5
Introduzione
Che lingua parla la “seconda Repubblica”? A questa e ad altre
domande si è cercato di rispondere con questa tesi. A tal fine
sono stati considerati i cambiamenti più importanti subìti dalla
politica e dalla comunicazione negli ultimi decenni: facendo
partire l‟analisi dal 1992, anno in cui il sistema della “prima
Repubblica” inizia a scricchiolare sotto i colpi dell‟indagine
“Mani pulite” (1.1), si può notare come sia l‟agire che
l‟interagire politico cambiano radicalmente. Nell‟analisi che
segue, in particolare, è stato messo in evidenza il ruolo decisivo
che la comunicazione ha assunto nel nuovo sistema politico:
con le parole di Desideri, si può affermare che “alla vecchia
formula della „centralità politica delle comunicazioni di
massa‟, tipica della concezione sociopolitica dominante nei
primi anni Settanta, si è progressivamente sostituita, verso la
fine del secolo scorso, quella della „centralità comunicativa
dell‟agire politico‟, più rispondente alla matrice sociosemiotica
dei processi informativi connessi al sistema politico”
1
. Si
assiste, difatti, a un ribaltamento nel rapporto politica-
comunicazione: se, nell‟arco dei 50 anni della “prima
Repubblica”, è la comunicazione a “servirsi” della politica, dal
1992 in poi, è la politica ad usare lo strumento della
comunicazione. Alla base di questa “inversione” si riscontrano
delle cause di natura sia politica che comunicazionale (1.2).
Con la caduta del sistema della “prima Repubblica”, segnato
dal dominio partitico dei tradizionali Dc, Pc e Psi, si instaura
in Italia un sistema elettorale maggioritario (decretato dalla
riforma della legge elettorale, la cosiddetta “Mattarellum”)
1
P. Desideri, La comunicazione politica: dinamiche linguistiche e processi
discorsivi, in S. Gensini (a cura di), Fare comunicazione, Carocci, Roma,
2006, p. 165.
6
finalizzato a ridurre l‟eccessiva frammentazione delle forze
politiche presenti in Parlamento. La nuova legge, approvata
con l‟obbiettivo di garantire allo Stato una gestione più stabile
e duratura, prevede, inoltre, la divisione del territorio in collegi
uninominali, per cui viene eletto nel seggio chi ottiene la
maggioranza relativa dei suffragi. Con questa impostazione,
definita in senso personalistico, l‟approccio dei partiti nei
confronti dei cittadini-elettori cambia: essi, difatti, lasciandosi
alle spalle l‟ideologia, fanno confluire le loro idee, oltre che la
rappresentanza, in una sola persona. Quest‟ultima diventa, così,
“corpo” e “anima” di un gruppo svuotato della sua base storica:
presentandosi come personaggio “nuovo”, il leader di partito,
che necessariamente non è un “politicante di mestiere”, si
colloca al centro di ogni discorso. E lo fa presentandosi
all‟uditorio e con le sue idee politiche ma, soprattutto, con il
“bagaglio” di caratteristiche extra-politiche: mi riferisco, in
particolare, a quella propensione degli esponenti ad apparire al
pubblico elettore nelle vesti di uomini impegnati in vari
contesti (imprenditoria, giornalismo, spettacolo).
Ciò avviene anche grazie al crescente interesse della
televisione per la politica: la cosiddetta mediatizzazione (1.4),
difatti, contribuisce a creare i “personaggi” politici. Questi
ultimi, a causa della ripetuta presenza nell‟arena televisiva del
talk-show, si con-fondono con le star dello spettacolo. Tale
“invasione” della politica in televisione è garantita anche
dall‟elevato grado di adattabilità dei personaggi ai format
trasmessi: alcuni attori politici, infatti, riescono a persuadere il
telespettatore-elettore utilizzando strategie argomentative
attinte dalla pubblicità e dal marketing. Per tutto il corso degli
anni Novanta, quindi, si assiste a una “rivoluzione” nel
rapporto politico-cittadino: dalla piazza, luogo “sacro”
dell‟interazione politica, si passa al non-luogo televisivo; dal
comizio, complesso e articolato, si passa allo spot, breve e
7
immediato per natura; dal discorso tecnico, “asciutto” e
lineare, si passa al discorso emotivizzante, caratterizzato cioè
da formule linguistiche patetiche e colorite.
Con la mediatizzazione della politica, in realtà, è l‟intero
sistema mass-mediale italiano a essere stravolto: anche la radio
e la stampa generalista, difatti, sono costretti a mutare sia per
quanto riguarda lo spazio concesso alla politica sia per quanto
riguarda l‟organizzazione giornalistica vera e propria. In
riferimento a quest‟ultima, a titolo d‟esempio, si può ricordare
la scelta, risalente al 1995-1996, di gran parte dei quotidiani
italiani di utilizzare le immagini a colore: il bianco e il nero
vengono sostituiti dai colori, quegli stessi colori dominanti in
tv
2
.
I tre processi sopra elencati (leaderismo, personalizzazione e
mediatizzazione) rappresentano la cornice dentro la quale si
inscrivono i cambiamenti più importanti subìti dalla politica.
Queste trasformazioni hanno interessato tre piani differenti: il
lessico, l‟argomentazione e lo stile dei politici. A ognuno di
questi livelli è stata dedicata, in questa ricerca, un‟attenzione
particolare: è, difatti, dal loro intreccio che si possono delineare
le caratteristiche del nuovo linguaggio.
Il lessico muta e si adatta ai principi che sono alla base del
sistema politico: esso, presentandosi come “nuovo”, si oppone
a quello che, con un efficace neologismo, è stato definito
“politichese”. A quest‟ultimo gli esponenti della “seconda
Repubblica” preferiscono il “gentese”: con questa etichetta
s‟intende un linguaggio fatto di formule semplici,
comprensibili e facilmente riconoscibili. Il passaggio dal
“politichese” al “gentese” (1.5) è un processo che, in verità,
inizia già alla fine degli anni Ottanta. Esso, tuttavia, si realizza
completamente solo nel corso degli anni Novanta e risponde
2
Cfr. M. Loporcaro, Cattive notizie. La retorica senza lumi dei mass media
italiani, Feltrinelli editore, Milano, 2005.
8
alla chiara esigenza degli oratori politici di rendere trasparente
e accessibile il contenuto del discorso.
La semplificazione (capitolo 2) è parte centrale dello
stravolgimento dell‟impianto retorico-linguistico: alla base di
ogni argomentazione politica si riscontra, infatti, una riduzione
in “pillole” di temi che, invece, richiederebbero una trattazione
più articolata. Tutto, al contrario, diventa fruibile e il
linguaggio politico, osteggiato per i tratti “oscuri” mostrati nei
decenni precedenti, perde l‟aura di linguaggio elitario,
compreso da un target di destinatari molto ristretto.
Tale semplificazione se, da un lato, permette ai cittadini di
partecipare, di informarsi e di interagire direttamente con gli
esponenti, dall‟altro nasconde la chiara intenzione dell‟oratore
di persuadere un uditorio al quale viene tolta la possibilità di
apprendere il contenuto politico dei messaggi trasmessi. Il
linguaggio semplice e stereotipato della “seconda Repubblica”
muta in un “semplicismo” banalizzante, svuotato della sua
essenza costitutiva. In questo processo di impoverimento
dell‟argomentazione, alcuni espedienti retorici risultano
funzionali: mi riferisco, in particolare, all‟importanza assunta
dalla metafora e dalla similitudine che, difatti, dominano il
nuovo vocabolario. È soprattutto per l‟uso reiterato della
metafora che il discorso politico si riduce ad un‟analisi
superficiale, lontana dal carattere di scientificità che
l‟argomentazione richiederebbe: si può affermare, a ragione,
che la comunicazione politica diventa una propaganda
continua.
Del processo di semplificazione retorico-linguistica sono stati
messi in evidenza i numerosi colloquialismi del gergo politico
(2.1). Quest‟ultimo, infatti, si è arricchito di forme colloquiali,
popolari, attinte da diversi ambiti linguistici. Hanno contribuito
all‟ampliamento del vocabolario le già citate metafore e gli
ìconimi (2.2), che servono, come si è detto, a colorire un
9
linguaggio considerato troppo arido e asciutto. A tal proposito,
è importante sottolineare come l‟uso di queste forme della
semplificazione non ha interessato esclusivamente l‟ambiente
politico, ma ha trovato terreno fertile anche nei mass-media.
Questi, infatti, alimentando una trasformazione iniziata a
partire dagli anni Ottanta, mostrano una propensione a
“svecchiare” il proprio stile, a renderlo “brillante”
3
. La scelta
dei quotidiani, in particolare, di utilizzare un linguaggio
“nuovo” per raccontare la “nuova” politica si è dimostrata,
tuttavia, sbagliata: l‟informazione ha conosciuto, infatti, derive
semplicistiche che riducono l‟efficacia della trasmissione delle
notizie. All‟interno del “contenitore” della semplificazione,
sono entrate di diritto le degenerazioni che la lingua ha subìto
nel corso degli anni: gli “abusi” della parola hanno assunto la
forma del turpiloquio e dell‟umorismo (2.3). Cercando di fare
ordine nell‟ampio materiale fornito, quotidianamente, dai
politici, sono stati delineati i caratteri linguistici di queste due
forme della semplificazione. Esse risultano funzionali a
determinati discorsi politici (e a determinati attori politici), che
vengono costruiti tenendo conto del target di riferimento. Le
formule volgari e scherzose, molto spesso, servono a
riaffermare i tratti distintivi del personaggio politico, a ribadire
l‟identità costruita nel corso del tempo. Dal punto di vista
retorico, inoltre, esse sono utili a rendere più leggero un
discorso che, di natura, è impegnativo per l‟uditorio. In questo
modo, considerando tutti i tratti della semplificazione sopra
elencati, l‟argomentazione risulta più ascoltabile. Sul versante
linguistico, invece, battute e parolacce conferiscono al
messaggio la chiarezza e l‟immediatezza necessarie: senza
lunghi giri di parole, il politico racchiude, in una formula o in
uno slogan, il suo pensiero, generando spesso ilarità
nell‟uditorio. In altri casi, questi espedienti vengono adoperati
3
Ibidem.
10
dall‟oratore per costruire un‟invettiva contro un avversario
politico, per canzonarlo o metterlo in ridicolo.
Seguendo gli spunti forniti dagli usi che gli esponenti politici
fanno di turpiloquio e umorismo, l‟analisi si concentra sugli
schemi argomentativi dei leader della “seconda Repubblica”
(2.4). Dall‟ampia e variegata gamma di esempi, sono stati
pescati i casi più caratteristici. Essi sono stati esaminati
seguendo la categorizzazione fatta da Paola Desideri
4
. Sull‟asse
fornito dalla studiosa, sono stati disposti i personaggi politici
che ricorrono agli schemi argomentativi al fine di dare
all‟uditorio una chiave di lettura per interpretare il discorso.
Evidenti, in alcuni circostanze, nascosti, in altre, gli schemi
argomentativi si ripetono con costanza e, anzi, spesso
caratterizzano lo stile del personaggio politico.
Allo stile (capitolo 3) è stata riservata una particolare
attenzione, poiché vi si condensano tutte le caratteristiche
esibite dal politico che si trova sulla “scena” pubblica.
L‟importanza dello stile (3.1), inteso nel senso esteso del
termine (caratteristiche linguistiche, vestimentarie e
comportamentali), è stata riconosciuta già dai primi studiosi
della retorica: mi riferisco, in particolare, ad Alcidamante, ad
Anassimene e soprattutto ad Aristotele. Partendo dalle
riflessioni di quest‟ultimo si è cercato di valutare il peso che, in
politica, assume la “costruzione” del personaggio. Sono stati
scelti, in proposito, tre esponenti della “seconda Repubblica”
che, nel corso degli ultimi anni, hanno costruito la propria
immagine attorno ad elementi di immediata riconoscibilità.
Sono stati perciò presi in esame il linguaggio “religioso” di
Silvio Berlusconi, il linguaggio “rustico-popolare” di Antonio
Di Pietro e, infine, quello “poetico” di Nichi Vendola.
4
P. Desideri, La comunicazione politica: dinamiche linguistiche e processi
discorsivi.