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La marca ''sempreverde'' tra identità e immagine: un approccio sociosemiotico alla corporate social responsibility

Etica ed economia: da ossimoro a contratto sociale

Affrontare il discorso etico e la sua controversa estensione all'agire imprenditoriale implica il superamento del limite posto dall'astrattezza della corporate social responsibility, offrendo così l'opportunità di risolvere il trade-off esistente tra responsabilità individuale, ovvero il comportamento interno dei soggetti che operano in un'organizzazione, e collettiva, afferente al rispetto che l'impresa in quanto istituzione adopera nel rapporto con la comunità.
La CSR é una nozione d'altri tempi, che affonda le sue radici nel dibattito filosofico, sebbene sia radicato un certo filone di pensiero che ritiene quest'ultimo del tutto estraneo dagli affari economici, poiché ritenuto inconciliabile con le esigenze del mercato. Eppure, come ricorda Aristotele, la valenza originaria dell'etica é quella di "filosofia pratica", ragion per cui essa non può essere considerata semplicemente come strettamente legata alla soggettività del singolo, ma potrebbe essere estesa a quelle decisioni che esercitano un rilievo sulle questioni sociali. Per colpa di questo antico pregiudizio, e come visto non solo di questo, la responsabilità sociale di impresa è rimasta confinata tra quei concetti intangibili e pertanto privo di utilità effettiva, nonostante la ribalta degli elementi immateriali all'interno delle teorie aziendaliste.
Forse quest'erronea convinzione é scaturita dall'accostamento antitetico tra la parola "responsabilità", legata al rispondere delle proprie azioni a livello individuale, con la parola "sociale", riferita alla moltitudine. A partire da questa dicotomia, si proprorrà nelle pagine successive una sintesi di quattro dei maggiori contributi filosofici sul tema, esposti in ordine cronologico, differenziando le posizioni in base all'intersecarsi di due aspetti: la focalizzazione sui risvolti individuali o sociali dell'etica e l'inquadramento di quest'ultima come teoria morale astratta o come dottrina comportamentale concreta.
A dare un'accezione "universalista" dell'etica é il già citato Aristotele, che nella sua "Etica Nicomachea" afferma quanto la vita dedita al commercio sia qualcosa di contro natura, non essendo la ricchezza il bene che l'uomo cerca e valendo essa infatti solo in funzione del guadagno, che é però un mezzo per qualcosa d'altro. La tesi del filosofo, il primo ad intraprendere riflessioni sull'argomento, attribuisce all'etica lo statuto di virtù e quindi essa risulta, in base alla nostra classificazione, una dote individuale. In più, l'autore precisa che allorché questo insieme di qualità personali dovesse essere messo in pratica allora l'individuo potrebbe effettuare le giuste scelte; quindi, il pensiero aristotelico va ricondotto ad un'idea di etica come scienza dei comportamenti.
Al contrario, Hobbes ritiene la disciplina attenga per lo più ad un piano intangibile, intendendola come una sorta di legge calata dall"alto", pur riconducendola però alla sfera soggettiva, delle passioni individuali da cui essa deriva. Ciò è in linea con l'assunto, condiviso anche da Hume, che le istanze passionali non abbiano nulla di irragionevole e che anzi vi sia una certa componente di immediatezza nelle condotte etiche, principio che abbiamo ipotizzato nel primo capitolo quando si è individuata una connessione tra la componente estesica e quella appunto etica nella progettazione del
discorso di marca. Il pensiero di Hobbes sfocia in una visione "egoistica" dell'etica, intesa come crescita personale, come sottolinea la frase latina "Bellum omnium contra omnes", la guerra di tutti contro tutti, con cui l'autore descrive lo stato di natura ne "Il Leviatano" del 1651, uno stato in cui ogni individuo verrebbe mosso dal suo più intimo istinto e cercherebbe di danneggiare gli altri, eliminando chiunque sia di ostacolo al soddisfacimento dei propri bisogni.
Con la sua teoria assolutista, Kant elabora delle norme etiche di carattere universale, partendo dall'assunto dell'esistenza di "imperativi categorici", validi in ogni momento ed in ogni contesto, che l'uomo morale non può non rispettare. L'autore, che coi suoi studi segna la fine dell'età moderna, rispolvera la questione humeana della razionalità rapportata all'etica: quest'ultima non indica una volta per tutte dei precetti rigidi su come agire rettamente, ma fornisce un aprioristico criterio generale di valutazione poiché essa corrisponde a qualcosa di insito in qualsiasi uomo dotato di senno. Si tratta
di un'etica del dovere, deontologica, secondo la quale la realizzazione dei propri interessi non avviene tanto per conseguire dei fini, quanto per prestare fedeltà a dei principi superiori, come evidenzia la celeberrima espressione "la legge morale dentro di me".
Risulta chiaro quanto le teorizzazioni kantiane siano molto distanti da quegli economisi che non riescono ad intravedere un avvicinimaento tra etica ed economia, perché ritengono quest'ultima, almeno nel senso deontologico del termine, troppo inadeguata nella sua assolutezza. Ciò avviene a causa dell'interpretazione confusa per cui l'azione morale debba essere per forza vista come sinonimo di gratuità, quindi estranea ad ogni forma di guadagno egoistico: si è visto, in realtà, quanto il guadagno non sia da escludere come risultato di azioni responsabili, ma sia semplicemente da affiancare all'ottenimento di più ampi vantaggi sociali.

Secondo Mill, infine, il comportamento morale non può mai prescindere dall'obiettivo di produrre i massimi benefici; per via del contenuto strettamente economicista dell'ideologia, l'etica da applicare nell'impresa é quella utilitaristica, che mira al profitto, creando valore sì a vantaggio della collettività, ma solo di tipo economico. Quindi, il principio del tornaconto individuale è ritenuto in grado di soddisfare automaticamente gli interessi della collettività, ragion per cui nella matrice che qui si proporrà come sunto della carrellata qui effettuata, il contributo dell'autore si trova all'intersezione tra profilo sociale dell'etica intesa però come teoria astratta.
Quest'ultima mentalità, tuttavia, ha condotto alcuni studiosi, che possiamo ascrivere ad una corrente di pensiero "mercatistica", a rimanere arroccati sul falso convincimento che le strategie aziendali non possano essere etiche fino in fondo, mentre altri, muovendo dagli assunti kantiani sono giunti alla cosiddetta teoria del contratto sociale di Donaldson, che ha rappresentato un taglio netto rispetto alla ormai anacronistica visione utilitarista.
Sebbene il primo reale riferimento alle pratiche aziendali sia nato con le teorie di Mill, in base alle quali l'unico obiettivo é quello di tenere conto delle conseguenze dei comportamenti adottati, quindi della massimizzazione degli effetti positivi delle azioni, é stato solo "rispolverando" Kant e la sua focalizzazione sull'eticità come "mezzo" piuttosto che come fine, che si è potuti giungere alla definitiva accettazione della coesistenza della dicotomia tra profitti ed etica.

Al termine di questo breve excursus, così come avvenuto in merito alla CSR, possiamo contrapporre anche per quanto riguarda le varie visioni susseguitesi circa l'etica dell'economia una corrente tradizionale, ascritta al pensiero di Hobbes e Mill che si ribattezza qui come "mercatistica", ed una basata sulla nozione di contratto sociale, come mostrato nello schema in figura 18.
La teoria del contratto sociale combacia in pieno con la stakeholder view esaminata per quanto attiene alla responsabilità sociale e quindi in generale con una mentalità olistica ed universale (nel senso aristotelico del termine); al giorno d'oggi, risulta ormai superata la concezione utilitaristico-relativista e per giunta di breve periodo dell'homo oeconomicus, vecchio modello già citato nell'excursus sulla sociologia dei consumi.

Si arriva, così, alla considerazione che, sebbene l'impresa non sia in se stessa un soggetto morale, essa sia composta da un insieme di soggetti che, scambiando tra di loro le proprie conoscenze ed il proprio portato individuale, potrebbero favorire tuttavia la diffusione di un orientamento etico, basato sull'interazione umana. Ci si muove, ancora, tra individuale e collettivo, seppur stavolta in un'ideologia che sintetizzi entrambi i profili, non disdegnandone ma anzi auspicandone la compresenza. Soltanto se gli obiettivi di ciascun partecipante-sia interno all'impresa che nel contesto esterno-contribuiscono a migliorare i risultati globali del sistema, la collaborazione potrà permettere l'instaurazione di un clima di fiducia, tranquillizzando così coloro che nutrono ancora dei dubbi – o forse li esibiscono di proposito come comodo scudo per non adoperare una condotta onesta - sul fatto che, a lungo termine, l'etica possa pagare.

Questo brano è tratto dalla tesi:

La marca ''sempreverde'' tra identità e immagine: un approccio sociosemiotico alla corporate social responsibility

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Informazioni tesi

  Autore: Mara Grimaldi
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2011-12
  Università: Università degli Studi di Salerno
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Comunicazione d'impresa
  Relatore: Anna Cicalese
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 293

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Parole chiave

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green marketing
sociosemiotica
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corporate social responsibility
corporate communication
discorso di marca
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