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INTRODUZIONE
Dalla sua nascita a oggi, Internet è entrato a far parte della vita di
milioni di persone, diventando un fenomeno sociale, economico e
conoscitivo, oltre che tecnico; si può affermare che “Internet, cioè il
digitale, non è tecnica, ma una cultura, la cultura del nostro tempo”
1
.
Il tifone digitale ha investito praticamente tutti i campi dell’attività
umana ed ha senza dubbio rivoluzionato il mondo dell’informazione.
Stefano Rodotà sostiene che “si ha vita democratica solo in presenza di
un diffuso e permanente pluralismo informativo”
2
. Il World Wide Web è
il più grande mezzo che sia mai stato creato per la diffusione e la
condivisione delle informazioni. Al conflitto di interessi, alla
concentrazione editoriale, ai filtri del mainstream, che caratterizzano
l’informazione tradizionale, il web si oppone come medium libero e
indipendente. Il suo carattere delocalizzato e tendenzialmente “acefalo”,
l’assenza di barriere all’accesso, lo configurano come uno spazio in cui
la libertà di informazione, intesa nella sua prospettazione triadica come
diritto di informare, diritto ad informarsi e diritto ad essere informati, e il
pluralismo informativo, come espressione del maggior numero possibile
di opinioni, tendenze politiche, ideologiche e culturali presenti nella
società e possibilità concreta di scelta, per tutti i cittadini, tra una
1
Russo M., Zambardino V., Eretici digitali. La rete è in pericolo, il
giornalismo pure. Come salvarsi con un tradimento e 10 tesi, Apogeo,
Milano, 2009, p. 46
2
Rodotà S., Tecnopolitica. La democrazia e le nuove tecnologie della
comunicazione, Laterza, 2004, p. XXIII
6
molteplicità di fonti informative, trovano potenzialmente un enorme
ampliamento.
Il Web 2.0, poi, sebbene sia stato spesso definito come una semplice
buzzword, ossia un’espressione alla moda, e siano state messe in dubbio
da più parti le sue reali innovazioni tecniche, ha visto nascere un nuovo
paradigma. La sua intrinseca natura partecipativa, il proliferare degli user
generated contents, la “teoria della coda lunga” di Chris Anderson,
potenzialmente applicabile anche ai contenuti online, hanno alimentato
una serie di promesse attorno alla rete e al suo potere di cambiamento
relative soprattutto al grande processo di espansione del pluralismo, con
un’apertura del ventaglio di idee e informazioni che l’umanità non ha
mai conosciuto prima d’ora, e alla maggiore partecipazione democratica
al processo di costruzione dell’informazione, che permette una crescente
gestione della funzione mediatica da parte della società intera, uno dei
fenomeni più importanti del periodo contemporaneo.
La mia tesi scaturisce fondamentalmente da due domande: quali sono i
concreti contributi che il Web 2.0 offre alla libertà di informazione e al
pluralismo informativo? Le aspettative che la rete ha generato sono
effettivamente realizzate?
Nel primo capitolo, dopo aver sottolineato l’importanza dell’articolo
21 della Costituzione italiana, quale principio cardine di una società
democratica e diritto inviolabile di ogni individuo, mi soffermo sulle
dirompenti trasformazioni in atto: le difficoltà che i poteri politico ed
economico trovano nell’addomesticarlo, rendono Internet il medium più
libero e pluralista che sia mai esistito, dalle enormi potenzialità riguardo
alla circolazione delle informazioni. La mia attenzione si concentra in
particolare sul Web 2.0, sulla cui reale o presunta rivoluzione si
innestano le teorie ottimistiche dei nuovi guru della rete.
Ho dedicato poi il secondo capitolo all’impatto effettivo del Web 2.0
sul panorama dell’informazione. I ruoli di produttori e consumatori
7
dell’informazione sfumano, fino a confondersi del tutto e la rete si
configura come fucina di alternative all’informazione tradizionale. Mi
sono, dunque, concentrata su alcune categorie dell’informazione online
per cogliere le opportunità che la rete offre. Le difficoltà nel creare una
catalogazione soddisfacente derivano dalla forte componente
dell’ibridazione che caratterizza il cangiante mondo dell’informazione
online, oltre che dalla constatazione che, come afferma Antonio Sofi,
“gli anni di Internet sono come quelli dei cani”, la velocità delle
trasformazioni continuamente in atto mantiene la rete in un perenne work
in progress. Sfruttando alcuni esempi emblematici, ho osservato le
novità introdotte nelle versioni online delle testate tradizionali, lo spazio
che la rete offre ai progetti di giornali che nascono direttamente ed
esclusivamente online, per poi passare all’informazione cosiddetta “dal
basso”, che dà vita a quello che Sofi definisce un “campo giornalistico
allargato”
3
. Il fenomeno dei blog e quello del citizen journalism
consentono a chiunque di partecipare al processo di costruzione
dell’informazione, ricreando in rete una sorta di agorà ateniese in cui si
realizza la sua antica promessa: offrire una piattaforma impareggiabile
per consentire, come mai era avvenuto in passato, una possibilità di
espressione reale a tutti.
Il terzo ed ultimo capitolo tenta di dare una risposta alla seconda
domanda da cui è scaturito questo lavoro. Se si prendono in
considerazione una serie di elementi, le enormi potenzialità che la rete
offre in termini di pluralismo dell’informazione rischiano di essere vere
solo in teoria. Metto in luce, dunque, la necessità di rinunciare a parlare
della rete ricorrendo a miti e di assumere al contrario un’attitudine più
critica. Google, per esempio, si pone come filtro potentissimo tra il web e
gli utenti, mostrando loro cosa è interessante e cosa no, seguendo regole
3
http://www.webgol.it/campogiornalistico
8
perlopiù imperscrutabili e rischiando, in questo modo, di compromettere
la biodiversità informativa della rete. Il web, poi, non è invulnerabile a
qualsiasi tentativo di controllo, come il caso della Cina ha recentemente
dimostrato. Così come va sottolineata l’importanza di evitare, quando si
legifera sulla rete, che le ragioni della sicurezza online mettano in
qualche modo in discussione la libertà di espressione e di informazione.
Il problema del digital divide, infine, nonostante sembri calamitare
sempre meno attenzione, riguarda ancora circa metà del nostro Paese. Al
digital divide “classico” si aggiungono nuove forme di disuguaglianza,
che vanno oltre la forbice tra information have e information have nots e
che riguardano piuttosto le differenze tra usi avanzati e usi arretrati delle
nuove tecnologie. Proprio dall’importanza che riveste, a mio avviso, la
capacità di sfruttare appieno le opportunità che la rete offre e
dall’interesse di osservare il ruolo che gli individui attribuiscono al web
nel soddisfare l’esigenza di cercare, ricevere e diffondere informazioni,
nasce la mia ricerca empirica che verrà esposta nell’ultima parte del
capitolo.
9
Capitolo 1
WEB 2.0: “LA LIBERTÀ È PARTECIPAZIONE”
1.1 La centralità dell’articolo 21
Il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero trova il suo
primo e compiuto riconoscimento già nello Stato liberale. Con
l’evoluzione della forma di stato in senso democratico si assiste
inevitabilmente ad un processo di espansione e di rielaborazione della
libertà di espressione, in modo da coniugarla con i nuovi fini che
l’ordinamento si pone. Intesa come linfa vitale della democrazia, la
libertà di espressione viene ricompresa tra i diritti soggettivi inviolabili,
tutelati anche a livello sovrannazionale e inseriti tra i principi supremi
non rivedibili nel loro contenuto essenziale nemmeno attraverso il
procedimento di revisione costituzionale
1
. Può considerarsi acquisita la
consapevolezza che il grado di democraticità di un sistema si misura
anche, e forse soprattutto, in base alla quantità e alla qualità delle
1
Cfr. G.E. Vigevani, “Introduzione: informazione e democrazia”, in M. Cuniberti - E.
Lamarque - B. Tonoletti - G.E. Vigevani - M. P. Viviani Schlein, Percorsi di diritto
dell’informazione, Giappichelli, Torino, 2003, p. 3
Internet è nata così, aperta,
democratica, partecipativa. E lo è oggi
ancora più di prima, nonostante i
continui tentativi di imbrigliarla.
Internet non è come il telegrafo o il
frigorifero, come dice chi non ha capito
nulla. Internet è una cosa che non c’è
mai stata prima. La prima arma di
costruzione di massa.
Riccardo Luna
10
informazioni che circolano al suo interno e all’ampiezza della platea di
soggetti che ad esse possono accedere; lo confermano peraltro
affermazioni che esaltano la libertà di espressione quale “pietra angolare
dell’ordine democratico” (Corte cost. n. 84 del 1969), “fondamento della
democrazia” (Corte cost. n. 172 del 1972), “il più alto, forse dei diritti
fondamentali” (Corte cost. n. 138 del 1985)
2
.
L’articolo 21 della Costituzione italiana, riconoscendo con il primo
comma a tutti il “diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero
con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”, è uno degli
articoli che più conferisce alla nostra Carta costituzionale l’imprinting
liberaldemocratico, caratterizzando, in modo opposto a quello dello stato
dittatoriale, l’ordinamento giuridico e il rapporto tra Stato e cittadini. Un
diritto, dunque, caratterizzato da una duplice natura: libertà inviolabile
dell’individuo e valore fondamentale di ogni ordinamento democratico,
che inevitabilmente si riflette nella garanzia del pluralismo ideologico e
della concreta possibilità di far conoscere le diverse opinioni politiche,
economiche e culturali, e che si proietta altresì sull’estensione del diritto
di cronaca, di critica e di satira nei confronti di ogni potere, sul grado di
tolleranza nei confronti dei messaggi dissenzienti, anticonformisti e
provocatori e sull’effettiva possibilità dei mezzi di informazione di
esercitare il loro indispensabile ruolo di “cane da guardia”
3
.
La consapevolezza dell’enorme rilevanza di tale diritto, rende perciò
tanto più inquietante osservare come la libertà di stampa pare si stia
riducendo in tutto il mondo e che l’Italia non sia esente da questo
processo di degrado. Reporters Sans Frontières, organizzazione
internazionale che ha come obiettivo la difesa della libertà di stampa e di
espressione, elabora ogni anno una classifica sulla base di questionari
completati da centinaia di giornalisti ed esperti del mondo intero.
2
Cfr. G.E. Vigevani, op. cit., p. 7
3
Id., op. cit., p. 1
11
L’ottavo rapporto mondiale, che considera il periodo compreso tra il 1
settembre 2008 e il 31 agosto 2009, vede l’Italia perdere cinque posizioni
rispetto all’anno precedente, situandosi al 49mo posto, con il punteggio
peggiore tra i sei fondatori dell’UE
4
. Le ragioni di questo regresso, si
legge sul rapporto, vanno rintracciate nel conflitto di interessi del capo
del governo e le sue pressioni sui media, nelle violenze della mafia nei
confronti dei giornalisti, oltre che in un disegno di legge che limita
drasticamente la possibilità per i media di pubblicare i testi delle
intercettazioni telefoniche. “È inquietante vedere come democrazie
europee, come Italia, Francia e Slovacchia, perdano posizioni in
classifica anno dopo anno”, ha commentato il segretario generale
dell’organizzazione Jean-Francois Julliard.
Mettendo da parte il gravissimo fenomeno delle intimidazioni subite
dai giornalisti da parte della criminalità organizzata, ciò che si evidenzia
è un problema nella gestione dei media, con tutto ciò che questo
comporta in termini di pluralismo e libertà di informazione. Gennaro
Carotenuto
5
attribuisce la responsabilità ad una anomala collusione dei
mezzi di comunicazione con i poteri politico ed economico e a forti
concentrazioni monopolistiche, fenomeni che causerebbero la perdita
della terzietà del sistema dell’informazione e della sua funzione di
controllo nei confronti del potere. Gianluca Gardini sostiene che
l’anomalia italiana in materia di informazione non è solo rappresentata
dall’inusuale concentrazione di mezzi di comunicazione di massa nelle
mani di poche imprese operanti nel mercato nazionale. L’assetto
duopolistico, che caratterizza il settore radiotelevisivo sin dai primi anni
ottanta del secolo scorso, costituisce un aspetto indubbiamente critico dal
quale dipendono molte delle disfunzioni del mercato dell’informazione,
4
La classifica su http://www.rsf.org/en-classement1003-2009.html
5
Carotenuto G., Giornalismo partecipativo. Storia critica dell’informazione al tempo
di Internet, Nuovi Mondi, Modena, 2009
12
ma si tratta più che altro di effetti di un problema che si colloca a monte.
Le vere cause, secondo Gardini, non andrebbero dunque cercate nelle
differenze quantitative dell’assetto strutturale dei mercati
dell’informazione, ma più in profondità, alla radice del fenomeno, in
particolare sul piano politico-culturale. In primo luogo l’anomalia si
avverte sul versante istituzionale, dove un diffuso sentimento di
disinteresse ha portato alla sostanziale evasione dei compiti di
regolazione da parte del Parlamento, nonché all’assenza di reale
vigilanza sul mercato delle comunicazioni da parte degli organi
competenti. Un’inerzia alla quale ha fatto da contraltare, negli ultimi
quarant’anni, l’attività propulsiva, ma isolata svolta dalla Corte
Costituzionale. In secondo luogo, sempre sul versante istituzionale,
un’evidente anomalia si ritrova nel raffronto con le regole comunitarie,
rispetto alle quali il nostro ordinamento si caratterizza per la tendenza
all’evasione e all’infrazione. In terzo luogo, sul piano socio-culturale, la
scarsa sensibilità nei confronti dei diritti di libertà da parte dei cittadini
italiani
6
. Una disattenzione generale, istituzionale e prima ancora
culturale, insomma, che trova una sponda nella formulazione laconica e
retrospettiva che la nostra Costituzione utilizza per la salvaguardia del
diritto di manifestazione del pensiero, soprattutto se valutata a fianco di
molte Costituzioni della seconda metà del Novecento e della stessa
Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, nella quale si legge
all’articolo 19 che “ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di
espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria
opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni ed idee
attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere”. Una sensibilità che
traspare in misura inferiore nella Costituzione italiana, che affronta con
6
Cfr. Gardini G, Le regole dell’informazione: principi giuridici, strumenti, casi,
Bruno Mondatori, Milano, 2009, pp. XVI sgg.
13
timidezza, se non addirittura con “miopia istituzionale”, le problematiche
dell’informazione.
L’articolo 21 sembra porre l’attenzione solo sulla libertà di espressione
in senso attivo, posizionandola su un asse leggermente più spostato nella
direzione dei professionisti dell’informazione che della generalità dei
cittadini. In realtà una serie di elementi di contesto, tra cui
l’interpretazione sistematica e organica della Carta costituzionale nella
sua interezza, le decisioni assunte nel corso del tempo dalla Corte
costituzionale, i riferimenti contenuti in trattati internazionali, fanno
chiaramente intendere che “libertà di informazione” è un concetto più
correttamente declinato al plurale che non al singolare, considerando le
varie posizioni che un individuo può assumere rispetto a questo diritto
fondamentale: una libertà in senso attivo, ossia il diritto di informare,
come situazione nella quale il titolare esercita il proprio diritto di
diffondere e comunicare ad altri le informazioni di cui è a conoscenza;
una libertà in senso passivo, il diritto ad essere informati, situazione nella
quale il titolare esercita il proprio diritto di ricevere ed essere destinatario
di informazioni; infine una libertà in senso riflessivo, il diritto ad
informarsi, per cui il titolare è legittimato a informarsi, andare alla
ricerca di notizie concernenti fatti, stati e situazioni rispetto alle quali
intende esercitare il proprio diritto all’indagine e alla conoscenza
7
.
Uno sguardo all’importanza dell’articolo 21, e dei suoi tre profili, è
indispensabile per cogliere appieno il senso delle dirompenti
trasformazioni attuali nel campo degli strumenti deputati alla diffusione
delle informazioni, da cui scaturiscono cambiamenti sia nelle tecniche
che nella concezione stessa della comunicazione, che l’umanità non
aveva mai conosciuto in tutta la sua storia. Il primo comma dell’art.21 fu
scritto dai costituenti proprio con il chiaro intento di non delimitare in
7
Cfr. Razzante R., Manuale di diritto dell’informazione e della comunicazione,
CEDAM, 2005, pp. 45 sgg.
14
modo netto e immodificabile l’individuazione dei mezzi idonei ad un
corretto esercizio della libertà di manifestazione del pensiero. E oggi che
il cumulo degli strumenti informativi a nostra disposizione è
impressionante, nella categoria residuale, “ogni altro mezzo di
diffusione”, si può senza dubbio ricomprendere anche Internet, per
quanto diverso dai tradizionali strumenti dell’informazione. Ci troviamo
di fronte ad un fenomeno delocalizzato e tendenzialmente “acefalo”, con
contenuti perennemente in evoluzione e, per sua intrinseca natura,
fortemente pluralista, essenzialmente aperto e libero nell’accesso, dalle
enormi potenzialità riguardo alla circolazione delle informazioni
8
.
1.2 Cosa c’è di nuovo nei nuovi media
“Fin dalla loro nascita i mass media hanno svolto, tra le altre, una
funzione importantissima: quella di informare il proprio pubblico circa
ciò che accade nel mondo”
9
.
A partire dagli ultimi decenni del Novecento, ai media tradizionali si
sono affiancati nuovi strumenti di comunicazione, con caratteristiche tali
da indurre a utilizzare diffusamente la locuzione di nuovi media. Le
novità che introducono, infatti, sono tali da segnare l’inizio di una nuova
era, innescando un processo di trasformazione paragonabile a quello che
ha seguito l’invenzione della stampa a caratteri mobili di Gutenberg. In
realtà l’etichetta “nuovi media” ha un carattere aleatorio: i contorni sono
sfumati e non vi è alcuna barriera definitoria invalicabile che separi i
vecchi dai nuovi media. Si legge, nelle definizioni più comuni, che i new
media sono quei mezzi di comunicazione di massa sviluppatisi
posteriormente alla nascita dell’informatica e in correlazione con essa.
8
Cfr. G. Gardini, op. cit., p. 213
9
Paccagnella L., Sociologia della comunicazione, Il Mulino, 2004, p. 125