Introduzione
differita? Tutto ciò, secondo Negroponte
3
, è inutilmente complicato ed il
gioco non vale la candela.
Questo non solo accade con le apparecchiature, ma succede
anche con le stesse informazioni. Nella rete Internet ci sono aree
specifiche che sono delle vere e proprie miniere di risorse in termini di
informazioni; ma a dispetto di ciò, queste preziose risorse a volte non
vengono utilizzate per il semplice fatto che non si fanno trovare.
Circa il 75% dei siti della Rete presenta, in differenti misure,
problemi di questo genere; circa il 50% dei potenziali rapporti
(commerciali e non) viene perso proprio a causa di questo motivo
4
.
La scarsa usabilità degli apparati multimediali e delle risorse
digitali in genere, provoca un utilizzo frammentato e limitato degli
applicativi. In termini economici questo si traduce in costi di
adattamento non previsti e tempi di apprendimento non giustificati.
Le aziende, prima del tracollo finanziario legato alla new economy
avvenuto nel 2001, hanno continuato ad investire i loro patrimoni senza
tener conto delle esigenze degli utenti e senza fare i conti con il nuovo
modello reticolare di Internet
5
. Dall’euforia per una ritrovata frontiera
dell’oro si è passati al crollo del vecchio modello economico.
Ciò che in questa ricerca si tenterà di dire è che Internet, con la
creazione di un nuovo modello, deve indurre le aziende e tutti noi ad un
cambio di prospettiva. Una prospettiva più legata all’uomo, alla sua
voglia di condivisione e comunicazione; una prospettiva costellata di
miglioramenti dei mezzi informatici esistenti più che della loro
3
Negroponte 1995.
4
Nielsen 2000.
5
Rampini 2002; Godin 1999.
Introduzione
moltiplicazione. Il programma, forse troppo pretenzioso, è quello di
indicare i criteri essenziali per rendere più antropocentrico
6
lo sviluppo
tecnologico di Internet.
Il richiamo ai Tecnoribelli di cui parla Tofler
7
è evidente. Anziché
lasciare che sia la tecnologia a determinare i nostri obiettivi, i Tecnoribelli
rivendicano un controllo sociale sulle direttrici principali del progresso
tecnologico. Come i Tecnoribelli, saremo a favore di un progetto che
preveda una gamma completa di «tecnologie appropriate» volte a fornire
occupazioni a misura d’uomo. I Tecnoribelli non vanno certo considerati
come luddisti informatici del terzo millennio; ma piuttosto come
individui che prendono coscienza del fatto che le nuove tecnologie
informatiche ed il mondo dell’informazione in generale, stanno
modificando, o sono destinate a modificare, profondamente non solo le
attività economiche, ma anche il modo in cui ciascuno di noi percepisce
ed agisce nel suo mondo personale.
Domanda: Perché dunque si pone il problema dell’usabilità?
Perché fino a questo momento il rapporto interattivo con gli
strumenti informatici è stato pressoché limitato. Con il crescente numero
di operazioni e mansioni introdotte dal computer è aumentato di
conseguenza il bisogno di aiuti e di supporti digitali da parte degli
individui; questi ultimi si affidano sempre più ad apparati informatici che
propongono via via informazioni maggiori e funzioni sempre più
specializzate e complesse. Mediare queste esigenze è appunto compito
degli studi di usabilità.
6
Dertouzos 2001.
7
Tofler 1987, pp. 194-197.
Introduzione
In questo senso è dunque opportuno recuperare la centralità
dell’Uomo nel processo progettuale informatico. Il vizio comunemente
presente nella progettazione è quello di uno scarso focus sui
comportamenti degli individui e sul contesto operativo ed organizzativo
in cui verrà inserita la soluzione tecnologica
8
.
Il problema della usabilità, in definitiva, si pone perché esiste una
qualche forma di interazione tra uomo e macchina. La necessità
dell’usabilità emerge quando all’uomo si affida una parte nella
costruzione del processo mediatico e comunicativo in generale.
8
Visciola 2000, p. 129.
1.1 In cerca di una definizione
Il termine Usabilità, traduzione del termine inglese Usability, è da
poco entrato nell’uso comune della lingua italiana, grazie all’introduzione
operata dal linguaggio della rete globale di Internet. Molti dei dizionari
moderni, infatti, ancora stentano a riconoscerlo come termine e ad
inserirlo tra le loro voci. Il termine, nonostante circoli sempre più tra gli
ambienti specialistici del campo informatico e della rete globale, tuttavia
ancora non gode di una definizione chiara e concisa, che ne determini sia
il campo di applicazione, sia l’oggetto della propria disciplina.
Per quanto riguarda l’Usabilità dei siti web, oggetto della nostra
ricerca, infatti non esiste ancora una letteratura corposa sull’argomento,
nonostante siano già stati avviati da meno di un decennio esperimenti in
tale direzione. Ciò che gli operatori del settore lamentano è soprattutto la
mancanza di criteri guida per una standardizzazione dei requisiti di
usabilità tali che possano in un futuro definire siti di qualità. Questa
carenza di principi-guida assoluti è dovuta alla natura costantemente
dinamica di tale campo di studi, in cui l’unico parametro d’analisi sembra
essere il cambiamento
1
. Pochi, sono ancora i siti dedicati alla
progettazione usabile che possano dare un ampio respiro a questa
disciplina e poche ancora le pubblicazioni cartacee. Molti stimoli
provengono dai cosiddetti “Internet’s Gurus” che facendo ricerca
nell’ambito della Web Usability forniscono linee guida di massima per
una progettazione web usabile.
1
Nielsen 2000.
In prima approssimazione, l’usabilità può essere definita come il
grado di facilità d’uso connesso al livello di fruizione di una determinata
quantità di informazione che un individuo può ricevere da un artefatto
tecnologico
2
3
. Si stabiliscono così artefatti tecnologici ad alta o a bassa
usabilità, secondo il grado di interazione tra questi e l’uomo
4
. Da questo
primo tentativo di definizione si evince pertanto che l’usabilità non
rappresenta una qualità intrinseca dell’oggetto, ma essa emerge solo in
rapporto con l’uso che ne fa l’uomo
5
; l’uomo, in questa analisi,
rappresenta l’elemento centrale ed imprescindibile per la progettazione
dell’usabilità dell’artefatto
6
.
Pur essendo ancora in cerca di una definizione completa ed
esaustiva del concetto di usabilità si può già affermare senza dubbio che,
nel corso della progettazione dell’usabilità, dovrà mettersi in atto quel
complesso di conoscenze che vertono tanto sugli artefatti tecnologici
quanto sul complesso delle caratteristiche umane che intervengono nel
rapporto con questi ultimi.
2
Per artefatto tecnologico si intende qui qualsiasi prodotto costruito dall’uomo che
abbia le caratteristiche di utilità e facilitazione del lavoro umano: dagli strumenti di
lavoro artigianali, fino al computer. La prospettiva è in un certo senso quella indicata
dal concetto di artefatto culturale [Vygotsky 1998].
3
Visciola 2000; Mantovani 1995; Nielsen 2000.
4
Visciola 2000.
5
Mantovani 1995.
6
Dertouzos 2001.
1.2 La storia
E’ stato detto che la conoscenza del termine Usabilità è avvenuta
soprattutto grazie allo sviluppo di questo concetto nel World Wide Web;
guardando le intenzioni dei primi ricercatori di tale disciplina tuttavia
nulla faceva pensare ad un simile sviluppo dei prodotti legati
all’informatica, né tanto meno a quelli connessi alla telematica. Il
concetto di Usabilità emerge negli anni Sessanta negli Stati Uniti
d’America, con la disciplina, allora nascente, dell’Ergonomia
7
(Human
Factors). Si tentava all’epoca di studiare il comportamento dell’attività
lavorativa umana nell’interazione con i propri strumenti e ambienti di
lavoro, al fine di migliorarne il rapporto e di conseguenza la produttività.
In particolare, ebbe molto successo quel settore di studi che fu chiamato
allora Interazione Uomo-artefatto. Era un campo di studi che apriva le
porte non solo alla ricerca psicologica del lavoro umano (Psicologia del
Lavoro, Psicologia dei gruppi lavorativi ecc.), ma anche a quelle
discipline che vertevano sulla intelligenza artificiale (Scienze Cognitive,
IA ecc…). I campi di applicazione erano i più disparati e i concetti
studiati trovavano immediata applicazione pratica. Se da un lato si
cercava di progettare un ambiente di lavoro adeguato all’uomo, con il
conseguente miglioramento della produttività in termini di salute e di
profitto economico, dall’altro grandi passi fecero gli sforzi per il
controllo e la gestione dell’errore umano nello svolgimento dei compiti a
lui affidati. Basti pensare all’ambito dell’ingegneria aereo-spaziale per
spiegare come i concetti studiati da questa disciplina avessero una
enorme applicazione pratica. Gli Stati Uniti, proprio in quegli anni,
7
Mantovani 1995.
inviarono la prima missione umana in orbita per l’esplorazione dello
spazio.
L’Ergonomia e L’Interazione Uomo-Macchina, dunque,
studiavano il rapporto che si instaurava tra l’uomo ed i propri strumenti
di lavoro. Negli anni Sessanta il computer era una realtà che apparteneva
ai grandi istituti di ricerca, come le università o i centri della difesa
nazionale, e per lo più era usato da professionisti ed esperti del settore
informatico; in questo senso non rappresentava ancora un vero e proprio
strumento di lavoro come l’Ergonomia lo intendeva
8
. Le macchine
“comunicavano” solo per chi era in grado di decifrare quel particolare
tipo di comunicazione e poteva dunque interagire con essa: il suo uso era
praticamente precluso ai non esperti. I computer erano programmati da
professionisti ed ingegneri del settore che si rivolgevano ad individui
dotati delle stesse ed identiche competenze. Questo tipo di informatica,
basata sul concetto di computer per soli «eletti», sarebbe stata destinata a
scomparire con l’avvento del personal computer. C’è chi definisce
l’introduzione del personal computer nelle fasi di produzione lavorativa
individuale una vera e propria rivoluzione
9
: nel senso che esso offriva un
nuovo strumento di lavoro ai non esperti informatici; e per di più
avrebbe innescato una serie di cambiamenti radicali all’interno della
società e nei rapporti interpersonali.
Il passaggio da computer centralizzati a sistemi computazionali
individuali, come il personal computer, determinò il cambiamento dei
rapporti che il singolo utente stabiliva non solo con la nuova macchina,
8
“Lo strumento di lavoro della società industriale, basata su rapporti capitalistici, è il
mezzo che il lavoratore usa, ma che allo stesso tempo non è stato da lui progettato.”
Kranzberg e Gies 1991.
9
Bonnen e Khan 1987.
che prometteva di diventare un nuovo fedele assistente, ma ne cambiava
anche la percezione che l’individuo aveva dell’attività aziendale.
“La progettazione dei sistemi informatici e di comunicazione,
per quanto sia un problema tecnico, coinvolge l’attività sociale e modella
l’infrastruttura sociale e della società più ampia.”
10
Dello stesso parere sembra essere Negroponte il quale scrive, a
proposito di quella che lui definisce “rivoluzione digitale”,
nell’applicazione ai mezzi di comunicazione di massa:
“La maggior parte dei responsabili dei media pensa che l’usa
della tecnica digitale significhi un modo migliore e più efficiente di
erogare quello che già esiste. Ma come il cavallo di Troia, questo regalo
riserverà delle sorprese. Un nuovo contesto emergerà dalla nuova realtà
digitale: nuovi attori, nuovi modelli economici e, verosimilmente, un
insieme di piccole imprese, fornitrici di informazione e
intrattenimento.”
11
Fu da allora che il personal computer diventò a tutti gli effetti un
nuovo strumento di lavoro al quale si rivolgevano segretari, avvocati,
commercianti, commercialisti, scrittori, persone che non avevano
nessuna nozione di linguaggi di programmazione piuttosto che di
architetture hardware. Con la promessa del computer per tutti, dunque si
sviluppò in questo ambito una ricerca per facilitare l’interazione con il
nuovo mezzo di produzione individuale. In quanto strumento di lavoro,
il personal computer diventò oggetto di studio della disciplina
dell’Ergonomia. In particolare gli studi sull’Interazione Uomo-Macchina
dettero un forte incentivo e aiuto a definire quale rapporto si sarebbe
10
Friedman e Khan 1994.
11
Negroponte 1995.
instaurato tra due diversi tipi di intelligenze, una naturale e l’altra
artificiale.
Il seme di tale disciplina attecchì in modo vigoroso nelle
intenzioni e nei programmi dei dirigenti e programmatori di quell’azienda
che di lì a poco sarebbe diventata una dei capisaldi del settore: la Apple.
Gli sforzi e le linee di direzione della ricerca dei programmisti della
Apple erano volti a eliminare il più possibile barriere di tipo tecnologico
tra le loro macchine e l’utente finale. Per fare questo la creatività degli
esperti della Apple si mosse secondo quest’impostazione: il computer
sarà uno strumento di lavoro e sarà presumibilmente utilizzato da
individui scarsamente dotati di competenze informatiche che dovranno
interfacciarsi con esso in modo quasi naturale
12
e senza quindi specifiche
conoscenze. Forti delle teorie sul SDMS
13
, dunque, crearono una
trasposizione virtuale della propria scrivania (desktop) sul monitor del
computer, sul quale erano inseriti gli oggetti (“icons”) che avrebbero
permesso agli individui di accedere direttamente ai programmi ed ai
contenuti della macchina senza dover essere necessariamente in possesso
di conoscenze pregresse in campo informatico. La Apple così forniva un
primo tentativo di eliminazione di “rumore” dal canale comunicazione tra
l’Uomo e la Macchina. Essa offriva a “chiunque” di aprire una finestra
(da tempo chiusa) sul mondo delle macchine informatiche: ne forniva la
maniglia.
La casa di produzione software Microsoft, destinata a diventare
leader indiscussa nel mercato di applicativi informatici, si affrettò a
cambiare le proprie interfacce utente sul modello sperimentato già dalla
lungimirante Apple. Nel 1988 infatti costituì il “primo gabinetto di
12
Horton 1994.
13
Vedi Capitolo 1.4 sulle Interfacce Grafiche.
Usabilità” dei propri prodotti, in leggero ritardo rispetto alla concorrente.
Da allora sia le interfacce che i singoli prodotti informatici non sono
cambiati di molto dal punto di vista dell’interazione umana con il mezzo
informatico, al contrario di quanto le aziende ci vogliano far credere
attraverso i canali di comunicazione pubblicitaria. Gli Utenti dei software
per personal computer hanno solo migliorato di poco la loro interazione
con la macchina. Gli studi di usabilità in questo senso si affievolirono.
Una nuova linfa vitale però era pronta di lì a poco a rinvigorire gli
studi sull’usabilità dei prodotti informatici. Nel 1993, con l’avvento di
Internet, si dette l’avvio a quel processo di integrazione globale e
reticolare che avrebbe, secondo le promesse, rivoluzionato il modo di
comunicazione per il prossimo futuro grazie ad Internet dunque, ma
soprattutto grazie allo strumento, senza il quale la rete delle reti non si
sarebbe potuta sviluppare: l’Ipertesto. L’Ipertesto prometteva per l’uomo
la liberazione dagli schemi di una informazione preconfezionata e
prestabilita
14
; prometteva la navigabilità all’interno della informazione
con la possibilità di interazione con la stessa. L’Ipertesto però, così
facendo, poneva forti problemi riguardanti la Interazione tra le pagine e
le libere associazioni mentali che il singolo individuo percorreva o
semplicemente si aspettava. Più che mai le intenzioni del progettista si
riflettevano nelle pagine ipertestuali da lui create. Il pericolo era lo stesso,
in definitiva, che si era avuto agli inizi della storia del computer: una
informatica per soli esperti. Ma in questi anni il concetto di usabilità era
già conosciuto e in parte sperimentato, quindi l’avvicinamento dell’uomo
e della macchina era possibile. Internet, e la promessa di futuri guadagni
legati ad esso, incentivò lo studio dell’Usabilità applicata ai siti Web,
ovvero a pagine ipertestuali raccolte e tenute insieme da argomenti o
14
Landow 1993.
destinazioni specifiche e comuni. Accadde così che nacque la Web
Usability. Il primo a esplorare tale ambito fu l’ingegnere americano Jakob
Nielsen, già autore di saggi sulla usabilità dei prodotti informatici alla Sun
Microsystems.
Come ben si può vedere, la storia dell’Usabilità, segue di pari
passo lo sviluppo
15
tecnologico informatico, e lo determina attivando
prodotti tecnologici destinati ad una clientela indifferenziata e non
specializzata. E questa influenza si può affermare a ragion veduta: in
quanto, senza lo studio della usabilità e l’avvio ad interfacce utente più
rivolte verso l’uomo che la macchina, non si sarebbe comunicato molto
programmando secondo i dettami e le esigenze della macchina stessa,
piuttosto che rivolgersi all’utilizzatore finale.
15
C’è chi parla di progresso, ma ci atteniamo a questo termine neutro.
1.3 Gli standard ISO
Nel paragrafo 1.2 è stato detto che gli operatori del settore
lamentano una carenza nella definizione di principi-guida alla
progettazione usabile del software. In realtà dei concetti base sono stati
esplicitati dall’Organizzazione Internazionale per la Standardizzazione
dei processi produttivi di beni e servizi (ISO) nella definizione degli
attributi di qualità del software in due standards. Nonostante lo sforzo di
indicazione di attributi, tali principi sono scarsamente illustarti e perciò
difficilmente complicati da applicare ad applicativi software piuttosto che
a sistemi multimediali per la trasmissione della conoscenza ( come Cd-
Rom interattivi e pagine web).
Lo standard ISO 9126 («Information Technology –Software
Product Evaluation- Quality Characteristics and Guidelines for their
Use») del 1991 definisce sei caratteristiche che descrivono, con
sovrapposizioni minime, la qualità del software. Le caratteristiche
enumerate sono: funzionalità, affidabilità, usabilità, efficienza,
manutenibilità, portabilità. La caratteristica di usabilità, come si nota,
appare al terzo posto. La definizione di usabilità secondo lo standard è
“un insieme di attributi che si fondano sullo sforzo necessario
per l’uso, e sulla valutazione individuale di tale uso, da parte di uno
espresso o implicito insieme di utenti.”
16
Come si nota questa definizione di usabilità non è
particolarmente perspicua
17
, anche se lo standard definisce poi per questa
16
“A set of attributes that bear on the effort needed for use, and on the individual
assessment of such use, by a stated or implied set of users” in ISO 9126 [Trad. Polillo].
17
Polillo 2002.
caratteristica altre tre sotto-caratteristiche anch’esse espresse con
locuzioni piuttosto criptiche, e di dubbia sintassi
18
:
™ Comprensibilità. Attributi del software che si fondano
sullo sforzo necessario, da parte dell’utente, di riconoscere
il concetto logico e la sua applicabilità.
™ Apprendibilità. Attributi del software che si fondano
sullo sforzo, da parte dell’utente, di imparare la sua
applicazione (ad esempio, controllo delle operazioni,
input, output).
™ Operabilità. Attributi del software che si fondano sullo
sforzo, da parte dell’utente, di operare e per controllare le
operazioni.
19
Lo standard ISO 9241 («Ergonomic Requirements for Office
Work with Visual Display Terminal») definisce l’usabilità come:
“La efficacia, efficienza e soddisfazione con cui specificati utenti
raggiungono specificati obiettivi in particolari ambienti”
20
.
La definizione di usabilità fornita da questo secondo standard
sembra di gran lunga preferibile alla prima perché non solo più chiara ed
esaustiva, ma tende a definire più variabili:
18
Ibidem.
19
ISO 9126.
20
“ The effectiveness, efficiency and satisfaction with wich specified users achieve
specified goals in particular environments” in ISO 9241 [Trad. Polillo].
1. Caratteristiche dell’interazione (efficacia, efficienza e
soddisfazione);
2. Specificazioni di utenti particolari;
3. Contesto d’utilizzo.
I tre assi cui fa riferimento lo standard 9241 sono appunto quelli
cui faremo riferimento nel corso della nostra ricerca per la
determinazione di una interazione di successo.
Inoltre lo standard elicita le definizioni di:
• Efficacia. La accuratezza e completezza con cui
specificati utenti possono raggiungere specificati obiettivi
in particolari ambienti.
• Efficienza. Le risorse spese in relazione all’accuratezza
e alla completezza degli obiettivi raggiunti.
• Soddisfazione. Il confort e l’accettabilità del sistema di
lavoro per i suoi utenti e per altre persone influenzate dal
suo uso.
21
21
ISO 9241.