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Donne e Primavera Araba: la partecipazione femminile alle ondate di rivolta e le dinamiche della post-rivoluzione

Donne e post-rivoluzione: nuove sfide ed opportunità

Nel giro di poco tempo i Paesi arabi colpiti dalle ondate di rivolta hanno posto fine ai regimi autoritari che li governavano. Le cadute di Ben Ali e di Moubarak, seguite da quelle dei presidenti degli altri Paesi arabi coinvolti, hanno però aperto una nuova fase in cui le conquiste delle rivolte si sono incrociate con questioni legate alle dinamiche post-rivoluzionarie di ciascun Paese. La vera sfida è infatti iniziata con la fine delle dittature: i soggetti che hanno giocato un ruolo determinante nelle rivoluzioni hanno dovuto lottare per mantenere viva e attiva la loro presenza anche nelle fasi successive, per poter essere in primo piano nel processo di ricostruzione del proprio Paese. Il “vento di cambiamento” introdotto dalle Primavere arabe ha reso questi soggetti consapevoli della loro importanza e ha fatto in modo che la loro partecipazione attiva non si fermasse di fronte agli esiti positivi delle rivolte, ma proseguisse nella richiesta di un effettivo riconoscimento dei diritti recentemente conquistati.

In quest’ottica rientra la partecipazione femminile alle rivolte arabe. Le donne, che sono state determinanti per la riuscita dei progetti rivoluzionari, si sono trovate a dover fronteggiare una serie di problemi relativi alla loro inclusione nei processi di transizione iniziati subito dopo. La Primavera araba è stata un punto di svolta per le donne della regione e la visibilità da loro ottenuta nella lotta contro i vecchi regimi ha permesso loro di avanzare nuove pretese agli attori politici ora al potere, quali: l’inserimento nel sistema politico, il rispetto e la tutela dei propri diritti e lo sradicamento delle tradizioni patriarcali che da sempre caratterizzano il Medio Oriente. La partecipazione delle donne ai processi di transizione è così un’opportunità per loro di sfidare le leggi patriarcali che violano da tempo i loro diritti, ma anche una possibilità per tentare di abbattere la discriminazione di genere che le opprime e che rafforza la loro posizione di inferiorità.

Nonostante ciò, le sfide da affrontare sono ancora molteplici. Le prime preoccupazioni arrivano dai partiti politici saliti al potere dopo la fine delle dittature: nella maggior parte dei casi si tratta di partiti islamisti che minacciano un ritorno dell’Islam nella vita politica. La reintroduzione della shari’a e la rinascita di un movimento islamista che sembra operare in termini transnazionali hanno fatto parlare di un peggioramento della condizione della donna nella regione, tale da far temere un ritorno per le donne ad una posizione di “soggetti dello stato e oggetti delle sue politiche”, piuttosto che di attori determinanti in grado di contribuire al cambiamento.

Il ritorno all’islamismo, sancito dai risultati delle prime elezioni libere per molti Paesi arabi, è rappresentato nella maggior parte dei casi da partiti che hanno occupato la scena pubblica dopo anni di clandestinità ed esilio, a cui erano stati confinati dai regimi al potere. Si tratta però di partiti, come nel caso del tunisino En Nahda o dell’egiziano Libertà e Giustizia guidato dai Fratelli Musulmani, che non hanno avuto alcun ruolo fondamentale nelle rivolte e che hanno saputo elevarsi nel momento giusto a guida dei propri popoli facendo leva sul fallimento degli ideali laici.

Un altro problema del periodo post-rivoluzionario riguarda i passi indietro in materia di diritti delle donne. L’opzione dell’islamismo è stata infatti dettata per lo più dal rifiuto dei partiti laici precedentemente al potere. Le stesse donne hanno votato a favore dei partiti islamici perché si sono ritrovate spesso a considerare i diritti concessi dai laici come un’identificazione nei regimi stessi, accettando così di fare dei passi indietro rispetto alle loro libertà. Le donne hanno spesso sofferto della cosiddetta “sindrome della first lady”, cioè la percezione che ci fosse una sorta di “femminismo di stato” per cui i regimi al potere ostentassero attività a favore delle donne attraverso le first ladies Suzanne Moubarak e Leila Ben Ali Trabelsi per mascherare le sporche attività del regime e ottenere l’appoggio dell’Occidente. Sebbene alcune donne temessero che l’ascesa dei partiti islamisti potesse costituire un passo indietro rispetto alle conquiste del periodo pre-rivoluzionario, molte di loro hanno finito per votare in loro favore. Sembra che l’adesione ai partiti islamisti sia dipesa dal fatto che questi ultimi fossero più vicini alle richieste delle donne delle classi medie e medio-basse, che si sentivano escluse dal modello femminile proposto dalle fazioni laiche.

Infine, la fase post-rivoluzionaria ha visto anche un aumento della violenza nei confronti delle donne. I partiti al potere, pur dichiarandosi disposti a tutelare i diritti delle donne e a favorire la loro partecipazione ai processi di transizione e di formazione dei nuovi governi, si sono spesso serviti della violenza per costringere le donne alla marginalizzazione e ribadire la loro posizione di inferiorità, come accaduto in occasione di una manifestazione in piazza Tahrir l’8 marzo 2011, quando gruppi di femministe sono stati presi d’assalto da membri dell’esercito egiziano e invitati a riprendere i loro ruoli tradizionali con slogan come: “Ritornate nelle vostre cucine, quello è il vostro posto!”. Di queste violenze si è parlato ben poco, anche a causa di una scarsa copertura mediatica da parte dei media occidentali. Uno dei pochi casi riportati è quello di una giovane donna denudata e picchiata in piazza Tahrir dai militari in occasione di una manifestazione nel dicembre 2011. I militari le hanno strappato i vestiti rivelando il colore blu del suo reggiseno, che ha immediatamente attirato l’attenzione dell’opinione pubblica occidentale.

La ragazza, divenuta famosa come “la ragazza col reggiseno azzurro”, ha goduto del sostegno della piazza, che prontamente ha filmato l’aggressione per poterla testimoniare, ed è divenuta così il simbolo della violenza contro le donne “mentre il mondo guardava solo al reggiseno blu”.
Le donne arabe si trovano così impegnate su più fronti: il successo delle rivolte è solo l’inizio di una lunga fase in cui dovranno continuare a combattere contro gli stereotipi patriarcali radicati nelle società arabe, contro l’ascesa dell’islamismo che sembra operare contro i diritti delle donne e contro la crescente violenza sessuale usata per inibire la loro partecipazione alla vita pubblica. Tutti fattori che sembrano far parlare della minaccia di un “inverno islamico”.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Donne e Primavera Araba: la partecipazione femminile alle ondate di rivolta e le dinamiche della post-rivoluzione

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Informazioni tesi

  Autore: Luigi Limone
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2013-14
  Università: Università degli Studi di Milano
  Facoltà: Mediazione Linguistica e Culturale
  Corso: Scienze della Mediazione Linguistica e Culturale
  Relatore: Elisa Ada  Giunchi
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 65

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mediterraneo
medio oriente
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diritti delle donne
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libertà civili
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rivoluzioni
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