2
nuovi ci propongano una esperienza mediata della realtà, il consumatore
chieda silenziosamente un contatto diretto con il brand, un’esperienza
ravvicinata attiva e positiva con il prodotto. E’ dunque fondamentale e
consequenziale che alla luce di ciò, anche le imprese trasformino le loro
tattiche e strategie di marketing e adeguino le tecniche e gli strumenti di
comunicazione ai nuovi mercati e ai nuovi scenari che si profilano
all’orizzonte.
Ma come si è arrivati a tutto questo? Quali sono state le tappe che hanno
segnato il passaggio dalla vecchia società alla “società dei consumi”? Quali
quelle che hanno sancito la nascita del ‘nuovo marketing’ e che hanno
stabilito la centralità del cliente, forse in certi casi anche a scapito del
profitto nel breve termine?
Per avere un quadro chiaro della situazione e per meglio comprendere
come si è giunti a questo nuovo tipo di mercato, vale la pena ripercorrere
brevemente i cambiamenti avvenuti nel tempo, sia nel contesto sociale, sia
a livello economico, soprattutto in riferimento alla gestione del rapporto
azienda/mercato/cliente.
I. 2 La società postmoderna
“Un nuovo archetipo umano ha fatto la sua apparizione. L’uomo nuovo del ventunesimo
secolo è profondamente diverso da coloro che l’hanno preceduto, nonni e genitori
borghesi dell’era industriale: si trova a suo agio trascorrendo parte della sua esistenza
nei mondi virtuali del cyberspazio, ha familiarità con i meccanismi dell’economia delle
reti, è meno interessato ad accumulare cose di quanto lo sia a vivere esperienze
divertenti ed eccitanti, cambia maschera con rapidità per adattarsi a qualsiasi nuova
situazione (reale o simulata).”
Jeremy Rifkin, L’era dell’accesso, 2000 (pag.249)
3
Con queste parole Jeremy Rifkin dà inizio alla descrizione dell’era
postmoderna, l’era in cui vive quella che Lifton
1
definisce “generazione
proteiforme”, una generazione di uomini e donne abituati all’accesso
rapido alle informazioni, con una soglia d’attenzione molto labile e una vita
segnata da un grado di mobilità e di precarietà sempre più elevato.
Ma cosa rappresenta davvero il postmodernismo? Quali sono i
cambiamenti che ha portato nella società rispetto al passato?
Il termine “postmodernismo” si riferisce generalmente a quella tendenza
artistica nata negli anni Settanta del XX secolo che rifiutava le tesi di fondo
del progetto appartenuto alla modernità. Il termine fu quindi esteso
all'ambito filosofico dal filosofo francese Jean‐François Lyotard che nel
1979 pubblicò La condizione postmoderna, in cui sosteneva l'esaurimento
delle possibilità dell'epoca moderna. Il postmodernismo si definisce tale
non in senso cronologico, ma in senso tematico e stilistico; si contrappone
alla modernità, intesa come volontà di costruire sistemi, teorie,
interpretazioni totalizzanti; modernità come sistema che crede nella
razionalità, nel valore positivo della scienza e dell'intervento tecnologico,
nel senso progressivo dello sviluppo storico e del pensiero. Il
postmodernismo, al contrario, enfatizza la parte ambigua e contraddittoria
della razionalità, si pone criticamente nei confronti della scienza e della
tecnica e propone una concezione del sapere priva di quei fondamenti che
erano stati alla base del progetto dell'epoca moderna.
Dalla visione “moderna”, che mira alla descrizione di una realtà che,
sebbene complessa e multiforme, è in grado di cogliere differenze e
singolarità solo ad un livello macroscopico, si passa alla visione
“postmoderna”, che sposta invece l’accento sulle singolarità, sulle
1
Lifton, R. J., The protean self: human resilience in an age of fragmentation, New
York, Basic Books (1993).
4
differenze, nonché sulla coesistenza e collisione di realtà radicalmente
diverse e multiformi.
Il postmodernismo rifiuta qualsiasi riferimento ad una realtà sottostante e
unificatrice, ritenendo fondamentale solo l'attenzione per ciò che registra
ed evidenzia il senso di frammentazione, di caos e di discontinuità.
Tale condizione trova il suo punto di inizio ma anche la sua espressione più
compiuta nel carattere “nevrotico” della metropoli, che sancisce l’origine
della società moderna (Codeluppi, 2000).
In seguito alla Seconda Rivoluzione Industriale, avvenuta nella seconda
metà dell’Ottocento, si registra un nuovo assetto organizzativo delle città:
l’aumento della mobilità geografica e sociale delle persone comporta un
rigonfiamento a dismisura delle grandi città, che assumono quindi le
sembianze di enormi agglomerati urbani, spaventosi e malsani, dove il
mondo esterno diviene sempre più un mondo di “estranei”, un contesto
freddo, in cui le caratteristiche fondamentali sono l’ anonimità e
l’impersonalità dei rapporti sociali. È con l’avvento della società di massa,
che l’individuo sperimenta il contatto con la “folla”. Con il passaggio dalla
Gemeinschaft (comunità) alla Gesellschaft (società)
2
, cambiano i modelli di
comportamento dei soggetti, non più legati ai ritmi umani e naturali
dell’esistenza comunitaria, scanditi dal passare delle stagioni e dal lavoro
nei campi, ma correlati ai ritmi accelerati della società, dei nuovi mass
media e del consumismo, che nella metropoli può finalmente esprimere la
sua intensità comunicativa, attraverso le vetrine e i manifesti pubblicitari.
Calcolo, precisione e puntualità si impongono come regole di vita
dell’uomo moderno, alterando profondamente i ritmi dell’esistenza, che
perdono qualsiasi connessione con quelli naturali.
Si ha dunque un progressivo svuotamento e una perdita di significato e di
valore dei tradizionali ambiti istituzionali, quali la famiglia, la comunità e la
2
P. Cavallo, La storia attraverso i media, Liguori Editore, Napoli, 2002 (pag. 28).
5
chiesa, che precedentemente fornivano un senso di identità, un significato
etico, un sentimento di appartenenza all’individuo (Leonini, 1988). E tale
processo continua e trova il suo culmine all’interno della società
postmoderna di cui si impone come protagonista indiscusso l’ homo
communicans.
Ad un individuo ripiegato su se stesso, impegnato alla sua realizzazione nel
lavoro, alla costituzione di una famiglia e all’appartenenza ad una
comunità, se ne sostituisce un altro proiettato verso l’esterno e più
cosciente della realtà “globale” in cui vive.
Philippe Bréton delinea le caratteristiche dell’uomo contemporaneo,
definendolo un essere senza interiorità, strutturato da un insieme di
relazioni senza alcun perno centrale, un’identità vuota, costituita soltanto
dalle informazioni che riceve dall’esterno. L’homo communicans, proprio
come una cipolla, sarebbe costituito da un insieme di esteriorità
sovrapposte senza alcun nucleo interiore; egli è in primo luogo “un essere
che comunica. Il suo interno è totalmente all’esterno. I messaggi che riceve
provengono dal suo ambiente” (Pecchinenda, 2003).
Anche Goffman riprende il concetto sopra delineato, smussandolo nei suoi
contenuti più radicali. L’individuo in questo caso è considerato come un
essere avente un nucleo centrale, che però rispetto alla sua “parte
periferica”, costituita dai ruoli sociali che ricopre di volta in volta, ha
un’importanza minore. La sua identità, in altre parole, sarebbe definita
attraverso le circostanze sociali riscontrate di volta in volta. L’identità
dell’individuo postmoderno può essere in tal senso considerata come una
“gruccia” sulla quale appendere di volta in volta gli abiti prescelti, quelli
ritenuti più adeguati alla circostanza sociale (Pecchinenda,2003). In tal
senso si mostra, per dirla con Bauman, una sorta di identità “nomade”, che
può assumere una veste diversa a seconda delle occasioni, pur
6
mantenendo intatto il suo nucleo centrale, che permane sedimentato nel
tempo.
L’identità dell’individuo postmoderno trova dunque la sua espressione
nelle pratiche sociali e negli oggetti che caratterizzano tali esperienze. E
l’esperienza che maggiormente caratterizza la società postmoderna è
senz’altro quella del consumo.
Risultato inevitabile della crescita della produzione di beni, accompagnata
dall’aumento per le persone del tempo libero dal lavoro a disposizione,
tale meccanismo ha prodotto nella società postmoderna una vera e
propria “logica del consumo”: un sistema dotato di regole e statuti ben
precisi cui l’individuo postmoderno, essendo un prodotto della società e
dunque delle norme che la regolano, deve inevitabilmente sottostare. Ed è
questa dipendenza che “obbliga” l’individuo a realizzare la propria identità
legandola ai consumi e agli oggetti di consumo.
“La nostra è una società dei consumi. Tutti hanno sempre consumato, da tempo
immemorabile. La nostra società dei consumi lo è nello stesso senso profondo e
fondamentale in cui la società dei nostri predecessori, la società moderna nella sua fase
di fondazione, industriale, era « una società della produzione, dei produttori ». Quel tipo
vecchio di società moderna occupava i suoi membri principalmente come produttori e
soldati; e allo svolgimento di quel compito forgiava i suoi membri, come un dovere che
sottoponeva e imponeva loro come «norma». Ma nel suo attuale stadio postmoderno,
la società ha scarso bisogno di una massa di manodopera industriale e di eserciti di leva;
ha invece bisogno di impegnare i suoi membri nel ruolo di consumatori. La società
attuale forma i suoi membri al fine primario che essi svolgano il ruolo di consumatori. Ai
propri membri la nostra società impone una norma: saper e voler consumare.”
Zygmunt Bauman, Dentro la globalizzazione, 2001 (pag. 89 ‐ 90)
7
I. 3 Le fasi storiche del marketing
L’evoluzione del mercato, e di conseguenza, delle modalità con cui le
imprese vi si presentano offrendo prodotti e servizi, ha portato nel tempo
non solo alla nascita del marketing, ma anche ad un rapido sviluppo e ad
un progressivo allargamento delle attività che lo caratterizzano.
La definizione di marketing, data dall’American Marketing Association, ben
risponde alla progressiva estensione dei campi di applicazione di questa
particolare disciplina, in quanto individua il marketing come quel “processo
necessario per pianificare e realizzare lo sviluppo, la promozione e la
distribuzione di idee, beni e servizi, per creare uno scambio che soddisfi le
aspirazioni degli individui e delle organizzazioni”.
Un’organizzazione dovrebbe cercare di realizzare profitto soddisfacendo i
bisogni di gruppi di clienti; questa, in parole povere, è l’idea base del
marketing, la sua filosofia.
Non si può dire che il marketing abbia sempre riscosso l’attenzione che
oggi gli viene riconosciuta. Come gran parte delle discipline scientifiche,
anche il marketing è continuamente soggetto a un contrasto tra
persistenza e mutamento; la persistenza è legata al suo obiettivo di base,
ovvero alla soddisfazione delle esigenze del cliente; il mutamento deriva,
invece, dalla globalizzazione e dalle nuove tecnologie informatiche che
rendono rapidamente obsolete le informazioni di cui l’azienda dispone.
Tale disciplina vede la luce nei primi anni del Novecento. Dopo una prima
fase, caratterizzata dall’unico obiettivo di ottimizzare i processi produttivi
per ottenere maggiori volumi di produzione a costi ridotti, si passa ad una
seconda fase in cui l’accento si sposta sulla domanda. Si prendono cioè in
considerazione coloro che acquisteranno il prodotto, i consumatori
appunto, andando ad analizzare i comportamenti di acquisto e le pratiche
di consumo.
8
Si deve comunque tener presente che non si tratta di un vero e proprio
processo evolutivo, caratterizzato da tappe diverse che si succedono in
ordine cronologico, in quanto i diversi tipi di approccio, che saranno di
seguito illustrati, possono ancora esistere in alcune aziende, in quanto
dipendenti sia da caratteristiche aziendali interne (dimensioni
dell’impresa, livello di innovazione, ecc.), sia da caratteristiche del mercato
(concorrenza, visibilità del cliente, ecc.).
I tipi di orientamento della funzione commerciale che possono essere
individuati sono principalmente quattro
3
:
• orientamento al prodotto;
• orientamento alla vendita;
• orientamento al mercato;
• orientamento al marketing;
Orientamento al prodotto (1930 ‐ 1940): si sviluppa subito dopo la
Rivoluzione Industriale. La focalizzazione è rivolta prevalentemente alla
progettazione e alla produzione, in quanto il mercato è caratterizzato da
una domanda eccedente rispetto all’offerta (situazione che garantisce
un’immediata collocazione di tutta la produzione ottenuta).
In questa situazione l’impresa non ha, evidentemente, alcun motivo di
interessarsi al mercato e di capire quali sono le esigenze della clientela, in
quanto le favorevoli condizioni esistenti consentono comunque di vendere
tutto ciò che produce.
Orientamento alla vendita (1940 ‐ 1955): con il passaggio ad una situazione
in cui l’offerta diventa superiore alla domanda, il marketing assume un
ruolo decisamente più importante. Le imprese devono cominciare a
3
Miolo, P., Corso di economia aziendale, Giappichelli, Torino (2000).
9
migliorare le proprie strutture di vendita, con il particolare obiettivo di
indurre i potenziali acquirenti a scegliere il proprio prodotto piuttosto che
quello delle imprese concorrenti. La domanda non è ancora molto
complessa, ma alle aziende è comunque richiesto uno sforzo dal lato delle
attività promozionali, visto che il potenziale cliente risulta più influenzato
da diminuzioni di prezzo e attività pubblicitaria piuttosto che dalle reali
differenziazioni tecniche del prodotto, che in fondo rimane poco
differenziato. È la capacità di pressione del produttore sul consumatore
che ne determina il successo rispetto alla concorrenza, che diventa a poco
a poco sempre più aspra, tanto da rendere fondamentali concetti quali
notorietà e pubblicità, che permettono la sopravvivenza sul mercato.
Orientamento al mercato (1955 ‐ 1980): il periodo che va dalla seconda
metà degli anni Cinquanta al 1980 è caratterizzato dall’orientamento al
mercato, da considerarsi vero e proprio precursore dell’attività di
marketing. Ora il mercato si presenta evoluto, formato da consumatori più
informati, esigenti e con maggiori disponibilità di reddito. In questa
situazione è dunque il consumatore a guidare le scelte produttive e l’unico
strumento per assecondarlo sta nella ricerca di un’adeguata gestione della
funzione di produzione, che consente di differenziare i vari prodotti in base
alle quantità e qualità richieste dal mercato. Il sistema produttivo deve
quindi presentarsi flessibile ed elastico, per essere in grado di offrire un
prodotto differenziato, sofisticato ed articolato.
I mercati diventano segmentati (si individuano categorie omogenee di
consumatori), complessi e dinamici, anche perché la lotta concorrenziale è
sempre più severa. La complessità della domanda è indiscussa, ma il ruolo
della funzione commerciale non è per il momento molto sviluppato.
10
Le aziende leader in questo periodo sono quelle che riescono ad
ottimizzare la produzione, a raggiungere l’efficienza con sistemi produttivi
flessibili, ma che allo stesso tempo ricercano la qualità totale del prodotto.
Orientamento al marketing ‐ al consumatore (1980 – fino ad oggi): con
l’orientamento al marketing si giunge finalmente ad una riconciliazione tra
le esigenze interne di razionalizzazione della produzione e quelle
provenienti dai consumatori. In questo caso la considerazione del mercato
non interviene soltanto quando si tratta di gestire le attività legate alla
vendita, quindi in un momento successivo alla produzione, ma ricopre un
ruolo fondamentale da un punto di vista strategico anche nella preliminare
individuazione dei beni da produrre.
In questo nuovo contesto il marketing diventa una funzione di primaria
importanza e le aziende più accorte hanno cercato di adeguarsi a questa
realtà, sviluppando delle azioni coordinate volte a studiare, controllare ed
influenzare il mercato per poter rendere più diretto e stabile il legame con
il cliente e consentire un più sicuro collocamento della produzione.
L’obiettivo è in alcuni casi quello non di soddisfare la domanda, ma crearla.
Rutelli (2004) ripercorre le stesse fasi viste in precedenza, mettendo in
evidenza in questo caso quelli che sono i punti di contatto tra il marketing
e la psicologia, evidenziando una sorta di cammino di avvicinamento tra
impresa e comportamenti di consumo nel corso degli anni.
L’ Autore evidenzia tre fasi nello sviluppo del marketing, succedutesi
cronologicamente ma contaminatesi l’un l’altra:
• I Fase: siamo negli anni Settanta; il marketing svolge in questo
periodo una sorta di “funzione preventiva”. Sono gli anni delle
ricerche sui consumatori e dei sondaggi, ed è attraverso queste
11
analisi che le aziende cercano di predire i comportamenti di
acquisto dei clienti per poter proporzionare ad essi i volumi di
produzione. E’ la fase della “marketing myopia”, sostenuta da
Levitt
4
: le imprese sono cieche riguardo ai desideri dei propri clienti
prestando attenzione soltanto a quelli che sono i profitti che
derivano dalle proprie vendite.
• II Fase: è la fase della ‘scoperta’ del cliente. Le aziende cominciano
ad acquistare coscienza dell’importanza di una relazione con i
propri clienti, e che una fidelizzazione degli stessi è al centro delle
proprie decisioni strategiche. Siamo alla fine degli anni Ottanta; la
logica che guida le decisioni di marketing aziendali non è più una
logica product – oriented ma customer – oriented. Si fa strada la
consapevolezza che per l’azienda l’acquisizione di nuovi clienti è
molto più gravosa del mantenimento di quelli che già si hanno. Ed è
a tal fine che nascono i sistemi di CRM (Customer Relationship
Management), supportati anche dalla nascita delle moderne
piattaforme tecnologiche.
• III Fase: quest’ultimo stadio considerato da Rutelli è la fase in cui si
assiste alla nascita di Internet, del commercio elettronico e con esso
di una nuova tipologia di individuo: il “consumatore commerciante”,
che vede l’abbattimento di ogni distinzione tra chi vende e chi
acquista. Diventa sempre più difficile per le aziende mantenere un
legame con i propri clienti, rientrare nella cosiddetta “short list”,
una graduatoria inconscia delle tre o quattro marche che vengono
considerate come “preferite”, “acquistabili” o “migliori” dal cliente
rispetto ad una determinata categoria di prodotti. In tale “lista” i
nomi ai primi posti sono quelli che per primi verranno in mente al
4
Levitt T. (1975) Marketing Myopia, Harvard Business Review, settembre‐
ottobre.
12
cliente e influenzeranno le sue scelte al momento dell’acquisto,
mentre quelli che non sono presenti nella short list vengono
percepiti come non accettabili, e non verranno presi in
considerazione. Fondamentale in questo senso anche tener conto
del fatto che per i consumatori on line l’alternativa è “just one click
away”.
Queste tre fasi sottolineano come il marketing abbia spostato il suo punto
di riferimento dal concorrente al cliente. Se negli anni Settanta il vantaggio
competitivo delle aziende era caratterizzato dal controllo dei costi e negli
anni Ottanta dalla qualità dei prodotti percepibile dai clienti, dagli anni
Novanta ad oggi il focus della disciplina si è spostato sull’ innovazione,
ossia la differenziazione di funzioni, paradigmi, attività e iniziative di
marketing e di comunicazione.
Per essere più attuali e più vicini ai nuovi consumatori, diventa
fondamentale possedere la capacità di conquistare e fidelizzare i clienti, di
costruire con loro una vera comunità di segni e simboli nei quali
riconoscersi e vicendevolmente interagire.
La loyalty dei clienti si conquista con la soddisfazione degli stessi. Un
cliente soddisfatto genera maggiori volumi di scambio, accetta di pagare
un premium price, costituisce una potente barriera contro la concorrenza,
ma soprattutto produce pubblicità favorevole, in primo luogo attraverso il
passaparola (word of mouth). Si calcola infatti che un cliente insoddisfatto
racconterà la propria esperienza sfavorevole a circa 8 – 10 persone
5
.
5
Si consideri, ad esempio, il caso Intel. L’azienda aveva immesso sul mercato dei
processori difettosi dei quali, una volta accortisi del problema alcuni consumatori
avevano chiesto la sostituzione. Un rifiuto della casa produttrice provocò un
immediato passaparola negativo e una mole smisurata di reclami tale che la Intel
si ritrovò costretta a dover sostituire gratuitamente tutti i pezzi difettosi che
aveva precedentemente fornito. Fonte: Materiale didattico relativo al corso di E‐
marketing, a cura di A. Siano, Edizioni CUSL 2006 (pag.116).
13
Insomma, conservare un cliente fedele costa di meno e rende di più. Ma
cosa fare per conquistare e rendere fedele un cliente? I contributi teorici
più recenti suggeriscono di concentrare le risorse tangibili e intangibili sul
cliente, di mobilitare tutte le energie organizzative verso la creazione di
valore per il cliente. I paradigmi cambiano, dunque: il cliente diventa
realmente il protagonista del mercato e il riferimento diretto delle
politiche aziendali. Le imprese investono più sui clienti che sui prodotti; la
comunicazione diventa sempre più un dialogo anziché un monologo; il
marketing è sempre più basato sullo scambio con qualcuno che si conosce,
piuttosto che sulla intrusione per ottenere l’attenzione di chi non si
conosce.
I. 4 Il consumatore postmoderno e le nuove tendenze del marketing
L’opera di Fabris “Il nuovo consumatore: verso il postmoderno”, ha
costituito un ottimo riferimento per la comprensione dei tratti psicologici e
comportamentali che caratterizzano il consumatore odierno.
Il consumatore ‘postmoderno’ sembra essersi profondamente allontanato
dallo stereotipo dell’homo aeconomicus, tanto caro al marketing e alla
scienza economica, per assumere connotati sempre meno razionali e
sempre più ispirati da motivazioni con forte coloritura emotiva/affettiva:
da soggetto che sceglieva in modo razionale cercando di massimizzare la
propria utilità, ha ceduto il posto ad un soggetto che consuma per gioco,
per divertimento (homo ludens), e spesso, per apparire o per
esternalizzare (homo aesteticus). Il consumatore odierno dà più spazio alle
emozioni, alla sensorialità;
Fabris (2001) lo definisce “sensation seekers”, poiché egli valuta il
consumo non solo con la mente, ma con la pluralità dei sensi. I prodotti e
le marche stanno così sviluppando delle caratteristiche ‘sensoriali’, sia
14
coinvolgendo psicologicamente il consumatore, sia usando le capacità
tecnologiche dei prodotti di stimolare tutti i sensi del corpo umano. Gli
oggetti diventano polisemici, pronti cioè ad essere caricati di significati
diversi da individuo a individuo. La dematerializzazione dei beni e dei
servizi fa sì che i prodotti si trasformino in segni, messaggi, comunicazioni
e che la componente intangibile superi o, persino, finisca per soppiantare
completamente quella tangibile.
Il consumatore del XXI secolo, attraverso il consumo, comunica la propria
identità. Ma in lui, come abbiamo già accennato nel paragrafo precedente,
convivono identità plurime e mutevoli al variare di alcuni parametri come,
ad esempio, la professione o il reddito. Se dapprima la differenziazione
sociale era imperniata sullo status symbol, cioè sull’ostentazione del valore
economico del bene posseduto, ora essa è incentrata sullo style symbol,
cioè sul prodotto come indicatore del proprio gusto, della propria cultura,
del proprio stile. Il trend più importante è quello del ‘consumatore
eclettico’, un consumatore infedele, mutevole nelle sue scelte proprio
perché mutevole è la sua identità.
Il consumatore, diventato esperto e socializzato al consumo, inizia a
rifiutare di sottostare ai diktat della produzione e, diventato ormai
autonomo e competente, intraprende un dialogo con le imprese e con le
merci, in cui egli non è solo ricettore passivo, ma pieno co‐protagonista.
Tale collaborazione richiede continui feedback per creare con l’impresa
una relazione continuativa che si sviluppa nel tempo. Allora, il compito
delle imprese diviene sempre più impegnativo, in quanto bisogna tener
conto di un nuovo protagonista estremamente complesso, esigente e
sempre più sfuggente (tanto che gli stessi concetti di target e di
segmentazione non riescono più ad assolvere alle loro funzioni).
Il crescente benessere rende il consumo sempre meno legato ad esigenze
di sopravvivenza e sempre più orientato a divenire aspetto simbolico,
15
comunicativo ed espressivo. “I bisogni lasciano gradatamente il passo ai
desideri” (Fabris, 2001). Mentre il bisogno deve essere soddisfatto, il
desiderio può non esserlo o esserlo in modo differito nel tempo. Siccome il
mercato ha quasi saturato tutti i bisogni, diventano protagonisti i desideri,
o meglio gli stati d’animo, ancor meno prevedibili e più mutevoli. Lo
shopping è oggi diventata un’intrigante attività di tempo libero, durante la
quale ciò che si consuma è un’esperienza fine a se stessa. Oggi il marketing
necessita, allora, di divenire “esperienziale”, cioè creatore di esperienze
per il consumatore.
Decade anche il concetto di consumo come momento di isolamento, in
quanto esso non è più frutto di scelte individuali ed isolate, ma
espressione di individui collocati in reti di relazioni che condividono lo
stesso interesse per un certo prodotto ma che, contemporaneamente,
possono anche appartenere a più comunità.
La conoscenza del nuovo consumatore diviene allora la capacità primaria
delle imprese, al fine di ottenere un reale vantaggio competitivo.
Un’analisi esplicativa dello scenario attuale, in cui i cambiamenti del
consumo hanno indotto eguali cambiamenti nella produzione, non può
esimersi dal considerare anche i mutamenti che hanno interessato il
mondo delle imprese.
L’attuale società, che è la società dell’ITC (Information and Communication
Technology), ha permesso alle imprese di trasformarsi da strutture rigide,
gerarchiche e centralizzate a strutture flessibili, reticolari e creative, capaci
di comunicare di più (e meglio) tanto con l’esterno quanto al proprio
interno.
L’eccessiva proliferazione della comunicazione, induce i consumatori a
sviluppare forme di resistenza alla stessa; ciò comporta per l’impresa una
maggiore difficoltà a conquistarsi un posto nella mente di un consumatore
ormai annoiato, e perciò refrattario, alle comunicazioni commerciali. Le