La responsabilità penale del direttore responsabile nella stampa periodica: il caso Sallusti
Diffamazione e responsabilità del direttore responsabile
La diffamazione, così come disciplinata dall'articolo 595 del codice penale, è il reato che consiste nell'offendere l'altrui reputazione, al di fuori dei casi previsti dall'ingiuria (articolo 594), comunicando con più persone, con l'esplicita esclusione, fatte salve eccezioni che non interessano in questa sede, dell'exceptio veritatis, cioè della prova liberatoria costituita dalla notorietà o dalla veridicità dei fatti (determinati o meno, come da aggravante di cui al secondo comma) attribuiti alla persona offesa. Il medesimo articolo, al terzo comma, prevede l'aggravante dell'uso del mezzo della stampa; in caso di contemporanea sussistenza delle due aggravanti – attribuzione di un fatto determinato e uso del mezzo della stampa – si applica però l'articolo 13 della della legge 8 febbraio 1948, nº 47, la quale prevede la reclusione da uno a sei anni e in più una multa (nella vicenda Sallusti, come vedremo, le due sanzioni sono state erroneamente interpretate come alternative).
Laddove l'editto, per espressa previsione all'articolo 47, presumeva che il gerente fosse sempre considerato complice degli autori di reati commessi attraverso il suo periodico, e dovesse pertanto soggiacere alle stesse pene a questi irrogate, l'articolo 57 del codice penale, perlomeno così come novellato dalla legge 4 marzo 1958, nº 127, stabilisce una precisa responsabilità in capo al direttore (o al vicedirettore) responsabile, ferma restando la responsabilità dell'autore e al di fuori dei casi in cui il concorso effettivamente sussista: il direttore o vicedirettore responsabile che ometta di "esercitare sul contenuto del periodico da lui diretto il controllo necessario ad impedire che col mezzo della pubblicazione siano commessi reati, è punito, a titolo di colpa, se un reato è commesso con la pena stabilita per tale reato, diminuita in misura non eccedente un terzo". Il 57-bis stabilisce poi, limitatamente ai casi di stampa non periodica, che quanto previsto dall'articolo 57 si applichi in prima istanza all'autore, poi, se questo è ignoto o non imputabile, all'editore, e infine, qualora l'editore sia non indicato o non imputabile, a chi ha eseguito la stampa.
A un'analisi accurata della giurisprudenza non sembrerebbe che l'orientamento ricorrente sia quello di riconoscere il concorso del reato in capo ai direttori responsabili: il reato contestato, anche per i cosiddetti redazionali, è quasi sempre l'omesso controllo, che, perlomeno dopo la riforma dell'articolo 57, non è da intendersi come frutto della mera negligenza ma come il mancato esercizio di un diritto-dovere che si contrae nel momento in cui si assume l'incarico di direttore responsabile e per l'esercizio dello stesso. D'altro canto, la Consulta si era già espressa nel senso che il direttore risponde per fatto proprio, perché tra l'omesso controllo e l'evento sussiste un "nesso di causalità materiale al quale si accompagna sempre un certo nesso psichico sufficiente a conferire alla responsabilità il connotato della personalità".
Questo brano è tratto dalla tesi:
La responsabilità penale del direttore responsabile nella stampa periodica: il caso Sallusti
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Informazioni tesi
Autore: | Amedeo Francesco Mosca |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 2012-13 |
Università: | Università degli Studi di Firenze |
Facoltà: | Scienze Politiche |
Corso: | Media e giornalismo |
Relatore: | Antonio Vallini |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 90 |
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