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Introduzione
L’imaging mediante risonanza magnetica (Magnetic Resonance Imaging, MRI) è una tecnica
per la generazione di immagini del corpo umano in alta definizione usata a scopi diagnostici e
basata sul principio della risonanza magnetica nucleare (RMN). Tale tecnica si fonda sul
concetto di precessione degli spin delle particelle atomiche dotate di momento magnetico
quando esse vengono sottoposte ad un campo magnetico. A differenza delle tecniche
radiologiche tradizionali o della Tomografia assiale computerizzata (TAC), l’MRI non fa uso
di radiazioni ionizzanti, potenzialmente dannose per il corpo umano. Essa dunque, anche per i
motivi appena citati, è la tecnica maggiormente scelta per investigare diversi organi quali il
cervello, la colonna vertebrale, e il cuore. Contemporaneamente allo sviluppo delle tecniche
di MRI, si è verificata una crescita considerevole dei pazienti che beneficiano dei dispositivi
cardiaci impiantabili, come i pacemaker o i defibrillatori. Tuttavia, per garantire la sicurezza
del paziente, nella maggior parte dei paesi l’eventuale presenza di dispositivi cardiaci
impiantabili è stata da sempre considerata una forte controindicazione verso indagini di MRI.
Sussiste quindi un forte interesse della comunità tecnica e scientifica per il problema della
sicurezza dei pazienti con dispositivi impiantabili in ambiente MRI. Il fenomeno delle
interazioni tra lo stimolatore cardiaco impiantabile e i campi elettromagnetici prodotti da
un’apparecchiatura per risonanza magnetica è piuttosto complesso. Tra le modalità di
interazione, il riscaldamento indotto sulla punta (tip) degli elettrocateteri endocardici dal
campo a radiofrequenza (RF) generato durante l’esame MRI, è l’aspetto su cui maggiormente
si è focalizzata l’attenzione della ricerca. Il campo RF, infatti, può accoppiarsi con i
conduttori metallici che costituiscono, ad esempio, gli elettrocateteri dei pacemaker e indurre
correnti elettriche che fluiscono dalla punta del catetere nei tessuti biologici circostanti,
causando un incremento di temperatura locale, che può a sua volta originare necrosi tissutale
o variazione dell’impedenza di contatto tra elettrodo e tessuto. Ad oggi in letteratura sono
presenti più di 150 lavori che hanno studiato in modo specifico il problema del riscaldamento
indotto e che hanno evidenziato come il fenomeno sia particolarmente complesso. Esso,
infatti, è influenzato da un gran numero di fattori, quali ad esempio la posizione dell’impianto
all’interno del torace del paziente o l’area da esso racchiusa, la lunghezza, la geometria e la
struttura dell’elettrocatetere.
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Gli sforzi fatti dalla comunità scientifica hanno prodotto risultati tangibili, tanto che nel
novembre del 2008 sono stati introdotti in commercio dei dispositivi cardiaci impiantabili
compatibili con la risonanza magnetica. I pacemaker appartenenti a tale classe di prodotti,
vengono denominati MR conditional, e consentono ad un paziente impiantato di essere
sottoposto a risonanza magnetica in assenza di rischi, a patto che siano rispettate una serie di
condizioni specificate dal fabbricante. Tali dispositivi hanno rappresentato un notevole passo
in avanti in termini di compatibilità, superando alcuni degli ostacoli presenti sino a quel
momento. Tuttavia, ancora ad oggi, alcuni problemi rimangono aperti. Una delle
problematiche ancora aperte è rappresentata dalla presenza di un elettrocatetere abbandonato
da un precedente impianto: infatti, quando, a causa della rottura o di un malfunzionamento, si
presenta la necessità di sostituire il catetere endocardico, la sua rimozione rimane ancora ad
oggi fortemente sconsigliata, dato l’elevato rischio di lacerazione del tessuto miocardico. La
prassi clinica adottata è quella di lasciare l’elettrocatetere che deve essere sostituito
abbandonato all’interno del torace del paziente, dopo essere stato disconnesso dallo
stimolatore. Quest’ultimo viene spesso dotato, in corrispondenza della terminazione opposta
al tip di un cappuccio di gomma isolante che ne impedisce il contatto con i tessuti biologici.
Nonostante i rischi associati alla presenza dei cateteri abbandonati siano riconosciuti, ad oggi
gli studi che hanno analizzato in modo sistematico le loro interazioni con il campo generato
dai sistemi MRI sono ancora pochi. L’importanza di approfondire questa tematica diviene
ancora più evidente se si pensa che per gli impianti MR conditional oggi in commercio, la
presenza di un elettrocatetere abbandonato fa cadere immediatamente la condizione di
compatibilità con la risonanza magnetica, non garantendo più l’assenza di rischi per il
paziente.
L’obiettivo del seguente lavoro di tesi è stato proprio quello di valutare l’effetto della
presenza di un catetere abbandonato accanto ad un impianto MR conditional, in termini di
riscaldamento indotto dal campo RF generato durante un esame MRI a 1.5 T (campo RF a
64 MHz). In particolare, sono state condotte misure sperimentali per indagare due aspetti
fondamentali:
1) l’effetto della configurazione di terminazione sul riscaldamento indotto sulla punta di
un elettrocatetere abbandonato, per 4 elettrocateteri di diversa struttura e per diverse
configurazioni di impianto;
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2) l’effetto che la presenza dell’elettrocatetere abbandonato induce sul riscaldamento
indotto sulla punta dell’elettrocatetere di un impianto MR conditional, al variare delle
condizioni di terminazione dell’elettrocatetere abbandonato e per diverse
configurazioni di impianto.
In particolare, sulla base dei risultati presenti in letteratura e sulla base di quanto suggerito
dallo standard americano ASTM F2182-11, riguardante la valutazione del riscaldamento
indotto dal campo a radiofrequenza sui dispositivi medici impiantabili, sono stati messi a
punto due set-up sperimentali per la valutazione del riscaldamento indotto: il primo che
simula le condizioni di caso peggiore in termini di incremento di temperatura prodotto sui
cateteri endocardici al campo RF, il secondo che invece rappresenta configurazioni realistiche
di impianto. Entrambi i set di misure sono stati condotti utilizzando un simulatore di tronco,
riempito con una soluzione salina con proprietà dielettriche equivalenti a quelle medie dei
tessuti umani alla frequenza di interesse (64 MHz), all’interno del quale sono stati collocati gli
elettrocateteri.
Lo scopo del primo set-up sperimentale era quello di caratterizzare il comportamento
dell’elettrocatetere MR conditional in presenza di un catetere abbandonato al variare dello
stesso e delle sue condizioni di terminazione; lo scopo del secondo set-up, dati i più complessi
meccanismi di accoppiamento rappresentati nella configurazione realistica di impianto, era
quello di valutare il riscaldamento indotto sul tip del catetere MR conditional al variare della
posizione assunta da quest’ultimo all’interno del simulatore di tronco, e al variare della
tipologia, della posizione e della condizione di terminazione del catetere abbandonato.
Per simulare l’elettrocatetere abbandonato da affiancare all’impianto MR conditional sono
stati scelti quattro diversi elettrocateteri: 3 elettrocateteri convenzionali, scelti in base alla loro
diversa attitudine al riscaldamento evidenziata da studi precedenti, ed 1 MR conditional,
uguale a quello utilizzato per simulare l’impianto.
A partire dagli incrementi di temperatura sul tip di ciascun catetere endocardico, misurati per
mezzo di sonde a fibra ottica prive di componenti metalliche, è stato possibile stimare i valori
di potenza localmente assorbita (Specific Absorption Rate, SAR) dalla soluzione contenuta
all’interno del fantoccio.
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Nel Capitolo 1 vengono descritti i principi fisici alla base della RMN, il principio di
funzionamento del pacemaker e i fattori che caratterizzano pacemaker ed elettrocateteri, e le
possibili interazioni tra lo stimolatore cardiaco e i campi prodotti dalla risonanza magnetica,
con particolare riguardo al riscaldamento indotto sul tip dei cateteri endocardici.
Nel Capitolo 2 vengono illustrati i lavori presenti nella letteratura scientifica inerenti il
riscaldamento indotto sui cateteri endocardici, vengono descritte le caratteristiche
dell’impianto MR conditional e le problematiche da esso emergenti, quali la presenza del
catetere abbandonato e il disallineamento tra la situazione normativa europea e quella italiana.
Nel Capitolo 3 viene descritta la strumentazione per MRI con particolare riferimento alle
bobine birdcage per la generazione del campo magnetico a RF, e vengono illustrati i set-up
sperimentali implementati e i metodi di misura in essi adottati.
Nel Capitolo 4, in conclusione, vengono illustrati i risultati prodotti dalle misure effettuate.
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1. LA RISONANZA MAGNETICA NUCLEARE E IL
PACEMAKER
1.1 INTRODUZIONE AL PROBLEMA DELLA COMPATIBILITÀ
ELETTROMAGNETICA TRA IL PACEMAKER E LA RISONANZA
MAGNETICA
La Magnetic Resonance Imaging (MRI) è una tecnica di imaging non invasiva usata
principalmente in applicazioni biomediche per produrre immagini del corpo umano in alta
definizione; essa si basa sui principi della Risonanza Magnetica Nucleare (NMR), una
metodologia spettroscopica di indagine sulla materia che gli scienziati utilizzano per ottenere
informazioni chimiche e fisiche sulle molecole [1]. Essa si basa sull’assorbimento e
l’emissione di energia elettromagnetica da parte dei nuclei degli atomi di idrogeno che
costituiscono l’oggetto sotto indagine nel range delle radiofrequenze e che, data l’elevata
presenza di acqua nei tessuti biologici, consentono di ottenere informazioni riguardanti la
composizione del tessuto e il suo stato fisio-patologico. In particolare, tale tecnica, come sarà
ampiamente descritto in seguito, si fonda sull’uso opportunamente combinato di campi
magnetici statici di intensità superiore a 1 Tesla (T), di campi magnetici a radiofrequenza di
frequenza superiore a 60 MHz e di campi magnetici in bassa frequenza. La capacità di
ricostruire immagini dei tessuti biologici umani in 3 dimensioni e con un’elevata risoluzione,
senza dover ricorrere a radiazioni ionizzanti, ha fatto si che la risonanza magnetica divenisse
nel tempo una tra le tecniche più diffuse in ambito clinico quale mezzo di diagnosi per
numerose forme di patologia. In particolare, il segnale ottenuto dalla risonanza magnetica
consente l’estrapolazione di una grande quantità di informazioni riguardanti i tessuti biologici,
quali la composizione e la morfologia. Inoltre, data la capacità di discriminare tessuti molli
senza mezzo di contrasto e, data di conseguenza, l’impossibilità per talune esigenze
diagnostiche di ricorrere a tecniche di imaging altrettanto efficaci, l’impiego di tale tecnica è
divenuto sempre più ampio al punto da essere utilizzata come mezzo di monitoraggio in
tempo reale nel corso di interventi invasivi, e da consentire, grazie all’introduzione
dell’imaging funzionale, la valutazione della funzionalità di un organo o di un apparato. Si
capisce pertanto come il numero degli esami di risonanza magnetica eseguiti ogni anno sia
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andato sensibilmente crescendo negli ultimi anni [2-4]. Come si osserva dalle Figure 1.1 e
1.2, parallelamente all’incremento del numero di esami MRI eseguiti nel mondo, è andato
crescendo anche il numero di pazienti che beneficiano della presenza di un dispositivo
impiantabile, quale il pacemaker (PM) [5]. Nel 2009 sono stati eseguiti nel mondo più di
600.000 impianti di pacemaker, di cui 60.000 solo in Italia.
Figura 1.1: Numero di impianti di PM eseguiti ogni anno in Europa fino al 2010 [5].
Figura 1.2: Numero complessivo di esami di MRI eseguiti negli USA, in strutture ospedaliere
e non, nel periodo 1995-2007 [fonte: http://www.medtronic.com/mrisurescan-
us/mri_pacemakers_trends.html].
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Tuttavia, l’eventuale presenza di pacemaker o defibrillatore impiantabile, nella maggior parte
dei paesi occidentali, compresa l’Italia, è attualmente considerata una forte controindicazione
verso trattamenti di MRI, a causa delle interazioni tra i campi magnetici utilizzati all’interno
dello scanner per risonanza magnetica e gli stimolatori cardiaci, in particolare per la presenza
di componenti metalliche/conduttive all’interno di questi ultimi. In conseguenza di ciò, a parte
della popolazione viene preclusa la possibilità di usufruire dei notevoli vantaggi che questa
modalità di imaging comporta.
Il numero crescente di pazienti portatori di stimolatori elettrici impiantabili e il continuo
sviluppo delle tecniche di MRI, però, hanno contribuito sempre più alla ricerca di una
soluzione che permettesse di utilizzare questa metodologia di imaging anche su portatori di
pacemaker o di ICD.
La Figura 1.3, mostra chiaramente l’abbondanza di studi prodotti nell’ambito della letteratura
scientifica per quanto riguarda la valutazione delle interazioni tra la RM e il dispositivo
impiantabile, e come tale numero sia andato sensibilmente crescendo negli anni. Essa è stata
ottenuta dall’analisi delle pubblicazioni presenti nel database PubMed inserendo le parole
chiave pacemaker e risonanza magnetica, ed eliminando i lavori non inerenti la compatibilità
tra questi ultimi.
Figura 1.3: Numero delle pubblicazioni scientifiche riguardanti risonanza magnetica e
pacemaker.
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Nel tempo pertanto, sia la letteratura scientifica che le case produttrici, hanno studiato e
approfondito l’argomento, cercando di chiarire da un lato, quali fossero gli aspetti tecnologici
e strutturali su cui agire per rendere il dispositivo impiantabile compatibile con la risonanza
magnetica, dall’altro quali fossero le condizioni sotto le quali un paziente impiantato potesse
effettuare una RMN.
Nella letteratura internazionale sono stati riportati 13 episodi di morte occorsa a pazienti
durante un’indagine con MRI; di questi, 11 casi sono relativi a portatori di stimolatori elettrici
impiantabili. Esistono, tuttavia, diverse pubblicazioni che testimoniano casi di pazienti, muniti
di pacemaker o di defibrillatore impiantabile (ICD, Implantable Cardioverter Defibrillator),
sottoposti a trattamenti di MRI senza alcuna evidente complicazione [6,7].
In realtà, solo a partire dal 2008 le aziende leader nel settore della produzione e della
commercializzazione di dispositivi cardiaci impiantabili, hanno introdotto nel mercato una
prima generazione di impianti compatibili con la risonanza magnetica sotto stringenti e
precise condizioni. Queste ultime, che verranno dettagliatamente illustrate in seguito,
riguardavano le intensità dei campi elettromagnetici utilizzati nell’indagine, la modalità in cui
doveva essere utilizzato l’apparecchio MRI ed infine la zona anatomica investigabile. In
particolare, per i primi impianti commercializzati, quest’ultima condizione sanciva il torace
come zona di esclusione. Successivamente però l’introduzione degli impianti di seconda
generazione ha consentito la superazione di tale limite, garantendo ai pazienti impiantati la
possibilità di effettuare esami MRI su tutto il corpo.
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1.2 I PRINCIPI FISICI DELLA RISONANZA MAGNETICA
Il fenomeno della risonanza magnetica nucleare fu scoperto nel 1946 da Felix Bloch ed
Edward Purcell, i quali ricevettero il Premio Nobel per la fisica nel 1952; essi mostrarono
come particolari atomi, quando sottoposti all’azione di un campo magnetico statico, potessero
disporsi in due configurazioni energetiche: uno stato ad alta energia e uno stato a bassa
energia. Si dimostrò inoltre, che la differenza tra queste due configurazioni energetiche risulta
essere direttamente proporzionale all’intensità di campo magnetico applicato (effetto
Zeeman). In condizioni di equilibrio il numero di nuclei presenti nello stato a bassa energia è
di poco superiore a quello dei nuclei che si trovano nello stato ad alta energia.
Il passaggio da un livello energetico all’altro può avvenire in due modi:
Un nucleo che si trova nel livello energetico più basso assorbe un fotone avente
energia pari al salto energetico tra i due livelli e quindi passa al livello energetico più
alto.
Un nucleo che si trova nel livello energetico più alto, emette un fotone dotato di
energia pari al salto energetico e quindi passa al livello più basso.
Da quanto detto si può dedurre che quando gli atomi sono immersi in un campo magnetico e
vengono irradiati con fotoni aventi energia opportuna, ovvero un campo elettromagnetico ad
una frequenza specifica prodotta da un generatore a radiofrequenza, parte dei nuclei presenti
nel livello energetico più basso assorbono fotoni e passano al livello energetico più alto.
Immediatamente dopo l’eccitazione, gli atomi che avevano compiuto la transizione dal livello
più basso a quello più alto tendono a ristabilire la condizione di equilibrio tornando al livello
energetico basso attraverso l’emissione di fotoni, ovvero di un campo elettromagnetico che
può essere rilevato con una bobina a radiofrequenza .
La frequenza del segnale elettromagnetico emesso è funzione della differenza energetica tra le
due configurazioni che l’atomo può assumere e il decadimento nel tempo del segnale stesso
dipende dalle caratteristiche della molecola cui l’atomo appartiene, quindi la risposta ottenuta
dalla bobina a radiofrequenza contiene le informazioni utili per discriminare la natura del
nucleo e dell’ambiente circostante.
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Tra il 1950 e il 1970 la risonanza magnetica nucleare venne utilizzata primariamente
nell’analisi della chimica molecolare e della struttura dei materiali.
Nel 1971 Damadian descrisse come tumori e tessuti sani fornissero risposte differenti
all’analisi RMN, quindi avanzò l’ipotesi che le tecniche di risonanza magnetica potessero
essere utilizzate per scopi diagnostici al fine di rilevare tumori maligni nel corpo umano.
In seguito Paul Lauterbur, stimolato dalle ricerche di Damadian, sviluppò un metodo per
generare le prime immagini in due e in tre dimensioni usando i gradienti, e Peter Mansfield
dell’Università di Nottingham formulò un metodo matematico che avrebbe permesso di
effettuare la scansione dell’oggetto sotto indagine in pochi secondi, piuttosto che in alcune
ore. Il principio che si pone alla base dell’utilizzo della NMR come tecnica di imaging è il
seguente: dal momento che la differenza tra le due configurazioni energetiche ammesse per
particolari atomi immersi in un campo magnetico esterno è funzione dell’intensità del campo
stesso, è possibile variare questa energia per ogni punto dell’oggetto che deve essere
ricostruito variando proprio l’intensità del campo punto per punto. Dunque anche l’energia dei
fotoni, ovvero la frequenza del campo elettromagnetico emesso od assorbito dagli atomi
risulta differente punto per punto [8].
Un’analisi in frequenza dei segnali emessi dai vari atomi che compongono l’oggetto di
interesse permette quindi di ottenere informazioni sulla disposizione spaziale degli atomi
stessi.
Ad oggi gli sviluppi tecnologici nel campo dei magneti superconduttori hanno reso possibile
ottenere un rapporto segnale rumore, signal to noise ratio (SNR), e una risoluzione
dell’immagine più alti rispetto ai magneti resistivi o permanenti utilizzati nel passato. L’SNR,
in particolare, risulta direttamente proporzionale all’intensità del campo statico B
0
, pertanto
può essere migliorato utilizzando delle bobine capaci di erogare un campo di intensità
maggiore.
Le potenze di calcolo che sono attualmente disponibili consentono di produrre ricostruzioni in
tre dimensioni dell’immagine con tempi di acquisizione notevolmente ridotti e, inoltre
utilizzando sequenze RF complesse si possono controllare gli artefatti dell’immagine ovvero
le distorsioni causate ad esempio da movimento.