: il Padre si prende cura dei vicini e dei lontani – come ci fa capire in Giona - "non vuole la morte del peccatore ma che si converta e viva". La sua grande fatica è condurre anche il religioso e fondamentalista Giona - il profeta renitente - ad aprirsi ad un incontro nuovo con Dio che immediatamente implica un modo diverso di guardare gli altri, i lontani. Allo stesso modo Gesù durante la missione terrena non fa che aprire gli occhi al popolo dando una legge nuova, dello spirito e non della lettera, instaurando un Regno che non è di questo mondo, in cui le gerarchie terrene di valori sono sovvertite. Un Regno nel quale i primi son ultimi, nel dare si riceve, nella debolezza si è forti, perdendo tutto per Dio si ritrova la pienezza di tutto e molto di più, e fra tutti gli insegnamenti, quello sulla morte conferisce lo scopo ultimo della morale cristiana.
La fuga dell'uomo di fronte alle fauci della morte è motivo letterario diffuso e variamente interpretato nelle culture, ma il senso cristiano della morte va "contro" la mentalità umana, secondo appunto la legge di Dio e non dell'uomo, e non induce alla fuga bensì all'accettazione non rassegnata: è proprio la morte che introduce nella vita vera, la felicità eterna. Abbiamo visto nei cc. precedenti materializzarsi la morte nell'essere inghiottiti dal mostro che simboleggia la fine o gli inferi, e attraverso questa esperienza si è realizzata la possibilità di diventare "adulti" (per Pinocchio nella psiche, nella morale e nel fisico, per Giona nella fede): ciò traduce un'esperienza facente parte delle prove della vita che conducono a ritrovare se stessi, riconoscersi nelle parti più deboli per giungere a un'esistenza piena di senso. L'esperienza della morte, che interessa tutti gli uomini abbracciandoci per così dire in dimensione "orizzontale", acquista però sulle labbra di Gesù (quando preannuncia la propria passione citando la vicenda di Giona) un significato "verticale", che innalza al divino e mediante il battesimo ci innesta spiritualmente nella morte di Gesù in quanto figli di Dio, per vivere eternamente. La Tradizione e l'iconografia cristiana hanno sempre visto in Mt 12,38 la chiara allusione del Cristo alla resurrezione, quale "segno" divino supremo, il completamento della Rivelazione già preannunciato profeticamente, col quale si è instaurata l'Alleanza nuova e definitiva, dopo la quale "non è da aspettarsi alcun'altra Rivelazione pubblica prima della manifestazione gloriosa del Signore nostro Gesù Cristo". Nella kénosi della croce viene accomunato l'abbassamento di Giona e la sofferenza della Chiesa che salva il mondo nella preghiera e nell'annientamento, come singoli e come comunità. Nella croce si scende nelle viscere del Golgota con Gesù per schiacciare la testa del serpente diabolico, si mette a morte l'uomo carnale per risorgere spirituale; "la croce separa, nella carne più viva", coi suoi bracci orizzontale e verticale; "poi unisce", nel loro punto di incrocio, "gli opposti, i due poli della rottura, con dei superamenti sempre più gloriosi, verso l'Uno".
Giona è "tipo" di Gesù in quanto rimase chiuso tre giorni e tre notti in un luogo che dal punto di vista umano avrebbe ormai potuto costituire inevitabilmente la tomba finale. Al v.4 del suo inno di rendimento di grazie dentro al grande pesce il profeta dice di essere stato gettato da Dio "nel cuore del mare" Nel "cuore della terra" (Mt 12,40) anche Gesù dichiara che resterà, e vi fu di fatto rinchiuso dopo la morte in croce. Benché sia rimasto nel sepolcro dalla sera del venerdì alle prime ore della domenica, egli, rifacendosi al fatto di Giona, intendeva affermare che dopo la sua morte sarebbe risorto. L'espressione infatti "tre giorni e tre notti" per determinare la durata del tempo è frequente nella letteratura biblica ed extra biblica, specialmente dei miti. Quando l'espressione è usata in riferimento ad un periodo di tempo posteriore alla morte, sembra che voglia dire che il cadavere è ancora in uno stato di non avanzata decomposizione. Per questo Giona, secondo le conoscenze e la logica degli antichi, avrebbe avuto la possibilità materiale di ritornare all'esistenza, anche se per intervento divino; Lazzaro invece non sarebbe mai più potuto tornarvi in quanto morto da quattro giorni ormai. Nell'affermazione di Gesù in Mt 12, 39-40: "Una generazione perversa e adultera pretende un segno! Ma nessun segno le sarà dato, se non il segno di Giona profeta. Come infatti Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell'uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra." non c'è la dichiarazione che egli non sarebbe morto, al contrario, c'è l'idea che nonostante la morte inflittagli dai nemici egli sarebbe risorto. Gli ascoltatori di Gesù e lui stesso prendono il testo profetico nel suo significato ovvio, quello inteso dall'autore sacro secondo cui Giona fu davvero inghiottito dal pesce e restituito alla spiaggia. Se poi il senso ovvio del racconto sia quello inteso dall'autore o non piuttosto l'autore fosse consapevole di raccontare una leggenda, questo non faceva ancora parte dell'esegesi giudaica, come invece avverrà più tardi. Quanto grande fu l'interesse dei primi cristiani per Giona lo dimostra l'uso che Gesù stesso ne fece, il quale non soltanto se ne è servito per prefigurare la sua resurrezione, ma anche per additare ai suoi ascoltatori, nei niniviti che credettero a Giona, il modello di una sincera ed efficace penitenza e di una pronta conversione, quindi dell'ottenimento della salvezza.
Questo brano è tratto dalla tesi:
«Il segno di Giona» (Mt 12,39-40). Da Pinocchio a Paolo di Tarso: una simbolica della resurrezione in declinazione didattica.
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Informazioni tesi
Autore: | Lidia Roboni |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2011-12 |
Università: | Facoltà Teologica del'Emilia-Romagna |
Facoltà: | Istituto di Scienze Religiose |
Corso: | Scienze Religiose |
Relatore: | Brunetto Salvarani |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 155 |
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