Storia di una beffa mediatica: il caso dei ''falsi Modì''
Gli strascichi della farsa
Nei vicoli della città di Livorno, nei salotti d’arte, nel Fosso Reale e nella giunta comunale della città, ormai serpeggiava tanta agitazione e preoccupazione per gli inevitabili strascichi che la burla avrebbe procurato.
Prima si cominciò ad assistere a operazioni di scherno con pubblicità ironiche come quella della Black & Decker che cavalcò l’onda pubblicizzando il suo trapano con sullo sfondo la "Modì 2" lanciando lo slogan "È facile essere bravi con Black & Decker" e poi con scritte sui muri della città che cominciarono a riempirsi di graffiti come "O così o Modì", "Attenzione caduta teste", "L'unica vera è la Durbé", "Vera Durbé, la statua l'ha fatta da sé", oppure riprendendo il motivetto di Carosello per i salumi Negroni: "Le statue sono tante, milioni di milioni". Oppure ancora si può ricordare come i fornai cominciarono a sfornare pane a forma di teste di Modigliani o, come i ragazzi che avevano preso brutti voti da quei professori, chiesero l’annullamento delle votazioni.
Poi vennero colpiti gli altri protagonisti. Vera Durbé venne colta da un malore e finì in ospedale ma rimase al suo posto nel Museo Progressivo di Villa Maria, per poi ritirarsi e morire all'età di 80 anni. Il fratello Dario Durbé venne destituito dal suo incarico di sovrintendente alla Galleria d'arte moderna a Roma, non per ritorsione ma per "cambiamento di mansioni", dal Ministro dei beni culturali Gullotti. E, infine, il procuratore della Repubblica, Gennaro De Feo, aprì un'inchiesta a carico dei fratelli Durbé, che, tuttavia, sfociò nel nulla. Alla fine Dario Durbé, vincendo l'appello al TAR, riacquistò il suo posto.
I successivi capri espiatori furono ovviamente i critici. Le testate giornalistiche scrissero molto sulle proprie pagine puntando il dito verso i critici dell’arte colpevoli di aver preso una cantonata colossale.
«La Stampa» si interrogò sul futuro e scrisse: «qual è il Museo che comprerà una scultura di Modì autenticata da uno dei grandi critici (Cesare Brandi, Argan, Jean Leymarie) che hanno espresso "ammirazione e commozione" di fronte al pezzo di arenaria col naso lunghissimo, o vi hanno addirittura scorto "una luce interiore, come una veilleuse" e secondo Guido Guastalla "Avevano deciso – ironizza Guido – che tutto quel che si sarebbe trovato nei fossi sarebbe stato di Modigliani. Ed ecco il risultato" e Pepi "Ovvio, le teste, le hanno trovate dove volevano che fossero. Ora si dice che chi non ci vuole credere tradisce Modigliani"».
Sempre «La Stampa» rincarò la dose interrogandosi nuovamente e stavolta su come sarebbe stato possibile dimostrare l’autenticità delle statue e a tal proposito riportò le parole dello scienziato Paolo Parrini: «chissà se i critici d’arte hanno imparato la lezione? Prima di emettere giudizi avventati sull’autenticità, l’epoca e la paternità di un’opera d’arte è opportuno fare ricorso a una serie di prove che la scienza mette a disposizione».
Giunse poi il «Corriere della Sera» che analizzò il comportamento del Consiglio comunale di Livorno all’indomani della burla: «non appena i contorni dello scherzo si sono rivelati molto vicini alla realtà, l'amministrazione comunale ha preso le distanze con decisione dalle affermazioni di critici d'arte e di tecnici che davano ormai per scontata l'attribuzione ad Amedeo Modigliani delle prime due teste ripescate nei fossi.
Ed ha ricordato che la decisione di dragare il canale era stata presa all'unanimità da tutti gruppi presenti in consiglio comunale, così come non si era levata alcuna voce di dissenso dalle opposizioni finché il sostegno procedeva a gonfie vele».
Si mise in fila anche il settimanale «Panorama»: «dopo la beffa di Livorno molti si sono chiesti: come è stato possibile che critici accreditati, esperti di fama, siano caduti in un tranello con tanta velocità e fino al collo? Una prima risposta la dà Claudio Gasparrini "Buona parte dell’arte moderna si può falsificare con relativa facilità". Non la pensa così Federico Zeri "Si spiega col fatto che per esempio Argan e Brandi non sono dei conoscitori, bensì dei teorici, o anche chiacchieroni. […] Quando il periodo è approfondito il falso si smaschera da solo"».
Infine anche il settimanale «Epoca» disse la sua: «così, fra critici esimi e marcanti d’arte improvvisati, vedove d’autore e addetti all’opera omnia, organizzatori di mostre e critici d’assalto, nella geometria del falso in arte, l’unico che fa tenerezza alla fine è proprio il falsario: quello sulla cui testa cadono tutte le colpe, quello cui, in sostanza, restano solo gli spiccioli».
Gli ultimi ad essere colpiti furono i politici e la giunta comunale di Livorno. Gli amministratori locali, infatti, passarono dall’essere strenui sostenitori del miracolo a principali indiziati, attraverso una difficilissima difesa dell’operato durante gli scavi. La notizia ebbe talmente tanta eco, che finì anche nelle aule del Parlamento italiano.
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Storia di una beffa mediatica: il caso dei ''falsi Modì''
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Informazioni tesi
Autore: | Sara Bonsignori |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2018-19 |
Università: | Università degli Studi di Bergamo |
Facoltà: | Scienze della Comunicazione |
Corso: | Scienze della comunicazione |
Relatore: | Federico Mazzei |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 53 |
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