2
9 la fedeltà alla professione diventa più forte del tradizionale legame con
l’azienda.
Questi però sono segnali ancora deboli e riguardano prevalentemente una
minoranza della popolazione attiva, quella comunque più attenta ed esposta ai
fenomeni emergenti. Il problema per le aziende è che proprio questo segmento di
risorse rappresenta quel “plus” di capitale così essenziale per poter affrontare con
successo le sfide che si presentano.
Tutto questo spiega perché non è più sufficiente “avere le persone giuste al posto
giusto e al momento giusto”, obiettivo primario della tecnologia di pianificazione
delle risorse umane in uso negli anni ’70 e nei primi anni ’80. I tradizionali schemi
di carriera, che stanno via via scomparendo sotto la spinta del cambiamento, erano
di tipo lineare, in altre parole, nelle organizzazioni tradizionali, i sentieri di carriera
erano visti come una serie di gradini per arrivare al vertice della piramide
gerarchica. Le nuove tendenze in atto nel mondo delle imprese, quali
l’internazionalizzazione, il decentramento, la riduzione dei livelli organizzativi e
l’aumentata richiesta di qualità, si conformano ai valori contemporanei che
riflettono una sempre maggiore attenzione alla flessibilità, alla competizione e ad
uno stile di vita individualistico, piuttosto che ad un lento e sistematico
avanzamento lineare all’interno della medesima organizzazione.
In questo nuovo scenario cominciano ad emergere sentieri di carriera plurimi e non
lineari, nei quali si può avere una mobilità laterale o addirittura all’indietro
passando da un’area di lavoro ad un’altra, purché questa mobilità offra
all’individuo l’opportunità di acquisire nuove conoscenze, di svilupparsi
personalmente e di scegliere liberamente.
Sullo sfondo di queste evoluzioni si va affermando la self designing organization
(Weick, K.E., Berlinguer, L.R. 1989), ovvero l’organizzazione autoprogettante,
adatta ad affrontare ambienti in rapida evoluzione mediante il ricorso
all’improvvisazione e all’adattamento continuo, dove il personale è in grado di
svolgere più mansioni e si adegua ad una struttura di tipo reticolare. Queste
organizzazioni si basano sulle skills, le metaskills e i comportamenti che gli
individui devono acquisire e padroneggiare per affrontare il cambiamento senza più
limitarsi a fare il proprio dovere.
3
Dato questo quadro d’insieme descritto, dunque, come è cambiata la cultura
generale? Che cosa dobbiamo sapere sul lavoro e sulla vita? Quali conoscenze sono
indispensabili e quali serviranno sempre più?
Inglese e informatica, lo si sa, sono d’obbligo. Ma ora serve anche parlare e capire
il cinese, essere capaci di trovare le informazioni che ci servono su Internet, saper
“leggere” le immagini e usarle per comunicare, conoscere le diverse culture del
mondo, sapere come lavorare in gruppo e, soprattutto, tenersi sempre aggiornati.
Quindi, in sostanza, c’è innanzitutto bisogno di un aggiornamento continuo per
conoscere la realtà di oggi. Non solo la cultura classica, ma anche temi di attualità
che riguardano tutti, dai cambiamenti del clima alle ultime innovazioni
tecnologiche. In futuro, più che competenze specialistiche serviranno conoscenze di
base, oltre che essere esperti di nanotecnologie o farmacogenomica sarà importante
avere le conoscenze di base per capire quali nuove opportunità scaturiranno dalla
loro applicazione.
Il problema maggiore è quello di gestire le informazioni, il Web in particolare ci dà
accesso a innumerevoli informazioni da ogni parte del mondo, ma le sappiamo
trovare? Anche la ricerca di informazioni, infatti, è una nuova forma di conoscenza.
Il ritmo di crescita della capacità delle macchine e lo sviluppo delle tecnologie è
molto più rapido. Così come serve riqualificazione continua nelle aziende, gli utenti
devono essere pronti a seguire cambiamenti nelle tecnologie, essere disponibili ad
imparare di continuo, familiarizzare con servizi capaci di rendere la vita più facile e
sviluppare un certo spirito critico, senza farsi sedurre dalle ultime novità sul
mercato.
La conoscenza più importante oggi è quindi saper imparare; tutto si rinnova molto
velocemente, per questo bisogna avere la preparazione e la capacità per apprendere
nozioni nuove per tutta la vita lavorativa. Bisogna cioè avere un metodo per
imparare in vista di un aggiornamento continuo.
Più che una preparazione specialistica e rigida, conta oggi l’“occupabilità”, ovvero
possedere le caratteristiche per essere impiegato in modo flessibile nella propria
azienda o in altre. Per questo servono tre tipi di conoscenze: la capacità di
apprendere, le competenze tecniche specifiche per ogni settore, infine le
competenze trasversali strategiche indispensabili per tutti, cioè saper lavorare al pc,
4
adeguarsi alle continue novità tecnologiche e parlare inglese, senza dimenticare le
capacità di saper lavorare e comunicare in gruppo, sia per trattare con i colleghi, sia
per trattare con i clienti. Le aziende tendono a semplificare l’organizzazione, per
questo motivo anche a un tecnico, a differenza che in passato, può capitare di dover
gestire un gruppo.
Le carte in più? Le esperienze all’estero, considerando l’internazionalizzazione dei
mercati. Anche le università, per esempio, mirano ad adattarsi ai cambiamenti di
mercato e società, modificando in parte anche i test di ammissione, riflettendo sulle
nuove nozioni richieste. Anche la cultura letteraria si evolve, forse oggi per
sostenere una conversazione o seguire temi di attualità serve di più conoscere Eco
che Pascoli e accanto ai classici entrano i nuovi fenomeni letterari o le opere dei
premi Nobel, o ancora i romanzi dei nuovi autori indiani; la cultura è più
cosmopolita e differenziata. Cultura è anche il cinema, entrato tra le conoscenze
culturali del nostro mondo così come la televisione, la pubblicità, le e-mail e gli
sms, i quali hanno creato forme di comunicazione e di cultura che bisogna capire e
sapere usare.
Secondo Alessandra Lavagnino, presidente del Corso di Laurea in Mediazione
Linguistica e Culturale dell’Università degli Studi di Milano, nel 2050 la lingua
madre più parlata sarà il cinese, come già oggi; l’importanza economica della Cina
e i rapporti con questo Paese di un miliardo e 300 milioni di persone sono in
rapidissima crescita. Conoscere il cinese servirà sempre più, non solo a chi va in
Cina per affari, ma anche per accogliere i nuovi ricchi turisti cinesi che arriveranno
in Italia. Senza contare che le lingue orientali saranno importanti anche su Internet
in quanto i loro ideogrammi si adattano bene alle esigenze di rapidità e di
concisione del Web. Nonostante questa invasione dal Paese del Sol Levante
l’inglese non sparirà, sarà usato come “lingua franca” in modo sempre più
multilingue. Concludiamo affari in Oriente e nelle scuole accanto ai ragazzi italiani
studiano bambini filippini, sudamericani, cinesi. Le migrazioni continueranno,
mentre la popolazione europea invecchia, le nostre società saranno sempre più
multiculturali. Per convivere senza conflitti bisogna conoscersi, ma anche
sperimentare i prodotti dal mondo che possiamo imparare a usare. Questa apertura
serve al manager che viaggia all’estero, così come a chi vive in Paesi dove si è
5
formata una comunità straniera. Oggi siamo comunque obbligati a guardare fuori
dai nostri confini, ciò che accade dall’altra parte del pianeta ha conseguenze per
noi, nell’economia o nella politica: la conoscenza delle altre culture è un requisito
per essere “cittadini del mondo”.
Viviamo in una società complessa, bombardati di informazioni ma anche chiamati a
prendere decisioni e a impegnarci direttamente in prima persona come “società
civile”, dal voto all’organizzazione di movimenti di quartiere. Fondamentale è
avere gli strumenti per capire ciò che accade e seguire gli eventi internazionali. Le
competenze specifiche oggi rischiano di essere presto superate. Una formazione di
carattere generale dà più duttilità e capacità di adattamento richieste dal mondo del
lavoro. Soprattutto, forma una persona.
Le conoscenze sono determinanti, ma occorre anche saperle usare nel mondo in cui
viviamo. Per fare questo è necessario sviluppare nuove qualità, doti e
comportamenti che serviranno per cavarcela oggi e nel prossimo futuro. Come
affrontare informazioni superveloci che raddoppiano ogni sette anni? Quali sono le
qualità necessarie in un mondo globalizzato nel quale conoscere le altre culture è
diventato fondamentale, le professioni divengono sempre più intellettualizzate e i
lavori atipici fioriscono? Ecco, a questo proposito delle caratteristiche utili per
sopravvivere nel mondo di domani.
Intellettualizzazione: capire come e perché; lavorare con la testa, dato che oggi si
utilizzano sempre meno le braccia. Le macchine hanno ridotto il lavoro manuale, se
nel secolo scorso il lavoro era soprattutto meccanico e difficilmente si cambiava
professione e status, oggi cresce il lavoro intellettuale e si può cambiare professione
varie volte nella vita. Formazione e aggiornamento diventano permanenti. Anche
nel tempo libero la tendenza è arricchirsi di conoscenze e abilità (musica, teatro,
sport, mostre, turismo) anziché riempirsi di oggetti. I futurologi parlano appunto di
intellettualizzazione dei bisogni.
Creatività: i passi da gigante della comunicazione sono sotto gli occhi di tutti, così
come l’importanza del mondo dello spettacolo. La dote della creatività è oggi
essenziale: è fondamentale vendere i prodotti attribuendo loro un significato
simbolico, cioè farli apparire, grazie a un marchio o a un’immagine, più attraenti o
semplicemente riuscire a dare loro un’anima.
6
Etica: con buona pace dei casi Cirio e Parmalat, nel lavoro è ancora richiesta una
grande dose di etica. Si deve essere affidabili, responsabili, attenti ai bisogni dei
superiori e dei colleghi di lavoro. Si deve saper agire in gruppo.
Emotività: ormai è provato che, senza una buona dose di partecipazione emotiva, si
rende meno nel lavoro e nello studio e che il rapporto emotivo con i compagni di
lavoro o con i clienti, nelle vendite come nei servizi, è una condizione necessaria.
Oggi il lavoro, deve, nei limiti del possibile, piacere. E questo spiega l’aumento
negli ultimi anni delle ore di lavoro di manager e creativi rispetto alle professioni
esecutive che possono dare un senso di alienazione. Il futuro sarà dei “jobbies”,
parola che mette insieme job e hobby, cioè di quelli che riusciranno a coniugare
passioni e lavoro.
Soggettività: cioè dare il giusto peso alle proprie esigenze individuali senza perdersi
nel gruppo, riconoscendo questa esigenza anche negli altri per capirli nel lavoro.
Adattabilità: non avremo più posti di lavoro a vita, ma questo potrà essere un
vantaggio, invece che di carriera si parlerà di carriere. Anche la durata di ogni
singola carriera si comprimerà a 4-5 anni. In 35 anni sarà probabile fare anche 7
lavori.
Senso della comunità: qualità anche nelle relazioni con gli altri. Dato che in molti
Paesi si assiste alla contrazione dell’assistenza sociale per ridurre i costi di bilancio
statale, sarà importante sviluppare in se stessi il senso della comunità che si fonda
sul cosiddetto capitale sociale, il quale viene dalle relazioni di cui ciascuno dispone
per fornire e ricevere aiuto che determinano anche la nostra identità di gruppo.
Queste reti di relazioni saranno fondamentali ancora di più nel futuro, dato anche il
maggior flusso di informazioni, interessi e modelli. A essere premiato sarà quindi
chi saprà unirsi agli altri, essere solidale con loro.
Ovviamente non tutti saranno toccati contemporaneamente da queste
trasformazioni, l’ambiente non cambia con la stessa velocità per tutti, mentre a una
parte della società si richiede più disponibilità a imparare e a cambiare, un’altra
parte è destinata alla pura esecuzione, alla dequalificazione per fare di tutto, magari
nella precarietà. I contratti atipici, in molti Paesi, si stanno traducendo nella
riduzione dei diritti, in futuro sarà ancora più necessario aumentare la
comunicazione e la solidarietà tra i lavoratori.
7
La divisione del lavoro si articolerà su tre piani: al primo i dequalificati, ancora
inseriti nella vecchia organizzazione del lavoro, la catena di montaggio. Una specie
di caserma con molte gerarchie, dove ciascuno partecipa in modo ripetitivo solo ad
una parte del processo produttivo, magari col posto fisso, ma con molta
insoddisfazione. L’altro piano è quello dei servizi, dove il lavoro sarà simile a
un’orchestra sinfonica: ogni musicista pur eseguendo un brano assegnato dal
direttore d’orchestra, sa suonare il proprio strumento e deve avere le competenze
giuste e l’emotività necessaria. Il terzo piano è quello dei lavoratori creativi,
fortemente intellettuali e per i quali si devono avere doti di autonomia. Qui
l’ambiente lavorativo è come un gruppo jazz, dove ognuno è responsabile delle sue
funzioni, porta avanti un progetto e il direttore è un leader che coordina, motiva,
dirime i conflitti, assegna i progetti in base alla capacità dei suoi colleghi,
considerati più come collaboratori che sottoposti.
Piano dell’elaborato.
In questo elaborato si cercherà di tracciare il quadro di un’efficace gestione delle
risorse umane quale necessaria nelle organizzazioni, considerati i rapidi
cambiamenti in atto. A questo scopo ho attinto a teorie e principi già consolidati
poiché, a mio parere, l’importanza che sempre più assume la gestione delle risorse
umane, costringe a rivolgersi a soluzioni già sperimentate, piuttosto che creare
nuove idee frutto della moda del momento e non sufficientemente verificate nella
pratica. I principi descritti sono pressoché universali, non circondati da mistero, gli
strumenti più diretti per esaminare mansioni e ruoli del personale.
L’elaborato è essenzialmente diviso in due parti. La prima contiene la parte teorica
della trattazione, che si concentra sul tema della progettazione delle risorse umane e
sulle fasi che la compongono da una prospettiva incentrata sul valore e l’importanza
delle competenze, alla cui analisi tra l’altro è dedicato un intero capitolo. Nella
seconda parte è contenuto il nucleo della trattazione, ovvero l’analisi della
valutazione della performance e i percorsi di carriera; l’approccio scelto mette in
relazione la tecnica con un contesto specifico, ovvero l’esperienza nel settore
assicurativo della compagnia Aurora.
8
Lo scritto ha quindi l’ambizione di descrivere l’intero ciclo di vita di una carriera
lavorativa dalla selezione e assunzione, alla valutazione delle competenze e della
performance finalizzata ad una gestione integrata del personale per poter attrarre gli
elementi migliori in azienda, motivarli, ottenere da loro il massimo impegno, farli
crescere professionalmente e mantenerli nell’organizzazione.
L’opera è una descrizione che illustra gli aspetti tecnici della valutazione dei
dipendenti e dei percorsi di carriera attraverso gli elementi contingenti che
influiscono su di esse ed il processo di progettazione.
L’elaborato parte dagli aspetti teorici descrivendo in modo generale lo scenario, le
sfide e la progettazione delle risorse umane, per poi restringere il quadro trattando i
temi della valutazione. Materia che non è più, come in passato, affidata a misteriosi
esperti che godevano di una considerazione modesta ed erano visti come una
perdita di tempo, una formalità inutile imposta dagli uffici del personale. Agli occhi
dei più infatti, le valutazioni dei dipendenti ben di rado portavano alla realizzazione
di alcunché, non avevano relazione con i problemi più scottanti della gestione
aziendale e portavano alla luce troppi problemi interpersonali che in precedenza
rimanevano latenti.
Attualmente sono sempre più numerose le organizzazioni che progettano sistemi di
valutazione considerandoli come tipici ed importanti mezzi di cambiamento. Un
efficace modo di affrontarli comporta il coinvolgimento di tutti i livelli di gestione
dell’organizzazione, dal più alto al più basso, e questo coinvolgimento esige un
processo di progettazione che da una parte fa progredire la direzione strategica di
base dell’organizzazione e dall’altra tiene conto delle esigenze dei dipendenti. Non
può esistere un approccio diverso se si vuole che i sistemi della valutazione abbiano
un peso significativo per la gestione aziendale e siano d’utilità per i dipendenti.
In appendice infine, un’intervista al dott. Andrea Giussani, Direttore Centrale
Personale, Organizzazione e Sicurezza in Aurora Assicurazioni, per un
approfondimento sui temi trattati attraverso critiche ed esperienze dirette.
9
Introduzione.
Le organizzazioni sono difficili da vedere. Noi vediamo ciò che di esse affiora,
come un edificio, un terminale o un impiegato amichevole, ma l’organizzazione nel
suo complesso è vaga e astratta e può essere distribuita in diversi luoghi. In ogni
caso l’elemento chiave di un’organizzazione non è un edificio o un insieme di
politiche e procedure, le organizzazioni sono fatte dalle persone e dalle loro
reciproche relazioni (Daft, R.L. 2004); un’organizzazione esiste, quando le persone
interagiscono le une con le altre nell’esercizio di funzioni che aiutano a conseguire
degli obiettivi. Da tempo le tendenze nel management riconoscono l’importanza
delle persone, ovvero delle risorse umane e gli approcci più recenti sono concepiti
per potenziare i lavoratori, fornendo loro maggiori opportunità per apprendere e
contribuire mentre lavorano insieme in vista di un obiettivo comune.
La centralità delle risorse umane è ormai quindi generalmente riconosciuta. Prima
che il concetto si deteriori e passi nell’archivio delle espressioni abusate, retoriche e
quindi prive di significato però, è necessario precisarne la valenza operativa ed
individuarne i tratti che possono caratterizzare soluzioni tecniche e gestionali
congruenti attraverso un’argomentazione un po’ inusuale.
Per spiegare ad un’altra persona le nostre sensazioni o per descriverle un’esperienza
che lei non ha vissuto, ci viene naturale fare un paragone fra ciò che abbiamo
provato e qualcosa che il nostro interlocutore già conosce, in modo che capisca
immediatamente ciò di cui stiamo parlando. In altre parole, noi non possiamo
conoscere il mondo intero direttamente, ma riusciamo ad esperirlo solo attraverso
una griglia di concetti che lo schiudono come “nostro” mondo; le metafore per
esempio servono proprio ad organizzare la nostra conoscenza e a renderla
accessibile agli altri.
Anche per comprendere a pieno il mondo della gestione delle risorse umane e le
sfide e le difficoltà dello sviluppo del personale si può ricorrere ad una metafora: è
sufficiente pensare alla situazione attuale delle aziende come a quella di un malato
di una malattia strana, di quelle malattie un po’ esotiche che a volte non sono
neppure riportate in appendice dei più importanti trattati di medicina. Basta pensare
a consulenti, formatori e direttori come luminari della scienza medica che si
affaccendano intorno al malato provando ora questo, ora quel farmaco, ottenendo
10
alcuni risultati, ma lo stesso sempre poco soddisfacenti rispetto allo stato di salute
che il malato si augura di ottenere. In questo quadro una buona e consapevole
attenzione delle problematiche inerenti la gestione del personale, quali la gestione
del potenziale e il percorso di carriera o una buona progettazione di un piano di
sviluppo e formazione, sono una sorta di medicina omeopatica, di medicina
alternativa, che non promette al malato la guarigione totale ed istantanea da tutti i
suoi mali, ma gli garantisce la soluzione certa per alcuni malesseri ed un po’ di
tregua dagli affanni, per guardare alla soluzione degli altri mali con una mente più
lucida e serena.
Continuando con la metafora, la prima cosa che deve fare il nostro medico
omeopata avvicinandosi al malato-azienda è fare una diagnosi dei suoi malanni.
Forse la causa prima degli acciacchi si può trovare in quel giorno in cui qualcuno si
è accorto che la metafora fino ad allora usata per spiegare e capire la struttura delle
organizzazioni, ossia la metafora della piramide, in verità non rispondeva più alla
realtà dell’azienda, che si stava organizzando secondo logiche ben diverse. Fino a
quel momento, infatti, l’organizzazione aziendale era stata paragonata ad una
macchina, ad un motore, ad un meccanismo ben oliato oppure ad un orologio, tutte
immagini che ben lasciano intendere la fiducia incondizionata che si nutriva sulle
possibilità di controllo esterno dell’uomo. Tutto poteva essere previsto, pianificato,
controllato, tutto si poteva risolvere attraverso la gerarchia, ogni lavoratore era
incasellato nell’organigramma ed aveva un suo compito e delle sue mansioni, chi
dirigeva doveva solo controllare che ognuno facesse il suo dovere ed impartire gli
ordini necessari.
Tramontata l’era della produzione di massa, le organizzazioni sono state attaccate
da un virus pericoloso e nocivo: la complessità. Niente, adesso sembra più
spiegabile, pianificabile, prevedibile, quantificabile. L’incertezza sembra regnare
sovrana. Secondo la teoria del caos le relazioni in sistemi complessi sono non
lineari e costituite da numerose interconnessioni e scelte divergenti che creano
effetti non desiderati e rendono l’universo imprevedibile. Per fronteggiare questo
stato di cose, si è incominciato a paragonare l’organizzazione ad un sistema,
tentando così di darne un’immagine unificante ed allo stesso tempo multiforme,
11
cioè di insieme di parti interrelate che funzionano come elementi di un tutto unico,
quale appunto la definizione di sistema nelle scienze biologiche e matematiche.
Presto gli studiosi hanno cominciato a pensare alle organizzazioni come a sistemi
aperti, che non solo subiscono gli influssi ambientali, ma modificano anche
l’ambiente in cui operano, arrivando persino a costruirsene uno a loro congeniale.
Ma ad un livello di analisi superiore, si è presto capito che anche l’ambiente è un
sistema composto di sottosistemi, i quali a loro volta interagiscono con il
sottosistema impresa, che a sua volta è formata da tanti sottosistemi almeno quante
sono le sue divisioni. Un complesso gioco ad incastri che inizialmente sembrava
riportare un po’ di chiarezza, ma ha finito per confondere ancora di più le acque.
Parallelamente, si è cercato di riconfigurare la struttura piramidale, disegnandola
più piatta, più snella, fatta come una rete, trasparente come un tubo di cristallo, ma
più le aziende sono state sottoposte a ristrutturazioni, tagli, accorpamenti e scorpori,
immissioni e dismissioni, meno si riusciva a contenerne la complessità, anzi, alla
fine alcune ristrutturazioni hanno sortito proprio l’effetto contrario: le nuove
procedure introdotte semplificavano il problema per il quale erano state pensate, ma
ne creavano diversi in altre parti dell’azienda. Solo per citare alcuni esempi
concreti, si può pensare a quante aziende sono state ripensate e riorganizzate per
processi al fine di far fronte a mercati sempre più complessi, con il deludente
risultato che le persone finiscono con il concentrarsi più sull’operatività che non
sulla logica che governa il sistema e a lavorare ancora come tante unità a sé stanti; o
ancora, tempo fa si vantavano i benefici della struttura a matrice per le
organizzazioni che lavoravano prevalentemente per progetti, dimenticando però che
i progetti vanno anche monitorati e supportati nel tempo.
Un altro risultato che le ristrutturazioni hanno portato con loro è stato il
cambiamento improvviso di ruoli e responsabilità. Se, infatti, appiattire la struttura
ha portato a risolvere uno dei più grandi mali della gerarchia, ovvero l’eccesso di
burocrazia, d’altro canto non sempre questo ha avuto come conseguenza un
effettivo miglioramento del lavoro. Posizioni che prima facevano capo a più
persone ora si trovano accorpate in un’unica figura. Sempre più spesso le persone
devono cambiare così tanti settori in così poco tempo all’interno dell’azienda da
12
non riuscire a consolidare nessun loro sapere professionale, né nessuna azione
concreta sul business che stanno trattando.
Quanto affermato non vuole essere una critica, ma uno stimolo a domandarsi se non
è opportuno fermarsi un secondo a riflettere su cosa non ha funzionato degli sforzi
fatti. Probabilmente il campo dell’analisi organizzativa e di conseguenza quello
della consulenza e dello sviluppo e formazione si è arricchito di una molteplicità di
linguaggi, immagini, possibili soluzioni, che invece di semplificarne la complessità
hanno contribuito ad alimentarla. Inoltre si sta assistendo ad un progressivo
scollamento fra linguaggio usato dagli studiosi negli articoli sulle organizzazioni e
linguaggio usato all’interno delle organizzazioni stesse.
Il problema però è sempre lo stesso ed è necessario interrogarsi per capire chi o che
cosa è il portatore sano di questo malessere aziendale. Una risposta plausibile e
sempre più adottata e confermata è l’uomo.
Se si vuole curare la malattia del sistema organico-azienda, è bene partire dalle sue
cellule, dalle persone che ogni giorno lavorano in essa, interrogandosi su quali sono
i loro bisogni, sul perché siano sempre più frustati, insoddisfatti, alienati,
disincantati di fronte all’universo aziendale. Se le organizzazioni sono diventate
sistemi complessi, dove per comprensione non si intende operare una
semplificazione della realtà, ma “lasciarsi coinvolgere nella rete delle relazioni”
1
(Calvino, I. 1988), bisogna tentare di comprenderle. Le relazioni fra esseri umani
sono fondamentali per la sopravvivenza non solo delle organizzazioni, ma anche
della nostra società. A questo punto diventa necessario iniziare a considerare le
organizzazioni non tanto dal punto di vista del governo delle relazioni fra
meccanismi operativi, ma da quello delle relazioni fra uomini. La struttura dei
rapporti sociali ci può dare un’idea di quali siano i veri legami che regolano le sorti
dell’azienda, come in una sorta di organigramma virtuale. Ormai appare sempre più
evidente che, in un contesto economico sempre più complesso e competitivo,
occorre disporre tanto della buona organizzazione quanto delle persone adeguate a
farla funzionare. Le organizzazioni che vinceranno le sfide di questi anni sono
1
Nel testo del celebre autore italiano rivolto a nuovi scrittori, sono contenute riflessioni molto utili
per chiunque sia alle prese a fronteggiare la complessità dei nostri tempi. I requisiti che Calvino
propone (leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità) dovrebbero informare non solo
l’attività degli scrittori, ma anche quella di chi progetta la struttura di un’organizzazione.
13
quelle che sapranno liberare il potenziale di cui dispongono, le persone, i metodi, i
sistemi e i processi, ovvero gli elementi che costituiscono il progetto organizzativo
complessivo.
Molti commentatori europei concordano pienamente sul fatto che quello che ci
attende saranno anni molto impegnativi e difficili per le organizzazioni, si
prevedono infatti cambiamenti ancora più rapidi di quelli in atto in questi tempi già
così turbolenti, dove la competizione odierna sembrerà un gioco da ragazzi rispetto
alla battaglia mondiale per la conquista del cliente che si dovrà combattere nel
prossimo futuro.
Le organizzazioni saranno sempre più piatte, i tradizionali rapporti gerarchici
saranno costituiti da reti di empowered teams, cioè team dotati di maggiore
autonomia; le informazioni saranno comunicate a tutti e non più custodite nei
segreti forzieri del vertice strategico dell’organizzazione, le carriere diventeranno
sempre più una successione di differenti incarichi piuttosto che una successione di
qualifiche formali viste semplicemente come gradini della scala gerarchica sulla
quale arrampicarsi. L’organizzazione di successo sarà costruita sulle persone, si
punterà sempre meno sulle mansioni, viste come mattoni. Questo comporta una
crescente attenzione alla competenza del personale, utilizzare le persone come
cellule dell’organizzazione significa costruire le organizzazioni sul contributo
personale e specifico di ciascun collaboratore, ovvero sulla sua competenza. In
questa prospettiva è necessario avere una visione più chiara delle forze e debolezze
effettive del personale per potere sfruttare pienamente tutte le opportunità e attuare
una gestione dei dipendenti integrata e basata sulla chiara nozione della competenza
necessaria per il successo dei ruoli, invece che dei compiti nelle mansioni.
In questo momento di generalizzata difficoltà per le imprese quindi, la centralità
delle risorse umane va interpretata attraverso il vettore della performance, vettore
che conduce al vantaggio competitivo, che produce e alimenta le differenze
strategiche.
Cercando di ordinare i fattori che compongono il vettore della performance, al
primo punto troviamo proprio la costituzione delle competenze, che coinvolge una
varietà di soggetti: le famiglie, le scuole, gli ambienti nazionali oltre che le imprese
e gli stessi individui. Le competenze non sono un dato di natura, ma l’esito di un
14
processo di apprendimento continuamente mutevole. Esse devono essere scoperte,
stimolate, indirizzate, conservate e difese dall’obsolescenza. I corrispondenti
meccanismi utilizzabili dalle imprese sono facilmente individuabili: alcuni
riguardano tradizionali strumentazioni della gestione delle risorse umane, che
comunque devono essere rinnovate nei loro contenuti, come la selezione, la
formazione, lo sviluppo, altri riguardano strumentazioni di tipo trasversale, come la
gestione di un rapporto attivo con i mercati esterni e interni del lavoro e la
comunicazione.
L’esistenza di competenze all’interno e all’esterno dell’impresa costituisce una
semplice potenzialità e non significa ancora che esse possono essere utilmente
impiegate e valorizzate, è necessario entrare in relazione. La relazione (secondo
componente del vettore della performance) comprende la definizione del contratto
in senso tecnico-giuridico, ma anche in senso psicologico e organizzativo. Le
imprese devono imparare a gestire una pluralità di relazioni con le risorse umane e
quindi con le competenze. Gli ultimi anni sono stati caratterizzati da una grande
differenziazione delle tipologie di risorse umane da considerare nella gestione e,
conseguentemente, delle relazioni più appropriate per entrare in rapporto. Le
relazioni ora non sono più riconducibili al solo contratto di lavoro subordinato, ma
anche ai numerosi contratti a tempo determinato esplosi negli ultimi anni; la
gestione del personale non subordinato sarà proprio una delle grandi sfide dei
prossimi anni.
Oltre al tipo di relazione risulta fondamentale la qualità della stessa. Un’elevata
qualità della relazione può sopperire a un meno elevato livello di competenze
individuali e conferire all’insieme dell’impresa una notevole competenza (come è
dimostrato da una miriade di piccole e medie imprese che hanno dimostrato
eccezionali capacità di sviluppo valorizzando le limitate risorse umane disponibili).
Per contro, elevate competenze individuali associate ad una relazione debole danno
luogo ad una scadente competenza aziendale, come è dimostrato dal declino di
alcune grandi imprese, un tempo considerate eccellenti. La gestione delle relazioni
(commitment, empowerment) è esattamente il nuovo campo da esplorare nella
gestione delle risorse umane. Individuate le competenze, costituite le relazioni,
resta da gestire l’erogazione della prestazione (terzo elemento del vettore).
15
L’approccio delle competenze rischia di trascurare il fatto che talune potenzialità
devono comunque tradursi in risultati, visto che i riscontri di bilancio non possono
attendere un lungo periodo per concretizzarsi. Rispetto alle tradizionali tecniche di
valutazione delle performance o di realizzazione degli obiettivi, l’accento va messo
sulle performance integrate, trovando di volta in volta il livello di aggregazione
delle unità di misura. Senza dimenticare che la valutazione della prestazione va
vista soprattutto come un processo di apprendimento.
Alla fine, vero e proprio momento della verità, si colloca il quarto elemento del
vettore, la valorizzazione delle prestazioni, che per l’impresa significa l’incontro
con il mercato, e quindi con il cliente, e per la singola risorsa umana significa la
riscossione del premio, sia nella sua espressione monetaria, sia nella sua
espressione psicologica.
Un management delle risorse umane basato sulla competenza infine, garantisce
all’organizzazione di avere manager adatti per guidarla, assicura che i dipendenti
sappiano che cosa debbano fare con tutte le informazioni che ricevono e certifica in
maniera strutturata e attenta la competenza necessaria per il successo dell’azienda.
Il concetto che le competenze diventano un veicolo di comunicazione sui valori
dell’organizzazione induce a concludere che un approccio di gestione integrata
delle risorse umane contribuisce anche a realizzare una cultura aziendale nella
quale sono apprezzati lo spirito d’iniziativa e il rischio calcolato.
I modelli di competenza ed una serie di applicazioni integrate nei processi di
selezione, di pianificazione delle carriere e di sviluppo e nei sistemi retributivi e di
gestione delle performance possono contribuire a far ottenere il massimo nelle
organizzazioni e soprattutto dalle persone.