162 La città creativa
pensiero, coesione e autonomia – teoria, concretezza e
fantasia (Landry 2000, p. 4) – che la creatività suscita in
un team di lavoro.
Questa terza parte si pone un obiettivo di non facile
portata: individuare – sulla base di quanto detto e con
l’ulteriore sostegno di autori come Charles Landry (2000)
e Pierluigi Sacco (2003) – le condizioni per le quali una
città possa dirsi, o divenire, creativa. In questo senso, le
prime due parti della tesi sono già sufficientemente
esplicative: non ci sarà città creativa senza l’apporto dei
suoi creativi, dei suoi migliori dirigenti e professionals
(Drucker, 2001, p. 279). Meglio ancora: non ci sarà città
creativa senza gruppi e organizzazioni creative (Landry,
2000, p. 12-15), senza il loro riconoscimento esplicito e
senza la partecipazione dal basso dei suoi cittadini (Libro
Bianco della Commissione Europea, 2001).
Ci sono oggi due motivi per porre la città al centro
dell’attenzione. Da una parte la città, in quanto
contenitore di reti di relazioni, si presenta come il quadro
più interessante di studio e di sviluppo dei processi
formali e informali di interazione. Dall’altra si osserva
oggi una spinta al decentramento amministrativo che, se
intesa come nuovo spazio per lo sviluppo delle
potenzialità locali e non come ulteriore filtro, trova nella
città il suo attore privilegiato.
Il primo capitolo sarà pertanto dedicato soprattutto
agli strumenti di lavoro necessari per pianificare la città
creativa.
Il secondo capitolo, sulla scorta di tre anni di attività
sul campo a Vercelli – in cui ho seguito la nascita e
l’evolversi di un organismo di partecipazione giovanile
alla vita della città – tenterà di individuare un’ipotesi di
sviluppo della creatività, partendo dal mondo
La città creativa 163
dell’associazionismo giovanile cittadino e sforzandosi di
tracciare un quadro – il più genuino e franco possibile –
delle precondizioni e delle realistiche possibilità per la
creatività in quella città, secondo un progetto da
condividere con tutte le risorse presenti, perché,
sentendolo proprio, lo arricchiscano con i loro approti
specifici.
CAPITOLO SETTIMO
La città creativa
Marco Polo descrive un ponte, pietra su pietra. «Ma qual è la
pietra che sostiene il ponte?» chiede Kublai Kan. «Il ponte non
è sostenuto da questa o quella pietra» risponde Marco «ma dalla
linea dell’arco che esse formano». Kublai Kan rimane
silenzioso, riflettendo. Poi soggiunge: «Perché mi parli delle
pietre? È solo dell’arco che m’importa». Polo risponde: «Senza
pietre non c’è arco». (Italo Calvino, Le città invisibili)
7.0. Introduzione
I mutamenti propri della modernità avanzata pongono
al centro della società le città, lanciando loro sfide che
possono essere accolte
1
. La complessità, e i legami deboli
di cui si è parlato nelle precedenti parti della tesi,
possono essere vissuti positivamente proprio nella città:
nel suo contesto, invece di portare alla disgregazione,
questi fenomeni possono divenire “contaminazione”
creativa delle diverse identità.
I cambiamenti economici e tecnologici spingono
verso la smaterializzazione delle transazioni e delle
merci, ma l’alto bisogno di relazione umana può trovare
nelle città una risposta convincente.
I cambiamenti sociali e di costume vedono
l’affermarsi di comportamenti di consumo di massa, con
la crescita di non luoghi
2
(Augé, 1999) senza identità, per
merci dall’identità assoluta, ma il bisogno di trovare
radici chiede alle città di riscoprire le proprie.
I movimenti politici che hanno portato alla
fondazione dell’Europa si basano sulla partecipazione dei
cittadini e sulla capacità di governance degli
amministratori ma, nella fuga nel privato che caratterizza
la modernità, la città ha il difficile compito di costruire, il
più vicino possibile ai cittadini, tavoli di dialogo.
L’eredità culturale del passato, a volte schiacciante
rispetto al presente (è il caso di molte città d’arte italiane)
chiede all’oggi nuovi rinascimenti, per uscire dai ricordi
con la convinzione etica che le persone, più dei palazzi,
sono la ricchezza della città. Come dice Bauman, in una
intervista pubblicata su Torino Internazionale
(www.torino-internazionale.org, il sito del piano
strategico di Torino), i nostri interessi di sopravvivenza e
i nostri precetti etici puntano (per la prima volta nella
storia!) nella stessa direzione e impongono le stesse
azioni.
Questo capitolo è dedicato alla presentazione delle
precondizioni, degli strumenti e delle azioni che possono
aiutare una città a vivere di creatività, secondo tre leit-
motiv, che ispirano la visione di Landry (2000):
È vitale pensare creativamente: avere una buona
teoria che aiuti a riflettere (creatività tedesca);
crearsi modelli pratici, rifarsi alle esperienze
riuscite, visitare molti luoghi (creatività del
pragmatismo inglese); saper immaginare, partendo
dalla centralità della cultura del luogo
(immaginazione italiana).
È vitale una formazione continua, individuale, di
gruppo (peer group), di organizzazione, partecipata:
la vera città creativa è una learning city (Landry,
2000, p. 19).
La città creativa 167
È, infine, vitale individuare e far leva sulle identità
di un luogo. Esse sono il suo capitale simbolico e
creativo.
7.1. I presupposti della creatività urbana
Si può dire che siano tre i presupposti della creatività
urbana:
che siano eliminati, o molto limitati, gli ostacoli alla
creatività;
che venga sviluppato il pensiero innovativo;
che siano soddisfatte alcune precondizioni della
creatività urbana.
È importante notare che, nel seguito della tesi, questi
presupposti costituiscono degli indicatori per misurare le
potenzialità creative di una città.
7.1.1. Togliere gli ostacoli alla creatività della città
Gli ostacoli possono essere numerosi: la saggezza
consiste nel saper vedere e nel saper affrontare, senza da
un lato la paura di riconoscere i limiti e senza dall’altro
lato cadere nella tentazione di usare i limiti come accuse
da lanciare contro qualcuno. Vediamo alcuni ostacoli
(Landry, 2000, pp. 41-49).
L’abuso di interessi settoriali, da parte di categorie
che si autoproteggono, se non regolato dalle
amministrazioni, può essere molto limitante: chi
stabilisce le priorità? Da quale prospettiva vengono
interpretati i dati economici? Quali pressioni spingono
sui decisori politici? Quali voci non vengono neppure
prese in considerazione?
La delocalizzazione, fenomeno descritto da Augé,
trasforma i luoghi in non-luoghi, ad esempio: grandi
centri commerciali spersonalizzanti, arredi urbani non in
dialogo con l’identità del luogo, turismo con forti impatti
non sostenibili.
La cancellazione della memoria produce la perdita
delle “impronte” acustiche, olfattive, visive del territorio.
Shafer ha scritto pagine bellissime sul paesaggio sonoro e
le sue impronte (Shafer, 1977), sicure guide per architetti
ed amministratori a riscoprire il “genius loci” della città.
La poca considerazione della principale ricchezza
della città, i suoi abitanti, può condurre ad un sistema in
cui i cittadini sono lasciati ai margini, senza un sostegno
alla partecipazione.
In questo senso, il potere politico ha una
responsabilità che può divenire ostacolo se non serve a
dar potere alla città, evitando iniziative glamour e
proponendo vere strategie: non reattive, cioè orientate
solo ai problemi del passato, ma proattive, cioè orientate
ad obiettivi e opportunità per il futuro.
“Ciò che più di tutto scoraggia la creatività è
l’assenza di un quadro di riferimento, di un progetto, di
uno scenario cui rapportare la propria azione creativa:
sia che si lavori per realizzare lo scenario prospettato,
sia che si lotti per superarne i confini, lo scenario stesso
costituisce un’imprescindibile pietra di paragone: una
sorta di Itaca senza la quale non si sa da dove partire né
dove andare” (De Masi, 2003, p. 360).
Come afferma Bauman, in una intervista pubblicata
sul sito di Torino-internazionale, il potere sta
La città creativa 169
“evaporando” verso l’alto, mentre la politica sta
“sgocciolando” verso il basso, nell’ambito della politica
della vita, attraverso la quale uomini e donne singole si
sforzano di trovare soluzioni individuali a problemi
sociali: da un lato il potere senza politica, dall’altra la
politica senza potere. Capita, in altre parole, di imbattersi
in politici che trascurando il proprio ruolo si
improvvisano “produttori e organizzatori di eventi”,
mentre normali cittadini si sforzano di proporre,
purtroppo senza molte speranze di successo, azioni di
sviluppo sociale e partecipativo. Dove ciò avviene, si è in
presenza di un grave ostacolo.
La burocrazia e, più ancora, la persistenza (fenomeno
marcatamente italiano) di èlite vecchie possono
fortemente rallentare i processi di innovazione e scambio.
La mancanza di formazione continua, di confronto
con altre situazioni, di riflessione su quanto avviene,
induce le città a ripetere errori del passato o a imitare
iniziative di altri territori, nel frattempo divenute ormai
logore.
La mancanza di integrazione tra economia e
sostenibilità (sociale e ambientale) può portare a
pianificazioni solo basate sull’utilizzo dei beni materiali e
sulle esigenze delle categorie del mondo del lavoro:
“Le città dovrebbero essere indirizzate non solo a
misurarsi con i bisogni dell’economia, ma anche a
sostenere pienamente le aspirazioni della gente a una più
alta qualità della vita, attraverso misure che possano
anche mantenere ed innalzare l’attrattiva e la vivibilità
delle città” (OECD, 2001, p. 18).
La mancanza di cooperazione tra territorio,
amministrazioni e università conduce a strategie
formative slegate dai territori e a pianificazioni dei
territori sganciate dalla riflessione e dall’innovazione.
Il basso investimento sull’educazione delle persone,
cioè sulle loro motivazioni, e sul loro coinvolgimento
attivo può condurre a campagne basate su iniziative
dall’alto e di breve termine, invece che sul cambiamento
a lungo termine degli stili di comportamento. Ma il costo
di iniziative senza reali frutti, o con frutti sociali negativi,
dovrebbe esser calcolato a tutti gli effetti nei bilanci
pubblici. Cosa vale di più: un’iniziativa orientativa
glamour di un giorno per mille persone, ma senza alcuna
ricaduta, o cento colloqui orientativi lungo un anno? Il
problema è che nei progetti non vengono quasi mai fissati
indicatori per gli obiettivi: un’astuzia per evitare
valutazioni imbarazzanti.
7.1.2. Sviluppare il pensiero innovativo
Il pensiero può essere innovativo a tre livelli diversi:
a livello operativo (mindflow), a livello delle visioni e
scelte globali (mindset), a livello della stessa facoltà
mentale di innovare (mindshift).
Il livello più strategico di tutti è quello del
cambiamento di visione (mindset), che può esser
provocato, in ordine di importanza, dall’esperienza
diretta (ad esempio il coinvolgimento nella
pianificazione sostenibile), dalla conoscenza delle buone
pratiche altrui (best practices), dalla conoscenza teorica
(ad esempio dalla lettura di un libro). Il cambiamento più
duraturo non è prodotto con la forza, l’inganno o la
persuasione, ma dalla forza degli argomenti. Tuttavia
La città creativa 171
questa strategia è un investimento a medio-lungo termine,
perciò poco diffuso.
I caratteri del pensiero innovativo, all’opera nel
contesto della pianificazione della città, possono essere
così riassunti (Landry, 2000, pp. 49-76): il pensiero è
innovativo se
è capace di tener insieme ambiti e settori diversi,
come l’ingegneria e il management umanistico
(secondo Landry, in futuro la pianificazione dei
territori non sarà più appannaggio di soli ingegneri e
architetti, ma ci saranno anche esperti di scienze
sociali ed educative);
promuove il cambiamento delle metafore della città,
giungendo a considerarla non una macchina, ma un
organismo. In questo senso appare illuminante
osservare i nomi che diamo agli uffici-dipartimenti,
agli assessorati o ai progetti (dove molto
creativamente si intendono gli assessori come capi-
progetto collaboratori del sindaco): “assessorato alle
politiche giovanili” è molto meglio del vecchio
“assessorato per i problemi giovanili”, ma non
sarebbe più strategico se i giovani (che non sono
uno spazio della città, ma il suo tempo futuro)
fossero attribuiti ad un “assessorato per il piano
strategico” o, almeno, ad un “assessorato per la
creatività e l’innovazione”?
Produce un’arricchimento del concetto di
“capitale”: naturale, fisico, finanziario, umano,
sociale, culturale – che Sacco (2003) chiama
“simbolico” – ambientale (tutti insieme
costituiscono il “capitale creativo”, come è detto sul
sito di Landry, www.comedia.org.uk).
Arricchisce il concetto di intelligenza: multipla e
costantemente in formazione.
Arricchisce la comunicazione della progettazione:
da un lato “narrativa” (a bassa densità), cioè dedita
a sviluppare la riflessione, concepire gli argomenti,
creare i significati; dall’altra “iconica” (ad alta
densità), cioè attenta a curare la visibilità dei
progetti per rinforzarne l’impatto. La vera sfida è
creare progetti che uniscano qualità narrativa e alto
potere iconico, per dare visibilità alle strategie di
lungo termine.
Crea spazi di cooperazione, di dialogo rispettoso.
Tende ad ampliare i diritti degli abitanti.
Sceglie la semplicità di un comportamento coerente
a livello di visione generale, stili gestionali e attività
pratiche.
Considera la leadership come una responsabilità del
gruppo (dell’organizzazione, della città) e proprio
per questo provoca uno “svecchiamento” nella
cerchia dei leader, per evitare che essi siano scelti
tra le vecchie e tradizionali strutture, che
rappresentano il passato piuttosto che la città di
domani.
Guarda la città da molti punti di vista, attraverso
molti occhi (i bambini, i giovani, gli anziani, gli
immigrati, le donne…).
Tiene in gran conto il momento della valutazione di
ciò che si fa.
La città creativa 173
7.1.3. Soddisfare sette precondizioni
Ci sono, secondo Landry, almeno sette gruppi di
precondizioni da soddisfare per poter dire che una città
sia davvero creativa (2000, p. 107).
Non si tratta di caratteristiche che descrivono la città
perfetta, ma la città creativa: la città, cioè, che sa
imparare dalle crisi. Proprio la crisi, infatti, e
l’insoddisfazione che ne consegue, stimolano di norma e
più facilmente a cercare l’innovazione.
Non c’è città creativa senza organizzazioni e
individui con qualità personali creative: una città è
creativa se sa mettere nei suoi centri strategici di
influenza – non necessariamente di potere – un
gruppo anche piccolo di persone creative, aperte
mentalmente, coraggiose e riflessive, che sanno
coinvolgere, creare alleanze e non escludere gli altri.
La città ha bisogno di persone che abbiano forza di
volontà, dinamismo e disciplina e, insieme, capacità
di empatia: leader capaci di sviluppare una storia di
ciò che la loro città potrebbe essere e di come può
diventarlo.
La città ha bisogno di mescolare insieme talenti
diversi: persone che provengono da posti diversi,
attratte dalla qualità della vita, e persone del posto,
che avvertano la responsabilità di coltivare le
proprie radici.
C’è bisogno di autentica cultura organizzativa:
flessibilità e continua rottura delle regole
rigidamente burocratiche, capacità di portare avanti
nuove idee, premi e valorizzazioni per i più capaci,
devolution dell’autorità, atteggiamento di costante
autoformazione e apprendimento dall’esperienza e –
soprattutto – la competenza trasversale di saper
lavorare orientati agli obiettivi e non alle regole.
C’è bisogno di incoraggiare e sostenere le identità
locali, con un atteggiamento di apertura e tolleranza
verso “le” diversità, in modo da non coltivare o
replicare solo un aspetto (viene portato l’esempio di
Firenze, che sta ora, e con grande fatica, cercando di
liberarsi dalla fissazione di essere solo una città
rinascimentale). L’accento sull’identità locale
comporta anche la preferenza per uno sviluppo
basato sulle potenzialità interne, piuttosto che su
risorse esterne da attrarre (OECD 2001, p. 19).
C’è bisogno di attenzione per gli spazi e i servizi
pubblici. Gli spazi: fisici, formali, informali,
virtuali. Fisici come la piazza italiana, delimitata da
quattro palazzi (comune, biblioteca-università,
mercato e chiesa) e con al centro il luogo dello
scambio culturale, libero, eterogeneo. Spazi
informali, meno centrali e seminascosti. Spazi
virtuali, creati dalla rete internet al servizio della
città, con servizi wireless, come avviene già in
diverse esperienze (Trieste, Bologna). Pubblici
servizi di qualità, in particolare quelli dedicati alla
ricerca, alla formazione e alla comunicazione, con
la presenza di incubatori di impresa e un buon
numero di giornali, radio, TV locali. Affitti bassi o
incubatori pubblici per le attività artistiche e
creative, specie in zone che si vuole recuperare: esse
saranno ripopolate proprio per effetto dell’attrattiva
suscitata dagli artisti.
Cè bisogno di sviluppare le reti, dentro e fuori.
Dentro la città, tra istituzioni, associazioni,
università, mondo del lavoro, commercio. Fuori
dalla città, a livello regionale e internazionale. Le
La città creativa 175
autorità, soprattutto, dovrebbero aver cura di lasciar
lavorare i tecnici e gli esperti a progetti di ampio
respiro, orientati allo scambio di best practices,
evitando l’enfasi e la retorica delle grandi cerimonie
che non producono alcun risultato concreto.
7.2. La nascita dell’ambiente creativo
La pianificazione di una città non nasce
all’improvviso: richiede che ci sia qualcosa da
pianificare, qualcosa che ci si è accorti che si può fare
meglio. In altre parole, per poter pianificare insieme una
città, come abbiamo visto nel paragrafo precedente, c’è
bisogno di creare quello che Landry chiama “ambiente
creativo”. Esso è costituito da una parte hard e una soft.
La parte hard è rappresentata dalle infrastrutture fisiche e
urbane della città: palazzi, uffici, reti di comunicazione,
centri di studi e ricerca, servizi pubblici. La parte soft è
invece costituita dalla rete delle organizzazioni.
Un ambiente creativo non è un ambiente perfetto. È
piuttosto – per tornare a concetti già descritti nella
seconda parte della tesi – uno sfondo, un ground, ben
articolato da cui possono finalmente emergere figure,
iniziative, idee innovative condivise.
Un ambiente creativo non è ordinato. È piuttosto un
luogo di comunicazione, contatto interpersonale
informale, interazione e relazione, diversità,
multidisciplinarità e complessità.
Un ambiente creativo non è stabile. È piuttosto così
forte da poter essere in continua trasformazione; ricco di
partecipazione e di conflitti creati dallo sbilanciamento
nella percezione dei bisogni da parte dei diversi gruppi.
Un ambiente così è certamente il risultato di
molteplici spinte che – in una situazione in cui siano
assenti molti degli ostacoli che abbiamo descritto nel
precedente paragrafo – agiscono ormai spontaneamente e
liberamente. In questo senso, come si dirà a proposito del
distretto culturale, è un ambiente che si crea da sé, e
chiede di essere riconosciuto.
Tuttavia è possibile facilitare questo movimento
spontaneo, tanto quanto ci si può adoperare per creare
uno sfondo positivo, come si è visto per le interazioni
all’interno di un gruppo o una organizzazione. Possiamo
indicare alcune molle che possono dare l’avvio al
movimento.
7.2.1. Le molle della creatività
Landry enumera alcuni fattori catalizzanti:
Le pressioni cui le persone devono sottostare, come
le necessità da soddisfare, la scarsità di risorse,
l’obsolescenza dei mezzi: la necessità aguzza
l’ingenio.
Anche le sorprese, come le scoperte o
semplicemente la fortuna. Esse vanno però subito
riconosciute.
L’ambizione delle persone per il proprio profitto e
una sana competizione.
La partecipazione al dibattito pubblico e alla
pianificazione da parte dei cittadini e dei gruppi di
pressione. Essa richiede di essere il principale
metodo politico.
Le attività di apprendimento, che ci mettono in
contatto con esperienze di eccellenza.