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Fu Cicerone a stabilire una metafora rimasta famosa, con cui il termine veniva
trasposto al settore delle attività spirituali e psichiche, con l‟introduzione dell‟idea
della cultura animi, come corrispondente latino della greca paideia [educazione].
Tale concetto, attraverso la mediazione della tradizione filosofica razionalistica, da
Cartesio a Leibniz a Kant, è giunto fino a noi per designare il processo di formazione
della personalità umana. Esso contraddistingue il fenomeno della progressiva
acquisizione, da parte dell‟uomo, degli elementi distintivi della propria umanità.
L‟accezione moderna del termine cultura, quale esso è usato in sociologia e in modo
ancor più rilevante in antropologia, è però assai diversa, poiché indica piuttosto la
forma di organizzazione sociale e dei costumi di un popolo. In realtà va rilevato che
l‟apparente distanza tra i due significati racchiude in sé un processo evolutivo del
termine che si è maturato nel corso degli ultimi due secoli.
La tradizione illuministica, infatti, ebbe nei confronti del termine cultura, come del
resto anche in quelli di ogni forma della realtà, un atteggiamento demistificatorio […]
Come il Cristianesimo, le leggi fisiche, l‟antichità, anche la cultura venne «svelata»:
spogliata, cioè della sua veste di miti, leggende, tradizioni radicate nel tempo, e
rivestita di razionalità. Di conseguenza, culturale per eccellenza divenne la
conoscenza scientifica: non a caso il monumento della cultura illuminista è
l‟Encyclopédie, la summa del sapere scientifico dell‟epoca.
Questa riduzione della cultura a sapere razionale, pur tanto lontana dal moderno
concetto scientifico di cultura, costituì, nondimeno un notevole progresso, in quanto
consentì la scoperta dell‟esistenza di un‟organizzazione strutturale all‟interno di ogni
cultura; […] spingendo il filosofo a dirigere la sua indagine proprio sui dati
strutturali, pose le fondamenta, con Montesquieu (da molti, tra cui Aron, considerato
il padre dello strutturalismo moderno), Saint-Simon, Ferguson, alla nascita della
scienza sociologica.
Il secondo momento di questo processo fu determinato dal movimento romantico, che
seguì l‟era dei lumi. Il romanticismo riscoprì l‟anima più segreta dell‟uomo e dei
popoli, quel senso del Volk e della Gemeinshaft – la comunità retta da norme
informali in cui si organizza il popolo- che sopravviveva nell‟individuo sotto forma di
appartenenza a un gruppo anche quando tale identità di gruppo veniva politicamente
negata e socialmente repressa dalla Gesellshaft, cioè dalle strutture politico-legali.
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Ne nacquero i moti nazionali, che rivendicarono appunto all‟uomo il diritto di
autodeterminarsi culturalmente e ne nacquero anche i moti sociali, quali espressione
di un analogo diritto di autodeterminazione economica. Sul piano intellettuale,
invece, nacque il concetto moderno di cultura: patrimonio di tradizioni, usanze,
costumi di un popolo, considerato come un sistema organicamente strutturato.
Peraltro, mentre nell‟epoca precedente la cultura veniva considerata solo nella sua
accezione «razionale», e ritenuta, quindi, patrimonio esclusivo dei popoli civilizzati,
essa si configurò ora, come organizzazione comune ad ogni società umana ma tanto
più interessante nelle popolazioni primitive, perché si presenta ivi nella sua forma più
originaria. L‟opera di E.B. Tylor, La cultura primitiva (1871), riecheggia appunto
tutta questa tematica: vi è presente la necessità di riscattare il concetto di cultura dall‟
impostazione riduzionistica illuminista, e l‟esigenza di fornirle un «significato totale»
(secondo la definizione di P. Rossi), al di là di mera organizzazione originaria della
convivenza umana.”3
Tylor, infatti, elabora una definizione di cultura, il cui soggetto non è più il singolo
individuo, ma l‟intera comunità, di cui ognuno è parte integrante. Si tratta di una
definizione “rimasta classica in sociologia […] : «un insieme complesso che
comprende la conoscenza, la credenza, l‟arte, la morale, il diritto, il costume e altre
capacità acquisite dall‟uomo come membro della società». […] La cultura, pertanto, è
un elemento della realtà umana che non tende a sopravvivere per conto suo, ma viene
alimentato continuamente attraverso un‟azione positiva da parte della società; […]
una distinzione importante è quella fatta tra cultura esplicita e implicita, fondata sul
fatto che si abbia o no coscienza di alcuni aspetti del complesso culturale. Implicita è
quella cultura che viene trasmessa a livello non del tutto consapevole: regole di
cultura implicita sono, per es., quelle della pronuncia o della cadenza della frase per
un bambino che sta imparando a parlare; o anche il sistema di norme etiche secondo
le quali egli articola il suo comportamento. Viceversa cultura esplicita è quella che
viene recepita in modo tale che il soggetto sia in grado di descriverla
morfologicamente. Benché astratta, intrasmissibile per via automatica, e spesso non
esplicitata, la cultura è un elemento fondamentale della realtà umana, addirittura uno
3
Franco Demarchi, Aldo Ellena e Bernardo Cattarinussi, Nuovo Dizionario di Sociologia, Edizioni
Paoline, 1987 (voce cultura, pp.635-636).
9
dei suoi fattori distintivi, come ha messo in rilievo Kroeber, nel suo saggio Il
superorganico […].”4
I.2 UN LIVELLO PARTICOLARE DELLA REALTÀ SOCIALE
Un‟analisi attenta della definizione data da Tylor, invita a considerare la specificità
del concetto in questione ed a valutarne la variabilità della sua applicazione nello
studio di epoche storiche diverse, dove gli elementi, citati dallo studioso, (la
conoscenza, la credenza, l‟arte, la morale, il diritto, il costume), inevitabilmente
cambiano, o subiscono delle modifiche. Queste, anche se impercettibili da chi le vive,
nel momento storico in cui le vive, in realtà costituiscono cambiamenti importanti e
transizioni di periodi storici non indifferenti. La loro analisi è stata diversa,
d‟altronde, anche in relazione allo Zeitgeist (spirito del tempo) e alla
Weltanschauung, (visione del mondo) del tempo, che, come è stato sottolineato,
mutano inevitabilmente.
Una definizione più ampia del concetto di cultura è stata data da L. Gallino, il quale
la definisce un “patrimonio intellettuale e materiale, quasi sempre eterogeneo ma a
volte relativamente integrato, a volte invece internamente antagonistico, in complesso
durevole ma soggetto a continue trasformazioni con ritmo variabile a seconda della
natura dei suoi elementi e delle epoche – costituito da: a) valori, norme, definizioni,
linguaggi, simboli, segni, modelli di comportamento, tecniche mentali e corporee,
aventi funzione cognitiva, affettiva, valutativa, espressiva regolativa, manipolativa; b)
le oggettivazioni, i supporti, i veicoli materiali o corporei degli stessi; c) i mezzi
materiali per la produzione e la riproduzione sociale dell‟uomo – prodotto e
sviluppatosi per intero attraverso il lavoro e l‟interazione sociale, trasmesso ed
ereditato per la maggior parte delle generazioni passate, anche di altre società, e
soltanto in piccola parte prodotto originalmente o modificato dalle generazioni
viventi, che i membri di una determinata società condividono in varia misura o alle
cui parti possono selettivamente accedere o di cui possono appropriarsi sotto certe
condizioni. In questa accezione la cultura rappresenta un livello particolare della
4
Ibid., pp.636-637.
10
realtà sociale, interdipendente e interpenetrantesi con il livello dell‟interazione,
ovvero del sistema sociale, da un lato, ed il livello della personalità dall‟altro, ma
analiticamente distinto da essi. […]5
Tale definizione comprende e coordina numerose proprietà della cultura, che si
ritrovano sparse nella maggior parte delle definizioni contemporanee.
Infatti, secondo questo approccio: “ogni cultura determinata, osservabile in una data
società, è un prodotto storico, cresciuto per sviluppi interni e aggregatosi tramite
processi di importazione culturale e di acculturazione, con ritmi differenti nel volgere
di secoli e di millenni; ogni cultura è formata da innumerevoli elementi ideologici e
materiali che anche quando raggiungono una certa vicendevole integrazione, sono in
gran parte di origine eterogenea, in quanto provengono da altre società e culture
remote nel tempo e nello spazio, di modo che per tutte le culture moderne e
contemporanee non ha senso, dal punto di vista delle scienze sociali, parlare di
cultura «pura», «genuina», o «autoctona»; il volume totale della cultura che una data
generazione (o un dato individuo) ha a disposizione, è enormemente superiore a
quello prodotto da essa[…]; tutti gli elementi non materiali della cultura – valori,
simboli, norme e linguaggi – sono appresi dagli esseri umani sulla base della loro
struttura biologica e fisiologica, così come essi apprendono a servirsi degli elementi
materiali.”6
Secondo Gallino, gli elementi di ogni cultura si possono comprendere e specificare,
solo se inseriti all‟interno delle coordinate materiale / non materiale e sostitutività /
non sostitutività, laddove Egli intende per sostituzione di elementi culturali, il
momento in cui nuove definizioni, tecniche mentali e corporee, nuovi manufatti, il cui
sviluppo è stato reso possibile dall‟esperienza di precedenti definizioni, tecniche e
manufatti, ovvero dalle esperienze pratiche compiute con questi, li rendono obsoleti,
superandoli per efficacia, utilità, valore d‟uso; sono quindi sostitutivi la scienza, la
tecnologia e i loro prodotti; viceversa, non sono sostitutive le lingue, le espressioni
artistiche.
Dalla combinazione delle due coppie di coordinate, Gallino rileva che “tutti gli
elementi della cultura in generale o di una specifica cultura possono quindi
rapportarsi a quattro grandi classi di elementi, che sono la cultura
5
Luciano Gallino, op.cit.
6
Ibid., p.189.