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L'Iran dallo Scià alla Rivoluzione (1921-1979)

“L’Iran dallo Scià alla Rivoluzione (1921 – 1979)”

Questo lavoro si pone l’obiettivo di analizzare i principali avvenimenti storici e politici che hanno caratterizzato l’Iran dal 1921, anno della salita al potere di Reza Khan, fino al 1979, data che coincide con la vittoria della Rivoluzione Islamica sulla monarchia.
Il periodo di tempo preso in esame è stato caratterizzato dal dominio della dinastia Pahlavi, succeduta a quella Cagiara a partire dal 25 aprile 1926, quando Reza Khan si incoronò come Reza Shah Pahlavi sul Trono del Pavone. Il regno di Reza Shah terminò nel 1941, quando, in piena Seconda Guerra Mondiale, l’Iran venne invaso da unità militari britanniche e sovietiche che costrinsero il sovrano ad abdicare. Gli Alleati assicurarono la successione al figlio dello Scià, il giovane Muhammad Reza Pahlavi, che rimarrà al potere fino ai tragici fatti del biennio 1978-79. Uno degli eventi fondamentali che hanno segnato il Novecento iraniano è stato sicuramente il colpo di Stato portato avanti dai servizi segreti britannici e statunitensi contro il premier nazionalista Mossadeq nel 1953. Quest’ultimo, una volta divenuto primo ministro nel 1951, aveva deciso di nazionalizzare l’industria petrolifera, arrecando così un grave danno economico alla Gran Bretagna, che, grazie alla concessione D’Arcy risalente al 1901, deteneva fortissimi diritti sull’oro nero iraniano. La deposizione forzata di Mossadeq, appoggiata in pieno dal presidente statunitense Eisenhower, aveva di fatto sancito il pieno ingresso di Washington negli affari iraniani a discapito di Londra, il cui ruolo nell’intera area mediorientale andò man mano affievolendosi. Forte del sostegno politico, economico e strategico offerto dagli Stati Uniti, Muhammad Reza Shah potè rafforzare la propria posizione mediante una feroce repressione di tutte le opposizioni e l’instaurazione della cosiddetta “dittatura dello Scià”, che prevedeva la nomina alla carica di primo ministro di meri esecutori della volontà reale. Nel 1963 venne inaugurato un imponente programma di riforme, anch’esso patrocinato dalla Casa Bianca, che prese il nome di “Rivoluzione Bianca”. Il punto principale del programma era la riforma agraria, accompagnata da alcuni provvedimenti che andavano ad indebolire la posizione dei religiosi e a secolarizzare lo Stato. Proprio il rapporto tra la Corona e i religiosi era sempre stato al centro di tutta la storia iraniana e nel Novecento conobbe il suo esito più infausto. Guidati dall’ayatollah Khomeini, salito alla ribalta proprio nel 1963 durante dei moti di protesta contro la Rivoluzione Bianca e costretto all’esilio per questo motivo, molti mullah, spesso alleati dei mercanti, altra categoria sociale fondamentale, decisero di schierarsi contro lo Scià e il sistema di potere da lui guidato. Fu sul finire degli anni ’70 che le dimostrazioni contro il regime, accusato anche da molte Organizzazioni Internazionali per le ripetute violazioni dei diritti umani, si fecero più forti. Facevano parte dell’opposizione alla monarchia non solo religiosi, ma anche studenti, intellettuali, nazionalisti, personalità di sinistra. Complici anche la debolezza dello Scià ormai gravemente malato di cancro, l’indecisione di Carter e alcune scelte completamente sbagliate, la Corona perse totalmente il controllo della situazione. In un crescendo degli eventi, nel giro di pochi mesi il regime si ritrovò in ginocchio e Muhammad Reza Shah fu costretto alla fuga, mentre Khomeini poteva fare il suo trionfale ingresso in patria dopo anni di esilio forzato, sancendo l’11 febbraio 1979 la fine della monarchia e la nascita della Repubblica Islamica. Venne approvata una nuova Costituzione, furono eliminati tutti gli oppositori e venne stabilito il principio del velayat-e faqih (autorità del giureconsulto), secondo cui l’autorità suprema della Repubblica sarebbe stata un religioso di primo rango. La prima Guida (Rahbar) fu lo stesso Khomeini.
Visti anche i recenti sviluppi, l’ultimo capitolo del lavoro è dedicato ai fatti relativi al periodo post-rivoluzionario, con particolare attenzione al conflitto Iran-Iraq e alle dinamiche politiche interne, fino ad arrivare ai drammatici eventi legati alla rielezione di Ahmadinejad per un secondo mandato presidenziale nel giugno 2009, nonché all’annosa questione del nucleare.

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5 CAPITOLO 1 L’IRAN TRA LE DUE GUERRE MONDIALI Alla vigilia della Prima guerra mondiale la Persia era una monarchia costituzionale, dove esisteva un Parlamento eletto dal popolo, i cui deputati rappresentavano vari gruppi di interesse (mercanti, proprietari terrieri, religiosi, leader tribali), e un gabinetto nominato dallo Scià ma responsabile nei confronti dei rappresentanti scelti dal popolo. Questi elementi “democratici” erano entrati a far parte della forma di governo iraniana grazie agli eventi della rivoluzione costituzionale del 19062, che portò alla concessione di una Costituzione scritta da parte di Muzaffar al-Din Shah3 e alla creazione di un majlès4 che avrebbe deliberato in materia legislativa, finanziaria e di politica estera. La Persia arrivava però alla Grande Guerra come un Paese a “sovranità limitata”, sottoposto com’era alla fortissima influenza di due potenze dell’epoca, Russia e Gran Bretagna, come dimostrò l’accordo anglo-russo del 31 agosto 19075. Il testo dell’accordo prevedeva la divisione della Persia in tre zone: il nord, lungo la linea da Qasr-e Shirin a Yazd sarebbe stato di competenza russa, mentre il sud, dal confine afghano a Bandar ‘Abbas spettava agli inglesi, che già spadroneggiavano nel Golfo Persico. Alle autorità persiane restava solo la zona centrale del Paese. Sempre per quanto riguarda le influenze straniere, cominciarono ad affacciarsi nell’area anche gli Stati Uniti, quando nel dicembre del 1910 il ministro degli esteri Hussein Quli Khan inviò una lettera a Washington per richiedere una consulenza imparziale per risanare le disastrate finanze del 2 L’inizio della rivoluzione viene fatto coincidere con la punizione inflitta dal governatore di Teheran nel dicembre 1905 a un mercante, colpevole di avere aumentato il prezzo della zucchero, colpito con un bastone sulle piante dei piedi. I mercanti furono infatti tra i protagonisti degli eventi del 1906, vista la loro opposizione alle riforme fiscali degli anni precedenti che prevedevano maggiori tasse. Inoltre fu rilevante il ruolo degli ‘ulema (ovvero gli uomini istruiti nella legge religiosa islamica), preoccupati a loro volta dalle nuove imposte e dall’ingerenza straniera (russa e britannica soprattutto), in particolare con le figure di Seyed Muhammad Tabatai e Seyed ‘Abd Allah Behbahani, entrambi favorevoli alle riforme. Le richieste del movimento rivoluzionario erano l’istituzione di una Casa della Giustizia, ovvero di un consiglio legislativo eletto dal popolo, nonché le dimissioni del primo ministro ‘Ain al-Dauleh. Nel corso del luglio 1906 migliaia di mercanti si rifugiarono presso la delegazione britannica a Teheran, mentre i religiosi occuparono Qum, fino a che lo Scià, vista la debolezza del suo esercito, cedette, obbligando il primo ministro a dimettersi. Nell’agosto venne poi convocato con un decreto il majlès, che, dopo le prime elezioni dell’ottobre 1907, fu incaricato di scrivere la legge fondamentale iraniana, firmata il 30 dicembre dello stesso anno dallo Scià. Farian Sabahi, Storia dell’Iran 1890 – 2008, Milano, Bruno Mondadori, 2009, pp. 27-38. 3 Una settimana dopo avere firmato la legge fondamentale, il 7 gennaio 1907 lo Scià morì e il suo successore fu Muhammad ‘Ali-Shah, acerrimo nemico delle riforme. Il nuovo sovrano, nel giugno del 1908, con l’aiuto iniziale dei russi, tentò un colpo di Stato contro il Parlamento. L’impresa non andò a buon fine e il 10 maggio 1909 abdicò per il figlio Ahmad Shah. 4 Assemblea o Parlamento. Potevano partecipare alla sua elezione, sulla base della legge elettorale del settembre 1906, gli uomini tra i trenta e i settant’anni in grado di leggere e scrivere, senza procedimenti penali a loro carico, e che possedevano proprietà terriere, indipendentemente dalla religione professata, in modo tale da tutelare i diritti dei mercanti di fede non musulmana, ma non quelli dei contadini e dei ceti sociali più bassi. In ogni caso, i religiosi ottennero il 20% dei seggi nonostante la presunta laicità del Parlamento. In più il majlès non fu per nulla rappresentativo della popolazione, visto che 60 deputati su 156 provenivano da Teheran, col pretesto di snellire le procedure. 5 Oltre alla definizione delle rispettive zone d’influenza in Iran, l’accordo prevedeva la stessa pratica per l’Afghanistan e il Tibet. L’Entente cordiale del 1904 tra Francia e Gran Bretagna si trasformava così in Triplice Intesa.

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