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L’archeologia sperimentale come strumento di divulgazione: il caso dell’Archeodromo di Poggibonsi

Archeologia sperimentale e disabilità

Tra i vari settori di impiego brevemente descritti all’inizio del paragrafo quello della disabilità è quello che, almeno in un primo momento, può sembrare il meno pertinente all’idea di ricerca o divulgazione scientifica. Infatti, quello che si propone in questo paragrafo non è altro che una declinazione della didattica dell’archeologia sperimentale adattata per coloro che attraverso il “fare” traggono una folta serie di benefici non solo di natura sociale e psicologica ma anche cognitiva; in altre parole l’obiettivo primario non è incrementare le competenze o le conoscenze, che comunque risulteranno certamente accresciute, ma sollecitare la psiche in modo da arricchire il soggetto di relazioni.
Il 3 marzo 2009 il Parlamento Italiano ha ratificato e reso esecutiva la “Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità”, pubblicata a New York il 13 dicembre 2006.92 All’interno del testo viene evidenziata in particolare la necessità di non trascurare l’ambiente che circonda la persona disabile, così da porre l’attenzione sul rapporto tra individuo e ambiente circostante. Infatti, questa Convenzione è basata sullo studio condotto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che definisce la disabilità come:

conseguenza o risultato di una complessa relazione tra la condizione di salute di un individuo e i fattori personali, i fattori ambientali che rappresentano le circostanze in cui vive l’individuo.93

Da ciò dunque si capisce che essere in salute non significa esclusivamente non avere patologie ma è necessario anche considerare quegli aspetti sociali che riguardano il soggetto e le sue interazioni con il mondo esterno poiché tutti questi fattori sono interconnessi tra loro.94
Il luogo nel quale deve o dovrebbe essere naturale che si realizzi un laboratorio di archeologia sperimentale rivolto a categorie di persone diversamente abili è senza dubbio il museo. L’ICOM, ovvero il codice etico di livello internazionale che fissa gli standard di condotta e di prestazione per musei ed operatori museali, definisce che:

Al museo spetta l’importante compito di sviluppare il proprio ruolo educativo e di richiamare un ampio pubblico proveniente dalla comunità, dal territorio o dal gruppo di riferimento. L’interazione con la comunità e la promozione del suo patrimonio sono parte integrante della funzione educativa del museo.95

Un laboratorio di archeologia sperimentale rivolto a categorie di soggetti con difficoltà cognitivo-relazionali consente di potenziare le abilità cognitive e dunque rinsaldare l’autostima e la sicurezza dei fruitori oltre a stimolare le già citate relazioni, non solo fra di loro ma anche con gli oggetti e con le tecniche usate per studiarli e replicarli. Attraverso il reperto archeologico, sotto forma di oggetto di cultura materiale, il soggetto è messo di fronte a una serie di inevitabili questioni temporali, causali e relazionali che lo spingono a moltiplicare le proprie potenzialità cognitive.96
Al fine di rendere più tangibili tutte le informazioni appena elencate sarà utile entrare più nello specifico e andare a vedere a livello pratico come si può applicare l’archeologia nel campo della disabilità.
Il progetto di cui parleremo è quello proposto da Dario Scarpati, archeologo, e dalla Dott.ssa Silvia Maffei, per adolescenti con lieve disabilità cognitiva presso il Centro Riabilitativo TANGRAM di Roma.97 Durante la fase della crescita uno dei problemi più comuni per i ragazzi disabili è quello di essere considerati degli eterni bambini; questo spesso porta a rendere più difficili gli scambi con il gruppo alla pari e all’emarginazione. Attraverso l’archeologia, una disciplina che permette sia di creare un gruppo di lavoro affiatato sia di dare libera espressione alle proprie capacità, l’equipe ha potuto creare una coesione tra i ragazzi disabili e allo stesso tempo valorizzare l’apporto personale di ognuno di loro. Va da sé che l’autostima di questi adolescenti è aumentata vertiginosamente.
Durante il progetto sono state affrontate sia applicazioni pratiche per quanto riguarda lo scavo archeologico sia riguardanti l’archeologia sperimentale. In prima istanza ai ragazzi sono stati mostrati dei frammenti archeologici di vari colori, i quali poi sono stati classificati. Successivamente ai ragazzi è stato chiesto di pulire i frammenti dai residui di terra. Questi passaggi sono molto importanti, in primis perché permettono di usare i cinque sensi: i frammenti sono stati divisi gli uni dagli altri secondo criteri visivi, quali per esempio il colore; inoltre è stato grazie al tatto che i ragazzi hanno potuto prendere dimestichezza con il reperto. Il passaggio successivo ha permesso ai “giovani archeologi” di ricostruire dei vasi (moderni), che erano stati rotti appositamente per l’attività, e capire come dai frammenti sia possibile ricavare un vaso o un’anfora. Alla fine è stata indispensabile per determinare il raggiungimento dell’obiettivo, l’esposizione di ciò che si era fatto, questo perché non basta solamente acquisire le conoscenze ma vi è la necessità di saperle poi esprimere sotto forma di mostra o di esposizione. Quest’ultimo passaggio è molto significativo poiché le competenze che i ragazzi hanno acquisito durante tutta la sperimentazione sono state anche divulgate. Quindi ancora una volta l’archeologia non rimane solo uno strumento per facilitare l’apprendimento, ma anche un motore che grazie a sé genera informazione e porta all’aumento dei fruitori.

Un altro aspetto basilare dell’esperienza laboratoriale è stato quello legato all’archeologia sperimentale, in particolare alla ricostruzione e alla replicazione dei reperti. Abbiamo già detto come, nel caso di persone con disabilità, sia importante l’uso dei sensi, in particolar modo del tatto: durante un laboratorio incentrato sul Neolitico i ragazzi hanno potuto sperimentare con le loro mani la costruzione di un telaio che per funzionare doveva essere maneggiato da due persone insieme, l’utilizzo di bastoni e altri oggetti per creare ritmi musicali, la pittura rupestre e l’arte del modellare statuette simili a veneri preistoriche.98 Ognuna di queste attività ha portato in evidenza delle buone capacità manuali e una coesione del gruppo molto importante.
Un altro aspetto che è utile tenere in considerazione è quello del linguaggio. L’archeologia, come abbiamo già fatto presente in questo studio, è dotata di un linguaggio prettamente scientifico che non è facile da declinare in contesti più scolastici. Durante le attività sopra elencate l’equipe ha dovuto unire qualche parola del linguaggio archeologico a termini tipici del quotidiano dei ragazzi che partecipavano al progetto.99 Questa soluzione potrebbe non essere apprezzata da coloro che vedono nell’archeologia sperimentale una disciplina totalmente scientifica e rigorosa, ma bisogna ammettere che l’uso di questi nuovi termini ha permesso a giovani ragazzi con difficoltà cognitive di apprendere e consolidare le conoscenze, e di conseguenza l’uso di un linguaggio adatto al tipo di pubblico non deve essere visto come una perdita di scientificità della disciplina, ma come strumento necessario per la divulgazione.

Fino a ora abbiamo visto come la sperimentazione archeologica legata alla disabilità sia stata declinata dal Centro-TANGRAM all’interno dei musei; un’altra possibilità però la può fornire un altro tipo di luogo, molto adatto allo sviluppo dell’archeologia e della cultura materiale: l’Archeodromo. Proprio all’Archeodromo di Poggibonsi infatti ci sono percorsi dedicati a persone con disabilità: questo tipo di attività prende il nome di Archeoterapia. Durante questi corsi i partecipanti possono cimentarsi in attività di scavo e restauro calibrate sulla base della loro patologia, oppure con vere e proprie attività di archeologia sperimentale. In questo modo si vanno a ricreare oggetti utilizzando le stesse tecniche del passato e gli stessi ragionamenti.100 Ancora una volta il contatto con l’oggetto permette alle persone con disabilità di apprendere molto più facilmente e di raggiungere anche una discreta autonomia migliorando la manualità.
Prima però di parlare nello specifico dell’Archeodromo di Poggibonsi e di tutte le sue attività, è utile delineare una breve storia degli Archeodromi, in particolare quelli europei e italiani.




92 G.U. Serie Generale n.61 del 14-03-2009
93 O.M.S, ICF Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute, versione breve. p. 32
94 ANDJELKOVIC, K., CANTUSCI, M., D’ANZICA, C., DE PROPRIS, B., SCARPATI, D., ZUPANEK, B., Laboratori di archeologia sperimentale e disabilità, Espera, Roma 2015, p. 11.
95 ICOM code of ethics for museums, p. 24.
96 ANDJELKOVIC, K., CANTUSCI, M., D’ANZICA, C., DE PROPRIS, B., SCARPATI, D., ZUPANEK, B., Laboratori di archeologia sperimentale e disabilità, Espera, Roma 2015, pp. 13-14.
97 ivi, p. 18.
98 ivi, pp. 78-79.
99 ivi, p. 40.
100 https://www.parco-poggibonsi.it/archeoterapia (24/06/2018 h. 18:33)

Questo brano è tratto dalla tesi:

L’archeologia sperimentale come strumento di divulgazione: il caso dell’Archeodromo di Poggibonsi

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Informazioni tesi

  Autore: Niccolò Giberti
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2017-18
  Università: Università degli Studi di Firenze
  Facoltà: SAGAS
  Corso: Scienze dei beni culturali
  Relatore: Guido Vannini
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 59

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