La teosofia e la scienza

Le discipline di partenza dei ricercatori psichici erano tra le più svariate: fisici, astronomi, matematici, letterati, biologi, psicologi, antropologi e archeologi; ciò che li accumunò, probabilmente a causa della scienza positiva, fu la formazione prevalentemente evoluzionistica.
Scarpelli pone molto l'accento sulla matrice evoluzionistica quale base su cui si innestarono gli interessi spiritualisti, soprattutto grazie all'opera di Alfred Wallace, che possiamo considerare uno degli iniziatori dello “spiritualismo scientifico”.
La tradizione dello studio della storia naturale era propensa a sviluppare interpretazioni del corso della natura, e in particolare della specie umana, impregnate di teo-teleologia: la natura era vista come guidata da un disegno divino e l'uomo era il centro di questo disegno.
Anche dopo Charles Darwin (18091882) quella fu la concezione predominante, nonostante lui avesse esposto una teoria evolutiva guidata da un meccanismo assolutamente cieco e casuale, estraneo a ogni intervento divino.
Infatti, benché il darwinismo fosse ormai consolidato, la selezione naturale veniva vista come quello strumento attraverso il quale Dio attuerebbe il suo piano per la natura; per fare un esempio, Charles Lyell (17971875), che con i suoi Principi di geologia influenzò molto Darwin, riteneva la teoria dell'evoluzione perfettamente conciliabile con la teologia naturale, ed anche Asa Gray (18101888), il sostenitore delle teorie darwiniane in America, sottoscrisse questa opinione.
Il darwinismo finalistico non basava il suo assunto teleologico esclusivamente su articoli di fede, ma anche su un'esigenza euristica, poiché restavano ancora da chiarire i percorsi evolutivi dell'intelligenza e del sentimento etico-religioso nell'uomo rispetto al bruto.
Scarpelli ci informa infatti su come, a fine Ottocento, l'inspiegabile sviluppo delle facoltà intellettuali, morali e spirituali dell'uomo fosse uno dei punti fermi del dibattito naturalistico; una delle teorie più diuse è così riassumibile: “le leggi dello sviluppo biologico (. . . ) [non] avrebbero potuto agire sul nostro processo evolutivo nella fase del passaggio dallo stato di bruto a quello di uomo con la conseguenza che proprio a un'intelligenza suprema va ascritto l'intervento decisivo nel percorso del genere umano e la comparsa della sfera psichica.
Il passaggio dallo stato ferino a quello propriamente umano era così da ascriversi direttamente ad una volontà superiore, che avrebbe innestato le facoltà mentali e spirituali su un uomo-bruto dalle caratteristiche biologiche e fisiologiche pressoché uguali alle nostre.
Si arrivò anche a ritenere l'uomo, dal punto di vista fisico, come culmine e fine dell'evoluzione materiale: la lotta per la sopravvivenza del più adatto si era spostata sul piano spirituale e mentale, facendo così delle variazioni di natura morale e mentale quei caratteri cumulativi utili alla trasformazione della specie.