4
- Decreto legge 24 febbraio 2003, n. 28, convertito con modificazioni dalla
legge 24 aprile 2003, n. 88, recante “Disposizioni urgenti per contrastare i
fenomeni di violenza in occasione di competizioni sportive”;
- Decreti ministeriali 6 giugno 2005 (cd. Decreti Antiviolenza), recanti
“Disposizioni in materia di titoli di accesso, videosorveglianza e sicurezza negli
impianti sportivi”;
- Decreto legge 17 agosto 2005, n. 162, convertito con modificazioni dalla
legge 17 ottobre 2005, n. 210, recante “Ulteriori misure per contrastare i
fenomeni di violenza in occasione di competizioni sportive”.
I numerosi interventi normativi, anche a livello comunitario
2
, sono indice della
particolare ed aumentata attenzione che il legislatore ha dovuto, per cause
contingenti, necessariamente riservare ai fenomeni di violenza in occasione di
competizioni sportive spesso sotto la pressione di gravi fatti di cronaca
3
.
Il legislatore ha ritenuto opportuno intervenire con la previsione di misure che,
sostanzialmente operando sul piano della prevenzione, intendono offrire validi
ed adeguati strumenti per contrastare il fenomeno della violenza organizzata e
le manifestazioni di carattere teppistico.
Le misure predisposte che, in linea teorica, avrebbero dovuto costituire un
deterrente al proliferarsi del fenomeno in questione, hanno peraltro disatteso
le attese; di qui la necessità di continui e più efficaci interventi su tutti i fronti.
2
In particolare, dopo i tragici fatti dello stadio Heysel di Bruxelles, in occasione del match di
Coppa dei Campioni tra la Juventus e il Liverpool del 29 maggio 1985, il Parlamento Europeo,
con la Risoluzione sulle misure necessarie per combattere il vandalismo e la violenza nello
sport dell’11 luglio 1985, al punto 3, lett. E, aveva stabilito che fosse vietato l’accesso negli
stadi europei a coloro che avessero commesso atti di violenza in occasione di precedenti
partite di calcio.
E nell’art. 3 della conseguente Convenzione di Strasburgo del 19 agosto 1985 sulla violenza e
sulle intemperanze degli spettatori in occasione di manifestazioni sportive è stato previsto il
divieto di accesso alle manifestazioni sportive per coloro che sono o possono risultare
provocatori di disordini o che sono sotto l’influenza dell’alcool o della droga. (NUZZO, Una
nuova normativa con divieti e sanzioni, in Guida al diritto, 1995, n. 11, 17).
3
Rilevano in tal senso i gravi incidenti, culminati nel fatto luttuoso accaduto a Genova in
occasione della partita Genoa-Milan del campionato di calcio 1994-1995, del 29 gennaio 1995
cui fece seguito, nella domenica successiva del 5 febbraio 1995, l’interruzione del campionato
di calcio ed il fermo dell’intero sport nazionale, diretti a denunziare alla pubblica opinione i
rischi scaturenti da fenomeni allarmanti per lo stesso ordine pubblico, ed a sollecitare, nello
stesso tempo, un maggiore impegno delle autorità statali per la regressione di detti fenomeni.
5
In tali occasioni non è mai sfuggito al legislatore, da un lato, il forte impatto
emotivo per quanto oramai avviene con costante frequenza in occasione di
manifestazioni sportive; dall’altro, la trasformazione subita dalla
fenomenologia.
Se, infatti, è indubbio che la violenza sia andata gradualmente aumentando, al
contempo si è constatata una sua progressiva evoluzione
4
.
Da rissa tra i tifosi di diverse fazioni si è infatti passati a condotte ben più
violente e tipiche di reati particolarmente gravi quali: violenza sulle cose,
violenza sulle persone, danneggiamento, danneggiamento aggravato, fino ad
arrivare all’omicidio.
Le esigenze di fondo di queste normative sono state intese a garantire una
prevenzione più ampia possibile, ma pure ad apprestare un’efficace
repressione; è importante notare che al soddisfacimento delle prime, vale a
dire delle esigenze di natura preventiva, il legislatore abbia ritenuto doveroso
giungere attraverso il rafforzamento dello strumento repressivo
5
.
4
Merita attenzione l’intervento del sen. Dalla Chiesa in occasione della 48
a
seduta pubblica del
Senato della Repubblica datata 3 ottobre 2001 “Tale fenomeno esprime un livello di violenza
organizzata che deve essere bandito dalla nostra società ed essere ricondotto alla sua effettiva
natura di aggressione ad alcune regole civili fondamentali, piuttosto che essere accettato come
normale espressione del tifo sportivo.
Per troppo tempo il tifo organizzato è stato tollerato dalle nostre autorità, per responsabilità
sulle quali richiederebbe troppo tempo indagare. Alcuni pongono l’accento sulle responsabilità
della magistratura, altri sulle responsabilità attinenti alla prevenzione. Fatto sta che il nostro
calcio è diventato per tanti aspetti il luogo di incubazione di una violenza sociale pronta a
trasferirsi anche al di fuori degli stadi, secondo modelli già sperimentati pericolosamente anche
in altri Paesi.
L’intervento su questa forma di violenza va esercitato con coerenza e con determinazione,
senza alcuna concessione degli alibi spesso proposti dal tifo organizzato, dalle società sportive
e dalla stampa sportiva. Che si tratti pure di delinquenti che nulla hanno a che fare con il tifo,
che si tratti di mele marce esistenti negli stadi come in qualsiasi altro ambiente sociale, che si
tratti del fatto che gli stadi non fanno che riflettere il grado di maturità o di violenza della
società, questi alibi non fanno altro che legittimare i comportamenti violenti e farceli apparire
come totalmente fisiologici”.
5
Altrettanto rilevante può considerarsi l’intervento del sen. Bobbio in sede di conversione del
decreto legge 336/2001 “Questa non è stata certo l’unica strada scelta da questo disegno
legge, che ha difatti ad oggetto anche un affinamento degli strumenti di natura più
propriamente preventivo-amministrativa. È del tutto evidente, peraltro, che la strada così
scelta non esclude e non può escludere che al miglior controllo del fenomeno in questione e al
suo tendenziale azzeramento (perché questo è l’auspicio di tutti) si pervenga, in un futuro, si
spera prossimo, anche tramite i più sottili strumenti dell’educazione individuale e collettiva e
del controllo sociale.
6
2) La disciplina di base: la L. 13 dicembre 1989 n. 401
Intitolata “Interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestine e
tutela della correttezza nello svolgimento di competizioni agonistiche”, tale
legge dedica gli articoli 6, 7 e 8 alla disciplina dei fenomeni di violenza
sportiva.
L’art. 6 (Divieto di accesso ai luoghi dove si svolgono competizioni agonistiche)
si apre con la previsione dei soggetti passibili di esser sottoposti a restrizioni
della propria libertà (comma 1).
In primo luogo, vengono considerate le persone denunciate o condannate per
aver indebitamente portato fuori dalla propria abitazione o dalle appartenenze
di essa alcuni degli oggetti individuati dall’art. 4, commi 1 e 2, della legge 18
aprile 1975 n. 110, rientranti, a parere di una qualificata dottrina
6
, nell’area
delle “armi improprie”, ossia di quelle che, pur non avendo una specifica
destinazione all’offesa personale, possono tuttavia servire a tale scopo
7
.
(Segue) Ma, in attesa di ciò, la presente legge ben si colloca, come valido ed efficace
strumento di intervento. Essa, con ogni evidenza, presenta ben chiari due aspetti: quello della
parziale giurisdizionalizzazione della misura più propriamente amministrativa, cioè quella del
questore, attraverso lo strumento e il meccanismo del controllo insito nel procedimento della
convalida; e quello relativo all’introduzione, nel nostro ordinamento, di un istituto di arresto
che definirei, credo in maniera finalmente tecnica, né di flagranza né di quasi flagranza, ma di
fuori flagranza, che verosimilmente integra il momento tecnicamente e praticamente più
rilevante ed incisivo della nuova normativa”.
6
In tal senso BRESCIANI, Commento all’art. 1 del d.l. 22 dicembre 1994 n. 717, in Leg. Pen.
1995, 213; MOLINARI, La nuova formulazione delle atipiche misure di prevenzione personali in
tema di fenomeni di violenza in occasione di competizioni agonistiche, in Cass. Pen., 1995,
2751, pur ammettendo che il comma 1 dell’art. 4 della legge n. 110 del 1975 si riferisce anche
alle armi proprie, tuttavia esclude che tale disposizione si estenda al porto delle armi per le
quali non è ammessa la licenza: le armi da guerra, per le quali il porto illegittimo è previsto e
punito dall’art. 4 della legge 2 ottobre 1967 n. 895, nel testo sostituito dall’art. 12 della legge
14 settembre 1974, n. 497, e le armi bianche, ossia le armi da punta e da taglio, la cui
destinazione naturale è l’offesa alla persona, il cui porto abusivo è previsto e punito dall’art.
699 comma 2 c.p.. Ciò comporta che il divieto non è applicabile a chi sia stato denunciato o
condannato per il porto, commesso a causa o in occasione di manifestazioni sportive, di
un’arma da guerra o di un’arma bianca, pur essendo certamente più pericolose di un’arma
impropria, per la quale sussiste, invece, l’espressa previsione del comma 2 dell’art. 4 della
legge n. 110 del 1975.
7
In tal senso BELLAGAMBA-VIGNA, Armi, munizioni, esplosivi. Disciplina penale e
amministrativa, Milano, 1991, 74 ss..