Strategie di branding e scelte distributive nel settore del lusso: Il caso Aeffe
Brand extension
Per le aziende che possiedono un brand di valore, si prospetta la possibilità di ampliare il loro raggio d'azione sfruttando questa risorsa strategica in ambiti di attività diversi da quello originario, secondo la logica della brand extension (Cappellari, 2011).
Per brand extension si intende: "l'operazione che consente all'impresa di accedere con la stessa marca a nuove categorie di prodotto, facendo leva sul capitale relazionale, sulla credibilità e sulla reputazione, frutto delle interazioni già consolidate con i clienti" (Fiocca, Marino, Testori;2001). In un settore in cui l'identità del brand viene definita, principalmente, dai significati emotivi e simbolici che riesce da evocare rispetto ai benefici funzionali, le possibilità di estendere il valore del brand anche in campi di attività molto diversi tra loro aumentano.
Armani, nel corso degli anni, ha esteso il suo marchio in differenti categorie merceologiche oltre all'abbigliamento: agli occhiali, ai profumi, ai gioielli fino ad arrivare all'arredo della casa e all'ingresso nel settore del resort di lusso.
Prima degli anni '90, nel settore specifico della moda, le operazione di brand extension erano molto limitate alla creazione di linee secondarie, volte a soddisfare una tipologia di clientela diversa. A partire dagli anni ‘90, le aziende cominciano, invece, a sviluppare nuove linee di accessori (valigie, scarpe, occhiali ecc.), fino ad arrivare ai giorni nostri, dove assistiamo spesso a brand che entrano in nuovi settori completamente lontani da quello di origine, come nell'esempio visto di Armani. L'obiettivo è quello di estendere la marca in tutte le situazioni in cui il cliente si viene a trovare; il concetto è efficacemente sintetizzato dalle dichiarazioni rilasciate sul blog dal noto stilista Giorgio
Armani in occasione dell'ingresso del gruppo nel settore alberghiero, nel quale si legge che l'obiettivo è quello di "costruire un marchio di stile di vita globale. La moda coinvolge il nostro stile di vita, non solo come vestiamo, ma anche come viviamo, i ristoranti in cui mangiamo, le auto che guidiamo, le località dove trascorriamo le vacanza e gli hotel in cui scegliamo di stare" (Armani, 2005).
Utilizzare per tutti i prodotti il medesimo marchio determina numerosi vantaggi per l'azienda produttrice. Innanzitutto, se si dispone di un marchio già conosciuto dai consumatori, l'ingresso in un nuovo mercato può essere meno dispendioso, sia in termini di tempo, in quanto il consumatore sarà più propenso all'accettazione di un prodotto in cui è apposto un marchio che già conosce rispetto ad uno nuovo, sia in termini di risorse investite rispetto a quelle necessarie per lo sviluppo e il lancio di un nuovo marchio sconosciuto.
Riferendoci in particolar modo alle imprese che operano nella moda, un altro vantaggio, è l'aumento della redditività che può comportare l'attuazione di un'efficace strategia di brand extension. Da uno studio di Merrill Lynch sui bilanci delle aziende del lusso (Cappellari; 2011) è stato rilevato come le vendite di abbigliamento presentano una marginalità non molto alta, circa del 10,5%; questo è dovuto alla necessità di avere superfici di vendita grandi e di disporre di ampi assortimenti divisi per taglie, modelli e colore, con la conseguenza di un maggior peso delle rimanenze. Ma, le aziende del lusso hanno in media una marginalità superiore, circa del 18,8%, perché hanno sviluppato l'attività anche in settori notevolmente più redditizi. Il settore della pelletteria e delle calzature ha, ad esempio, una redditività media del 35,7%, quello degli orologi il 23,2%, della gioielleria il 21,2%. Per questo motivo, case come Louis Vuitton, da sempre operanti nel pret-à-portè, hanno cominciato a vendere borse, occhiali o altri accessori.
Secondo Kapferer (2004) per competere con successo e sostenere gli elevati costi che il settore del lusso richiede, è necessario un progressivo ampliamento del raggio d'azione e i modelli a cu ispirarsi sono due (Cappellari, 2011) Il primo, caratteristico delle grandi aziende europee ricche di storia, è detto "Modello Dior". Si tratta di un modello di business che può essere raffigurato da una piramide, in cui al vertice si collocano le creazioni dello stilista, che svolge per l'azienda il ruolo dell'"artista", quindi pezzi unici presentati alle sfilate caratterizzati da un elevato apporto di creatività. Scendendo nella piramide, sono collocate le linee più commerciali del brand che presentano richiami allo stilista meno accentuati, fino ad arrivare, alla base della piramide, alle licenze nel settore della profumeria e della cosmetica che si limitano a sfruttare il brand. In questo modello ogni prodotto, in base al collocamento nella piramide, svolge un ruolo diverso per il brand: ricavi e profitti vengono garantiti dai prodotti situati alla base della piramide, utili per alimentare gli alti costi in comunicazione necessari per le linee che si trovano al vertice che, spesso, lavorano in perdita dal punto di vista del valore economico, ma non possono essere eliminate in quanto necessarie per mantenere la desiderabilità del brand e alimentare il sogno che altrimenti verrebbe consumato dall'accessibilità dei prodotti alla base della piramide. Viene così attivato un circuito in grado di autoalimentarsi dall'alto verso il basso e dal basso vero l'alto.
Il secondo modello a cui fa riferimento Kapferer ha le sue origini in America, ma è presente in importanti aziende europee come Hugo Boss e Armani e trova la sua massima espressione in Ralph Lauren. Si può raffigurare come un modello piatto e circolare, dove al centro è presente l'identità del brand circondata da tutte le manifestazioni del brand (le diverse linee e licenze), tutte più o meno equidistanti dal centro. In questo tipo di modello ogni manifestazioni del brand ha la stesa importanza e contribuisce a rafforzarne l'identità. Questo non significa che non siano presenti linee con un posizionamento diverso, soprattutto in termini di prezzo, ma non è possibile etichettare queste aree di attività come secondarie perché in tutte le linee è presente in ugual modo l'anima del brand.
Una strategia di brand extension presenta anche dei rischi, che l'azienda deve valutare con attenzione, che vanno ben oltre la perdita finanziaria legata all'errato investimento. Il maggior rischio è quello legato allo svilimento dell'immagine di marca, che lo si deve ad un disorientamento del consumatore frutto di un'offerta che non viene percepita coerente dal punto di vista dell'aderenza ai valori del brand. Tale effetto non avrà ripercussioni solo sulla nuova linea di prodotto, ma si ripercuoterà su tutto il business dell'azienda e viene detto "spill-over effect", ritorno d'immagine (Gabrielli, 2012). Questo effetto si ha principalmente quando l'azienda decide di entrare in settori nei quali non ha esperienza, oppure quando un'impresa, pur mantenendosi all'interno del medesimo ambito merceologico, decide di variare il segmento di clientela di riferimento offrendo anche prodotti dal livello qualitativo e dal prezzo sensibilmente più bassi .[...]
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Strategie di branding e scelte distributive nel settore del lusso: Il caso Aeffe
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Informazioni tesi
Autore: | Riccardo Claudio Vibi |
Tipo: | Tesi di Laurea Magistrale |
Anno: | 2011-12 |
Università: | Università degli Studi di Urbino |
Facoltà: | Economia |
Corso: | Marketing e Comunicazione d'Azienda |
Relatore: | Elisabetta Savelli |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 84 |
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