Videogiochi violenti: per una lettura interdisciplinare
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L’educatore è costantemente proiettato a proporre un
modello di riferimento adulto, nella consapevolezza di non
porsi mai né come figura genitoriale, con tutte le implicazioni
emotive connesse, né come asettico “addetto ai lavori”, privo
del ben che minimo “trasporto” umano. Ovviamente ogni
giornata era scandita dalle varie attività, tra cui l’utilizzo dei
videogiochi. Ed era proprio quest’ultima attività che, spesso,
portava con sé momenti di crisi causati, probabilmente, da una
verve ludica troppo vissuta.
È innegabile, infatti, che videogiochi sono recentemente
giunti ai clamori della cronaca, i ragazzi li considerano sempre
più spesso i passatempi preferiti. I genitori li guardano con
sospetto, eppure pochi sino ad ora si sono dedicati ad uno
studio approfondito di questo new media, un grosso business
ed un importante "tassello" dell’immaginario collettivo.
Per capire realmente quali siano i rischi connessi all’uso
dei videogiochi, così come per valutarne le numerose
potenzialità, essi vanno studiati in tutti i loro aspetti: da dove
sono nati e con quali finalità, quali sono i meccanismi legati al
loro mercato, quale il linguaggio che usano, quali le ragioni del
piacere che suscitano nei giocatori.
La prima parte del mio lavoro verterà sull’analisi storica
evolutiva del gioco percorrendo un excursus dai primordi allo
stato attuale, presentando un piccolo dizionario sui vari giochi
che si sono succeduti nel tempo.
Cercherò di superare la demonizzazione di questi giochi
perché accusati, qualche decennio fa, di apportare dissociazioni
alla personalità, riportando le riflessioni positive di alcuni
pedagogisti, tenendo conto che il rapporto deve essere legato
alla crescita della personalità e non ai disturbi che possono
avvenire all’uso –abuso degli intrattenimenti videoludici.
Videogiochi violenti: per una lettura interdisciplinare
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Il consenso o il dissenso dipende molte volte dalle
conoscenze soggettive di ognuno, infatti chi si accinge a una
visone panoramica si rende conto che l’approccio è diverso.
C’è stato sempre un rischio tra la cultura e la tecnica, ogni
nuovo confronto tra tecnologie tradizionali e nuove tecnologie
altamente informatizzate disturba il processo di umanizzazione.
Per ciò che concerne la violenza nei videogiochi, essa è
solamente una riproduzione della realtà. Il problema è se i
minori abbiano consapevolezza della portata di questa
rappresentazione, e adottino, di volta in volta, il miglior
schema interpretativo.
Per le varie valutazioni cercherò di effettuare delle
comparazioni teoriche. La sociologia raggruppa tante
dimensioni in una visione d’insieme con l’analisi dei diversi
bisogni e con l’approccio funzionalista ci consente di capire la
realtà odierna anche relativa a questi scenari particolari.
L’uomo deve essere abile a convivere con i vari mass
media e a monitorarli per non diventare lui stesso massificato.
Esporrò anche dei dati rilevati direttamente dagli istituti
di statistica presentando, quindi, una serie di valutazioni in
merito da parte degli studiosi che si sono occupati di studiare
questo nascente fenomeno.
Presenterò la valenza pedagogicamente positiva del
videogioco per lo sviluppo della personalità nei tre rapporti
individuati da T.W. Malone, nel suo studio “What Makes
Things Fun to Learn? Heuristics for Designing Instructional
Computer Games”, che sono la sfida, la fantasia e la curiosità,
a cui farò seguire delle interviste al fine di verificare la
possibile esattezza della tesi del succitato.
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NOTA METODOLOGICA
L’indagine è stata concepita per studiare e analizzare le
modalità d’utilizzo e il rapporto interattivo che si viene ad
instaurare tra la macchina e il fruitore. Il progetto di una tesi
che trattasse i videogiochi e le loro implicazioni a livello
percettivo è nata dall’osservazione di un fenomeno in crescita
da circa un ventennio, per una quantità sempre maggiore di
tempo “consumato” nel giocare con i videogiochi. La domanda
che da questa osservazione è nata riguarda le conseguenze di
un uso così frequente, con particolare attenzione a quello che
accade ai pre-adolescenti e agli adolescenti, in quanto il loro
cervello, non avendo ancora raggiunto una completa
maturazione, è più facilmente soggetto a modificazioni,
positive o negative che siano, a seguito dell’attività
videoludica.
La ricerca è il frutto di uno studio che si potrebbe
definire pionieristico. Questo progetto di tesi nasce anche dalla
volontà di analizzare la letteratura esistente su tale argomento.
In questa sede si è voluto provare a portare alla luce proprio
quelle che sono le possibili conseguenze positive dell’uso dei
videogiochi sulle capacità percettive dei ragazzi.
Nel corso del lavoro di tesi, mi sono avvalso sia
dell‘approccio teorico che di quello empirico; mi sono altresì
trovato di fronte a una scarsa letteratura in merito, nonché a
una certa scarsità di ricerche empiriche condotte
sull’argomento: è per questo che lo studio che qui si presenta è
considerato del tutto pionieristico, nella convinzione che possa
fornire delle piste che necessitano senza dubbio di ulteriori
approfondimenti.
L’indagine è stata condotta effettuando delle interviste
in profondità: 10 a testimoni privilegiati e 15 a minori (dieci
Videogiochi violenti: per una lettura interdisciplinare
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maschi e cinque femmine) a cui è stata richiesta, attraverso una
testimonianza anonima, di evidenziare in maniera dettagliata la
modalità con cui usufruiscono degli intrattenimenti videoludici.
Il materiale è servito ai fini della ricerca per capire meglio
l’impatto che tale mezzo ha e/o può avere sul minore. A queste
testimonianze si sono aggiunte le considerazioni di alcuni
studiosi del nostro tempo che hanno e stanno studiando il
fenomeno videoludico, considerati appunto come testimoni
privilegiati.
Elencherò i testimoni privilegiati descrivendone il
campo d’interesse:
y Signor Bonnaccorsi Marzio, proprietario delle sale
giochi “Extraball” di Roma;
y Dott. Cozzi Alessandro, Orientatore famigliare e
presentatore televisivo di Rai-educational;
y Prof. D’Andrea Fabio, docente di Sociologia Generale
presso la Facoltà di Scienze della formazione all’Università
degli Studi di Perugia;
y Prof. Giuliano Luca, docente di Metodologia delle
Scienze Sociali presso L’Ateneo la Sapienza di Roma;
y Prof. Maragliano Roberto, docente di Tecnologie
dell’istruzione e dell’apprendimento presso l’ Ateneo “Roma
Tre”
y Signor Murello Simone, coordinatore degli educatori
presso il progetto “Scuola di Volo- Colombi”, Centro per
l’immigrazione;
y Prof. Pecchinendda Gianfranco, docente di Sociologia
della Comunicazione all’Università degli Studi di Salerno e
Comunicazione dei Processi Culturali all’ Università degli
studi di Napoli Federico II;
y Dott. Talli Massimo, psicologo e psicoterapeuta
dell’associazione SIPAC;
Videogiochi violenti: per una lettura interdisciplinare
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y R……….; diciassettenne di Roma frequentante il
quarto ginnasio;
y G…….…; dodicenne di Roma frequentante la seconda
media.;
La ricerca è stata svolta utilizzando prima una
ricognizione bibliografica sui lavori dei testimoni privilegiati,
per conoscere le considerazioni generali sull’argomento; grazie
agli studi effettuati ho preparato un canovaccio personalizzato
che mi ha permesso di condurre l’intervistato verso la mission
dell’analisi. Il metodo che la ricerca ha adottato è quello che
nel linguaggio sociologico viene definito come approccio
qualitativo. L’approccio qualitativo nella ricerca sociale nasce
sostanzialmente negli anni Venti e Trenta del Novecento,
nell’ambito dello sviluppo urbano della metropoli statunitense
di Chicago. In Italia, è stato Franco Ferrarotti a favorire la
conoscenza della ricerca qualitativa nell’ambito di una
disciplina che, dal dopoguerra, si stava facendo strada negli
insegnamenti universitari.
La ricerca sociale non potrebbe esistere senza tecniche,
queste permettono al sociologo di catturare la realtà empirica,
seguendo alcune prassi che vengono definite e formalizzate
come tecniche di raccolta (rilevazione) e tecniche di analisi
(elaborazioni) dei materiali empirici.
E’ necessario quando si inizia una ricerca porsi una
domanda conoscitiva per la definizione del problema, solo
dopo aver fatto ciò si può stabilire se procedere attraverso un
approccio quantitativo o qualitativo; comunque sia, è
importante capire al di là dell’approccio se il tema trattato sia
principalmente di natura sociologica e/o psicologica.
L’approccio utilizzato, come sopra accennavo, è di tipo
qualitativo poiché l’universo dei videogiochi e dei minori era
un aspetto troppo vasto e delicato e, soprattutto, ancora poco
studiato dalle diverse discipline.
Videogiochi violenti: per una lettura interdisciplinare
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Sono state effettuate delle interviste in profondità,
denominate anche interviste non strutturate in quanto non vi
sono domande preparate in precedenza e all’intervistatore è
assegnato soltanto un tema da approfondire. Con i minori è
stato difficile effettuare un’intervista in profondità vista la loro
giovane età, per questo motivo ci si è orientati verso una
testimonianza.
L’intervista in profondità è inoltre definita non direttiva
in quanto è condotta in forma libera e l’intervistato è messo
nella condizione di agire piuttosto che subire l’intervista.
Pertanto l’intervistatore si limita a introdurre un tema che poi
lascia sviluppare liberamente intervenendo il meno possibile.
Non deve neppure imporre alcun ordine nella trattazione dei
punti che interessano, ma lasciarli emergere spontaneamente in
conseguenza del rilievo che essi hanno per il "mondo vitale"
dell’intervistato.
L’intervistatore dunque può solo cercare di limitare le
eccessive divagazioni dai temi d’interesse, senza assumere mai
atteggiamenti costrittivi. Non a caso viene spesso definita
“colloquio” in profondità al fine di collocarla in un contesto più
comunicativo che interrogatorio.
Stimolando un libero racconto, il tempo da dedicarvi è
piuttosto lungo ed è necessario tenerne conto durante la fase di
campionamento perché in questo caso è meglio scegliere un
piccolo campione di persone rappresentativo in termini
qualitativi delle realtà che si vogliono analizzare.
La ricerca è iniziata nel mese di ottobre 2005 è si è
conclusa nel mese di giugno 2006.
Videogiochi violenti: per una lettura interdisciplinare
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CAPITOLO PRIMO
TRA STORIA E DEFINIZIONI
1.1. Gioco: le radici polisemiche di un termine
Gioco, dal latino iocus “scherzo, burla”, è un termine
tanto usuale quanto dal significato ampio e frastagliato.
Aprendo il dizionario enciclopedico della Treccani, ci si trova
di fronte a tre colonne fittamente scritte che individuano una
serie di accezioni e locuzioni che vanno dalla semplice
definizione di “attività libera senza fini immediati come lo
svago”, a definizioni che implicano concetti di “gratuità”,
“competizione”, “finzione”, “regola”, “rischio”, “complessi di
norme”, “movimento o spazio tra ingranaggi”
1
. Un’attività
evasiva, frivola che viene fermamente contrapposta alla serietà
della vita reale. Si contrappone, ancora, al lavoro come il
tempo perso al tempo bene impiegato. Ed è appunto questo suo
essere “privo di conseguenze” che maggiormente lo discredita
e, al tempo stesso, permette di abbandonarvisi con assoluta
spensieratezza.
Con queste premesse, stupisce il fatto che numerosi
studiosi intravedano nello spirito ludico una delle molle
principali, per le società, dello sviluppo delle manifestazioni
più alte della loro cultura e, per l’individuo, della sua
educazione morale e della sua evoluzione intellettuale.
Questo contrasto tra il concetto di “frivolezza”
attribuito al gioco e i meriti che gli si ascrivono, può essere
composto se ci si sofferma ad analizzare le nozioni implicite
1
AA.VV. (1986), Vocabolario della lingua italiana, Istituto della
Enciclopedia Italiana Giovanni Treccani, Roma, tomo II, p.624-625.
Videogiochi violenti: per una lettura interdisciplinare
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nell’idea stessa di gioco, così come appare nei diversi impieghi
della parola al di fuori del suo senso proprio, quando viene
utilizzata sotto metafora.
Innanzitutto, la parola “gioco” non indica solamente
l’attività specifica, ma anche l’insieme di figure, simboli o
degli strumenti necessari all’attività o al funzionamento di un
sistema complesso. Con “il gioco delle carte”, si indica, infatti,
non solo l’attività ma anche l’insieme fisico delle carte
utilizzate e delle regole. Ci troviamo, quindi, di fronte ad un
concetto di totalità circoscritta e autosufficiente.
In secondo luogo, locuzioni come “mettersi in gioco”,
“giocarsi la vita la carriera etc.”, esprimono in modo chiaro, un
altro aspetto interessante: l’idea di rischio.
Ancora, l’espressione “avere il proprio gioco”, “avere
un buon/cattivo gioco” ci richiamano alla mente i concetti di
caso, sorte (per la seconda espressione) e di libertà di azione,
invenzione (per la prima espressione). Libertà opportuna ma
non eccessiva. Pensiamo, per esempio, al “gioco di un
meccanismo”, allo spazio calcolato ma libero che permette a
due ingranaggi di funzionare.
Infine, ogni gioco è sistema di regole. Esse definiscono
cosa è e cosa non è gioco, vale a dire il lecito e l’illecito.
Queste convenzioni sono al tempo stesso arbitrarie, imperative
e senza appello. Non possono esser violate con alcun pretesto,
pena l’interruzione e la fine immediata del gioco stesso.
Nient’altro, infatti, sostiene la regola se non il desiderio di
giocare, vale a dire la volontà di rispettarla.
Totalità, rischio, sorte, libertà, regola. Ridotte
all’essenziale, queste sono le argomentazioni di Huizinga
2
,
quando fa derivare dallo spirito ludico la maggior parte delle
istituzioni che regolano le società nel loro progredire.
2
Eco, U. , oggi, saggio introduttivo in Huizinga, J. (1973), Homo Ludens,
Giulio Einaudi Editore, Torino.
Videogiochi violenti: per una lettura interdisciplinare
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D’altro canto, il progresso civile consiste proprio nel
passaggio da un universo caotico ad un universo regolato, che
poggi su un sistema totalizzante e convenzionale, che possa
lasciare uno spazio di libertà, opportuna ma non eccessiva,
all’individuo per rischiare.
Inoltre, a livello individuale, il contributo dello spirito
ludico non è da meno. Per esempio, è ormai assodato il ruolo
capitale del gioco nel processo di autoaffermazione nel
bambino e nella formazione del suo carattere. Così come è fuor
di dubbio il fatto che, attraverso il gioco, l’uomo nelle sue
prime fasi vitali, affina, potenzia facoltà mentali e fisiche. Il
gioco non prepara ad un mestiere preciso, esso allena in
generale alla vita, creando e poi aumentando capacità
3
.
1.2. Huizinga e Caillois: confronti
Non è straordinario che un giocatore,
soltanto per finzione, possa piegare l’anima di
fittizi personaggi a un concetto, così, che per
effetto di quella pura simulazione, il volto d’essi
si copra d’emozioni; occhi in lacrime o aspetto
gioioso o voce rotta e l’intero lor agire in
perfetta aderenza a quel concetto? E tutto ciò per
gioco ! puro gioco! Che cosa son loro per il
giocatore, perch’essi debbano piangere, gioire e
vivere così? E che farebbero allora, questi
personaggi, se avessero quel che il giocatore ha
come esistenza? Inonderebbero la vita di nuova
realtà, sconvolgerebbero il mondo con roboanti
comportamenti, cancellerebbero le certezze di
3
Caillois, R. (2000), I giochi e gli uomini, la maschera e la vertigine,
Tascabili Bompiani, Milano, p. 5-15.
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chi si sente nel vero reale? E’ un limite non
rintracciato che fa impallidire gli innocenti,
confondere gli ignari, sbigottire i giocatori
4
.
Tutto sembrerebbe essere cominciato così, per gioco. Il
gioco originario, quello che rintracciamo alla base di uno dei
più fecondi miti della fondazione della cultura umana, volle
organizzarlo Prometeo (etimologicamente colui che riflette) per
dimostrare le sue capacità (quelle tipicamente umane) rispetto a
quelle del suo dio, Zeus. Il confronto in questo caso, tra
creatura e creatore, in una sfida ludica basata su un gioco di
intelligenza, rappresenta un modello paradigmatico assai
ricorrente nella storia dell’umanità. Il mito narra che, dopo aver
offerto a Zeus un sacrificio, il Titano gli avesse lasciato la
possibilità di scegliere per primo tra due grandi mucchi di
carne ottenuti macellando l’animale sacrificato. Zeus scelse
l’ammasso più grande, sotto il quale, però, Prometeo aveva
ingannevolmente celato solo pelli ed ossa, lasciando invece
tutta la parte migliore delle carni nel mucchio più piccolo, che
finì pertanto per spettare a lui. Zeus, sconfitto dall’ingannevole
giochino propostogli, lo punì strappandogli il fuoco destinato a
bruciare l’offerta , privando così simbolicamente l’essere
umano di quel fondamentale elemento. Prometeo, a sua volta,
tutt’altro che arrendevole, riportò ancora una volta il fuoco tra
gli uomini, facendo definitivamente irritare la divinità, che gli
inflisse la più severa delle punizioni: Prometeo venne legato a
una montagna del Caucaso con un’indistruttibile enorme catena
costruita appositamente dal fabbro divino Efesto. Così
immobilizzato , l’intraprendente Titano fu costretto a subire
l’enorme tormento causatogli da un rapace che gli rodeva il
4
Pubblicità apparsa a pagina intera, sui principali quotidiani italiani nel
corso della primavera del 2002, nell’ambito della campagna della Maxis per
The Sims.
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fegato, che continuamente si riformava. Alla fine l'eroe Eracle
uccise l'aquila e lo liberò dal supplizio. La severità della
punizione inflitta dalla divinità , per quanto cruenta appare però
ben commisurata alla gravità, da un punto di vista simbolico
dovuto all’inganno perpetrato. La ribellione della creatura, per
quanto rivelata attraverso un semplice gioco di simulazione,
tipico di quei processi interattivi in cui ciò che appare non
corrisponde mai a ciò che è, ovvero ciò che si mostra non ha
una corrispondenza con ciò che ci si attende.
Il grande storico olandese Johan Huizinga è stato
certamente il più famoso divulgatore dell’idea secondo la quale
la cultura dovrebbe essere considerata sostanzialmente un
gioco : il gioco è più antico della cultura – egli scriveva ormai
nel lontano 1939, perché il concetto di cultura per quanto possa
essere definito insufficientemente, presuppone in ogni modo
convivenza umana.
Huizinga così definisce il gioco
Considerato per la forma si può dunque,
riassumendo, chiamare il gioco un’azione libera,
conscia di non essere presa “sul serio” e situata
al di fuori della vita consueta, che nondimeno
può impossessarsi totalmente del giocatore;
azione a cui in sé non è congiunto un interesse
materiale, da cui non proviene alcun vantaggio,
che si compie entro un tempo e uno spazio
definiti di proposito, che si svolge con ordine
secondo date regole, e suscita rapporti sociali che
facilmente si circondano di mistero o accentuano
mediante travestimento la loro diversità dal
mondo solito.
5
Partendo da questa definizione, R. Caillois riconosce a
Huizinga sostanzialmente due grossi meriti: aver analizzato
5
Huizinga, op. cit., p.34.
Videogiochi violenti: per una lettura interdisciplinare
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molti caratteri fondamentali del gioco; aver messo in luce
quegli aspetti dello spirito ludico che sono comuni e alla base
di molti aspetti sociali come l’arte, la filosofia, la poesia, il
diritto, dimostrando l’importanza del gioco nello sviluppo
stesso della civiltà.
Gli riconosce, pur tuttavia, anche dei grossi limiti.
Secondo Caillois, infatti, Huizinga nel suo lavoro, in primo
luogo, trascura di definire una “classificazione dei giochi”,
soffermandosi ad una ricerca approfondita solo dello spirito
ludico che presiede ad una determinata specie di giochi: i
giochi di competizione regolata. In secondo luogo, pur
riconoscendo l’affinità tra mistero e gioco, Huizinga non
sottolineerebbe che, se è vero che il mistero e il travestimento
si prestano ad un’attività ludica, nondimeno questa, nel suo
attuarsi, si esercita a detrimento dell’aspetto segreto stesso. In
altre parole, il gioco è quasi sempre spettacolare e pubblico,
diversamente si dovrebbe parlare di una funzione sacramentale,
non più di gioco, quindi, ma di istituzione.
Infine, Huizinga, definisce il gioco come “avulso da
ogni interesse materiale
6
”. Così facendo esclude senza appello
tutti i giochi a scommesse e azzardo. Ma se è vero che
sostanzialmente il gioco è improduttivo (non crea ma si limita a
spostare beni e proprietà), non di meno è vero che coloro che si
accostano a giochi d’azzardo, lo fanno per ricavare un proprio
arricchimento materiale.
A partire da ciò, Caillois propone una sua definizione
che, pur mantenendo alcuni caratteri individuati da Huizinga,
amplia l’orizzonte del suo raggio d’azione.
Caillois definisce il gioco come un’attività libera, a cui
il giocatore non può essere obbligato senza che il gioco perda
immediatamente la sua natura di divertimento attraente e
6
Huizinga, op. cit., p. 78.
Videogiochi violenti: per una lettura interdisciplinare
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gioioso; separata, ossia circoscritta entro limiti di tempo e di
spazio fissati in anticipo; incerta, sia nel risultato (non
potendosi determinare in anticipo lo svolgimento), che
nell’iniziativa (essendo presente, sempre in ogni gioco una
necessaria, ma non eccessiva, libertà di azione del giocatore);
improduttiva, non creando nessuna ricchezza, ma limitandosi
esclusivamente a spostare beni e proprietà; regolata,
sottoposta, invero, a convenzioni che sospendono le leggi
ordinarie e instaurano momentaneamente una legislazione
nuova che è la sola a contare; fittizia, accompagnata, in altre
parole, dalla consapevolezza specifica di una diversa realtà o di
una totale irrealtà nei confronti della vita normale
7
.
1.3. Per una classificazione dei giochi
Una volta definito il gioco, Caillois si adopera a
colmare quella che per lo studioso rappresenta una delle
principali lacune dello studio di Huizinga: una corretta ed
esaustiva classificazione. Di fronte all’infinita e variegata
quantità di giochi esistenti, Caillois riconosce l’unico elemento
determinante che consente di operare una classificazione
ragionata nell’atteggiamento dello spirito ludico. Non potendo
partire né dalle tipologie di spazi di gioco, né dalle finalità o
dal numero di partecipanti (senza arrivare a tipologie ludiche
parziali e incongruenti), Caillois propone una suddivisione in
quattro macro-categorie, in cui l’elemento discriminante è
rappresentato dall’atteggiamento fondamentale, che permea i
partecipanti del determinato gioco preso in considerazione.
7
R. Caillois, op. cit., p. 26
Videogiochi violenti: per una lettura interdisciplinare
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La prima di queste quattro categorie nominata da
Caillois è Agon. A questo insieme appartengono tutti quei
giochi in cui predomina un atteggiamento competitivo. La
condicio sine qua non di questa categoria è che, al momento
del via, tutti gli avversari debbano disporre di una condizione
di partenza paritaria, affinché la vittoria o la sconfitta
dipendano esclusivamente ed incontestabilmente dalle doti del
giocatore, senza alcun intervento esterno. A questa categoria
appartengono, per esempio, giochi come il calcio, il polo, il
biliardo, gli scacchi. Per ogni concorrente, la molla principale
di questo tipo di giochi è il desiderio di veder riconosciuta la
propria superiorità in un determinato campo. Per questo, la
pratica dell’agon presuppone un’attenzione costante, un
allenamento appropriato, degli sforzi assidui e la volontà di
vincere. Implica, ancora, disciplina e costanza. L’agon, si
presenta così come la forma pura del merito personale e serve
alla sua manifestazione.
La seconda categoria è Alea. E’ la parola che indica il
gioco dei dadi. Caillois l’adotta per designare tutti i giochi che
si fondano, contrariamente all’agon, su una decisione che non
dipende dal giocatore, giochi in cui non si tratta di vincere con
un avversario ma con il destino ; quest’ultimo è l’unico artefice
della vittoria, (i dadi, roulette, lotterie etc…). L’alea sottolinea
e rivela il favore del destino. Il giocatore è totalmente passivo,
non deve investire le sue qualità o disposizioni. Deve solo
aspettare, il verdetto della sorte. Contrariamente all’agon,
l’alea nega il lavoro, la pazienza, la qualificazione elimina il
valore professionale. Nell’agon il giocatore conta solo su
stesso, mentre sull’ alea, conta tutto, sull’ indizio più vago,
sulla più piccola particolarità esterna, tranne che su stesso.
L’agon è una rivendicazione della responsabilità personale
mentre l’alea è un’abdizione della volontà.
8
8
Alcuni giochi investono sia l’agon che l’alea.