8
Guerra Fredda, e molte sono le disparità ancora presenti nella distribuzione
dei beni, come anche le differenze che riguardano le condizioni sociali ed
economiche fra i Paesi che possiedono un grado d’industrializzazione più
elevato e quelli invece che stanno ancora attraversando la fase dello
sviluppo, i contrasti appunto tra Nord e Sud del mondo.
La crescente importanza assunta dai diritti umani nel diritto internazionale
inoltre è un fenomeno relativamente recente, che si può far risalire con
l’entrata in vigore proprio della Carta delle Nazioni Unite nel 1945.
Precedentemente a questa data nella realtà del diritto internazionale e delle
relazioni internazionali non si faceva menzione né di individuo né di
popolo. In effetti, nel periodo intercorso tra la pace di Westfalia del 1648
(avvenimento che per molti giuristi ha segnato convenzionalmente la
nascita del diritto internazionale) e la fine del XIX secolo, soggetti di
questo diritto venivano considerati solo gli Stati.
1.1.1 Le tre generazioni di diritti
Attraverso l’evoluzione storica dei diritti umani, tre aspetti dell’esistenza
umana sono stati primariamente salvaguardati: l’integrità umana, la libertà
e l’eguaglianza. Assiomatico a questi tre aspetti è il rispetto della dignità di
ogni essere umano. Essi sono maturati all’inizio in idealistiche asserzioni e
in vaghi principi per poi divenire il sistema normativo che conosciamo
oggi.
E' diffusa l'opinione che si sia assistito all’evolvere dei diritti umani, lungo
i secoli e attraverso le varie tradizioni, attraverso tre grandi generazioni di
diritti.
La prima ha avuto come obiettivo appunto il riconoscimento dei diritti
politici e civili, i quali sono stati i primi a essere incorporati nelle
9
Costituzioni nazionali con il compito di arginare l’azione dello Stato nei
confronti della sfera privata del cittadino. Sono questi i temi che hanno
caratterizzato i movimenti liberali dell’Occidente e che hanno permesso
l’emergere dei diritti della libertà di parola, di libertà confessionale, della
libertà di stampa e del diritto di associazione.
La seconda generazione di diritti è di matrice socialista ed è stata
contrapposta alla prima nella misura in cui ha enfatizzato quei diritti sociali
ed economici (diritto al lavoro, diritto alla cura della salute e alla sicurezza
sociale) che poi troveranno una prima concretizzazione solo nel Patto
internazionale sui diritti economici, sociali e culturali del 1966 e saranno a
fondamento della concezione contemporanea di responsabilità dello Stato
nei confronti dei cittadino, il cosiddetto Welfare State.
La terza generazione dei diritti umani infine ha alla base l’idea che alcuni
gruppi, come le minoranze, i popoli indigeni, i popoli coloniali, le donne, e
i bambini, abbiano diritti collettivi come l’autodeterminazione, la
protezione delle proprie peculiarità culturali e lo sviluppo sociale ed
economico. Inoltre sono stati compiuti dei progressi nel riconoscimento
unanime nei confronti del diritto a un ambiento sicuro, alla pace, alla
democrazia e allo sviluppo (quest’ultimo sviluppato in occasione della
Conferenza Mondiale sui diritti umani a Vienna nel 1993).
Tuttavia i principi di interdipendenza, indivisibilità e indissociabilità dei
diritti umani faticano ancora oggi a essere recepiti. Il tema dei diritti
sociali è un punto controverso sia dal punto di vista della dottrina giuridica,
sia nella discussione filosofica-politica. Da molte parti è stato dato maggior
risalto e considerazione ai diritti civili e politici (cioè ai diritti sui quali
poggia la tradizione dello Stato democratico, come la libertà di espressione,
di pensiero, di religione, di voto), ma l’essere umano ha anche un’altra
10
dimensione, che è quella fisica. È impossibile immaginare un uomo libero,
capace di poter esprimere liberamente il proprio pensiero, di non venire
accusato ingiustamente, di non correre il rischio di essere torturato, ma che
è analfabeta, è costretto a mendicare o a prostituirsi per non morire di fame,
è ammalato e vive sulla strada. È questo il paradosso che purtroppo si
evince, come vedremo, dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani
del 1948. Certo i diritti economici, sociali e culturali sono riconosciuti in
essa, e in molteplici forme. A essi si riferiscono gli articoli 22-27 della
Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, che li considera
“indispensabili per la dignità dell’individuo e per il libero sviluppo della
sua personalità” (art. 22); inoltre ai diritti sociali è dedicato anche il Patto
internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali. Sembrerebbe
addirittura che il panorama dei diritti umani riconosciuti
internazionalmente, anche se migliorabile, sia vastissimo e potrebbe
facilmente consentire una vita dignitosa a tutti gli esseri umani. Tuttavia
l’inserimento dei diritti sociali all’interno della categoria dei diritti umani,
va incontro a un ostacolo non facilmente risolvibile: la debolezza degli
strumenti a disposizione per la loro tutela. E' mancata la volontà politica di
osservare le regole create e di istituire dei meccanismi di controllo capaci
di prevedere e sanzionare i comportamenti non conformi. Meccanismo che
nel campo dei diritti civili e politici invece esiste. È stato creato dallo stesso
Patto internazionale sui diritti civili e politici che, all’articolo 28 prevede la
costituzione di un Comitato dei diritti umani, con il compito di esaminare i
rapporti degli Stati, le denunce sia Stato contro Stato che individuali
(previste dal Protocollo facoltativo) e interpretare il Patto mediante la
formulazione di General comments, documenti che specifichino e
approfondiscano alcuni diritti riconosciuti e non dal Patto stesso.
11
1.1.2 Diritti universali
Numerosi sono stati i tentativi di formulare una lista di questo genere. La
maggior parte degli autori concorda su una base di diritti e libertà
indispensabili, che hanno a che vedere con la protezione degli individui dal
potere coercitivo dello Stato e con le garanzie fondamentali della capacità
stessa di avere diritti (il riconoscimento di una persona, la personalità e la
parità giuridiche), mentre alcuni diritti possono essere discussi e definiti
con riguardo alle culture.
Se consideriamo le possibili liste minime di diritti, due sono le premesse
filosofiche cruciali che dovrebbero essere universalmente adottate: il
principio di libertà (ovvero la necessaria esistenza di limiti dello Stato
rispetto alla libertà individuale) e il principio di eguaglianza ( ovvero che la
libertà spetta a tutti senza discriminazione da parte dello Stato). Correlati a
questi ve ne sono molti altri: il diritto alla vita, alla libertà di pensiero e
d’espressione, il diritto di partecipare al governo del proprio Paese (sia
direttamente, sia attraverso rappresentanti liberamente scelti) eccetera. Si
tratta dei cosiddetti diritti civili e politici, o “libertà negative”, poiché
corrispondenti a un non fare da parte dello Stato e dei pubblici poteri.
Secondo questa distinzione di tipo classico, i diritti sociali attribuirebbero
agli individui non solo la facoltà, ma anche il potere di fare. In concreto,
essi attribuirebbero all’individuo la “libertà sostanziale” di rendere concrete
le astratte possibilità garantite dalla pura e semplice “libertà formale”.2
2
F. Sbarberi, L'utopia della libertà eguale. Il liberalismo sociale da Rosselli a Bobbio, Bollati
Boringhieri, Torino, 1999, pag.72
12
Collegati quindi con il principio di eguaglianza, ma in senso sostanziale
(cioè diretti al soddisfacimento dei bisogni, in assenza del quale molte
persone non sarebbero in grado di esercitare i diritti civili), e definiti anche
come “diritti a prestazioni”, i diritti sociali non hanno tuttavia quel carattere
di universalità che è tipico dei diritti di libertà e di quelli politici.
Una prima osservazione da fare, riguardo al concetto di diritti sociali, è che
esso, come ha osservato Bobbio, si riferisce: “all’insieme delle pretese o
esigenze da cui derivano legittime aspettative, che i cittadini hanno, non
come individui singoli, uno indipendente dall’altro, ma come individui
sociali che vivono, e non possono non vivere, in società con altri
individui”.3 Si tratta di diritti della persona concreta e situata in un
determinato contesto. I diritti sociali non sono diritti di tutti poiché tengono
conto delle differenti condizioni dalle quali dipende il bisogno di
protezione; istituiscono a favore dei loro titolari l’aspettativa di una
prestazione, che può essere realizzata attraverso l’intervento pubblico
diretto, o attraverso l’attività dei privati, sempre che ciò ne consenta
l’effettiva soddisfazione. La dimensione sociale a cui si riferisce Bobbio,
rimanda infine a un’altra caratteristica dei diritti sociali, e cioè alla
necessità che il loro riconoscimento sia garantito dall’intervento positivo
dei poteri pubblici. In questo senso, qualificandosi come diritti che
necessitano dell’intervento dei poteri pubblici per essere effettivamente
goduti, (da qui, la qualifica di “diritti a prestazioni”), essi si differenziano
dai cosiddetti “diritti di libertà”, corrispondenti a un dovere di astensione
da parte dello Stato.
Da un punto di vista storico, i cosiddetti diritti sociali hanno trovato spazio
3
N. Bobbio, Teoria generale della politica, Einaudi, Torino, 2009, pag. 458
13
all’interno delle Costituzioni contemporanee, con l’evoluzione dello Stato
di diritto in Stato sociale. La caratteristica principale dello Stato sociale è di
avere tra i suoi fini fondamentali quello di intervenire nei rapporti sociali
per modificarne gli effetti a favore di determinati individui e gruppi,
superando dunque il modello dello Stato liberale ottocentesco, il cui
carattere principale era il non-interventismo nelle questioni socio-
economiche. Lo Stato sociale sorto dopo la seconda guerra mondiale si è
proposto di intervenire garantendo ai cittadini un reddito minimo,
indipendentemente dal valore di mercato del loro lavoro o del loro
patrimonio, riducendo l’insicurezza sociale, mettendo chiunque in grado di
far fronte a difficili congiunture (come malattia, vecchiaia,
disoccupazione), e garantendo a tutti, senza distinzione di classe né di
reddito, le migliori prestazioni possibili relative a un complesso di servizi
predeterminati. Le garanzie giuridiche a tutela dei fini che lo Stato sociale
intende perseguire, sono costituite appunto dai cosiddetti diritti sociali.
La Costituzione italiana, rispetto ad altre Costituzioni, ha compiuto un salto
qualitativo in quanto, oltre a contenere un dettagliato elenco dei diritti
sociali, ne presuppone una loro giustificazione complessiva che si collega
non solo alla garanzia dei diritti civili e politici ma soprattutto al fine della
rimozione degli ostacoli alla libertà e all’eguaglianza, così da permettere il
pieno sviluppo della persona, affermando un principio di eguaglianza
sostanziale e garantendo una tutela effettiva delle pari libertà (e possibilità)
di tutti i consociati (articolo 3 comma 2).4
I diritti sociali rientrano dunque, a pieno titolo, nella categoria dei diritti
4
Il pieno sviluppo della persona umana può esser considerato quindi come il “principio
supersupremo" della Costituzione e dell'ordinamento italiano (Lombardi Vallauri).
14
fondamentali. Con l’inserimento dei diritti sociali nella categoria dei diritti
fondamentali, i diritti fondamentali sono diventati “indivisibili”, vale a dire
tutti consacrati in Costituzione: risulta, pertanto, superata la
contrapposizione tra diritti di libertà e “diritti a prestazioni”, dalla quale
tradizionalmente si faceva derivare la priorità assiologica dei primi e la
minorità dei secondi. La qualificazione dei diritti sociali come diritti
fondamentali ha avuto dunque conseguenze significative: un diritto
fondamentale può essere limitato solo da un altro diritto di pari rango e nel
bilanciamento prevale su diritti che non godono dello status di diritti
fondamentali.
L’indivisibilità dei diritti fondamentali non impedisce però che sia ancora
necessario distinguere tra quelli “self-executing” (tra i quali si ritiene
rientrino i diritti di libertà) e quelli “condizionati”, nel senso che il loro
soddisfacimento richiede l’intervento dei pubblici poteri; rispetto a questi
viene in evidenza la relazione tra risorse finanziarie disponibili e livello di
protezione dei diritti: relazione che si risolve nel “bilanciamento” tra le
ragioni dei diritti sociali e quelle dell’efficienza economica.
1.1.3 Cenni storici
E’ generalmente riconosciuto che il fulcro dello sviluppo dei diritti umani si
possa ritrovare nel pensiero inglese, francese e americano del
diciassettesimo secolo.
I principi iniziali di questo pensiero e di questa filosofia hanno riguardato
principalmente la necessità di restringere il potere dei sovrani. I filosofi
giusnaturalisti hanno elaborato l’idea che l’uomo in quanto tale abbia dei
15
diritti per natura che nessuno, nemmeno lo Stato, gli può sottrarre. Il padre
del diritto naturale in questa accezione è John Locke, secondo il quale il
vero stato dell’uomo è lo stato naturale, in cui gli uomini sono liberi e
uguali, mentre lo stato civile è una creazione artificiale, che ha lo scopo di
realizzare la libertà e l’uguaglianza naturali. Ed è appunto l'esistenza di
questi “diritti naturali”, ad aver reso “legittima la resistenza di fronte al
tiranno”, come spiega Bobbio riferendosi agli scritti di Locke: “chiunque
nell’autorità ecceda il potere conferitogli dalla legge e faccia uso della
forza che ha al proprio comando per compiere nei confronti del suddito ciò
che la legge non permette […] ci si può opporre a lui come ci si oppone a
un altro qualsiasi che con la forza viola il diritto altrui”.5
Dunque sono stati filosofi dell’Illuminismo come Locke, Hobbes,
Montesquieu e Rousseau, specialisti nel campo delle dottrine sociali e dello
Stato, a elaborare in modo approfondito la teoria dei “diritti naturali”.
Questi ultimi devono essere considerati diritti “anteriori alla società”, legati
alla persona umana, e devono perciò restare fuori della portata del potere
(come è affermato nel “Contratto Sociale” di Jean Jacques Rousseau: “si
tratta dunque di distinguere bene tra diritti rispettivi dei cittadini e del
sovrano, e i doveri che i primi devono adempiere in quanto sudditi, dal
diritto naturale di cui devono godere in qualità di uomini”6). Basandosi
sulla definizione di diritti naturali, questi filosofi si sono battuti in favore
della libertà di pensiero e hanno proposto delle riforme per la divisione dei
poteri e per l’economia di mercato.
Con le Dichiarazioni degli Stati americani e della Rivoluzione francese, i
diritti umani, da nobile esigenza o ideale da perseguire, si affermano come
5
N. Bobbio, Locke e il diritto naturale, Giappichelli, Torino, 1963, pag.277
6
J.J. Rousseau, Il contratto sociale, a cura di Tito Magri, Laterza, Bari, 1997, pag.96
16
l’origine di un vero e proprio sistema di diritti positivi ed effettivi.7
La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789,
realizzata successivamente alla Rivoluzione francese, può certamente
essere considerata uno dei punti di partenza nel riconoscimento di tali diritti
nell’età contemporanea. Sicuramente influenzata dall'esperienza americana,
è stata soprattutto espressione dell'Illuminismo e del pensiero
giusnaturalistico; qui vi troviamo il più alto riconoscimento dell'uomo che,
in quanto cittadino, rivendica i suoi diritti fondamentali nei confronti dello
Stato.
Il fondamento del pensiero liberale è qui chiaramente espresso: ogni essere
umano è il solo padrone di se stesso e possiede dei diritti fondamentali e
inalienabili che derivano dalla sua semplice esistenza, indipendentemente
dalle strutture sociali nelle quali è inserito. La definizione della libertà
individuale è inserita nell’articolo 4: “la libertà consiste nel poter fare tutto
ciò che non nuoce ad altri: così, l’esercizio dei diritti naturali di ogni uomo
ha come limiti soltanto quelli che assicurano agli altri membri della società
il godimento degli stessi diritti. Questi limiti non possono essere
determinati che dalla Legge.”8
Si è arrivati così a definire compiutamente le concezioni di “uomo” e
“società”: il primo è degno di tale nome soltanto se può godere indisturbato
dei suoi beni (diritto di proprietà) e se può realizzarsi liberamente non
essendo oppresso da alcun governo o tiranno.
La società infatti, deve essere composta da individui liberi, eguali tra loro,
sottomessi solo alla Legge, la quale a sua volta deve essere espressione
7
N. Bobbio, L'età dei diritti, pag.24 ss.
8
S. Sileoni, Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, Liberilibri, Macerata, 2008,
pag.5
17
della volontà generale.9
Essa deve necessariamente essere prodotta da istituzioni politiche che
favoriscano le necessarie condizioni di libertà degli individui promuovendo
il bene comune, come ribadito all’art. 12 della stessa Dichiarazione: “La
garanzia dei diritti dell’uomo e del cittadino necessita una forza pubblica:
questa forza è dunque istituita per il vantaggio di tutti e non per l’utilità di
coloro ai quali essa è affidata”.
La Dichiarazione francese e quella americana hanno aperto certamente la
strada verso una nuova visione dell’uomo e della società, forti del loro
valore costituzionale (però ancora sprovvisto di meccanismi di attuazione e
di garanzia dei diritti, che rimangono dunque solo al livello di enunciato e
limitatamente al singolo senza alcuna menzione per quanto riguarda i
gruppi).
Dopo la Grande guerra sono emerse le esigenze di autodeterminazione dei
popoli all’interno degli Stati e di indipendenza dei popoli coloniali, che
lentamente hanno trovato riconoscimento. In tutto il movimento politico e
culturale di quel periodo, che porterà poi, grazie a Wilson, alla creazione
della prima organizzazione internazionale universale, la Società delle
Nazioni, degni di nota sono i programmi di due associazioni molto attive:
la “Pace dal diritto” fondata verso la fine del XIX secolo e animata in
quegli anni dal professor Hyssen, e la “Lega dei diritti dell’uomo”. I loro
programmi sono molto semplici e si articolano in punti, quali il
riconoscimento e l'applicazione più ampia del principio delle nazionalità, e
la costituzione di una libera Società di nazioni pacifiche, risolute a
sottomettere le loro controversie senza alcuna eccezione all’arbitrato e a
9
A. Cassese, I diritti umani oggi, Laterza, Bari, 2009, pag.13 ss.
18
mettere le loro forze al servizio della pace generale.
Da questi e da altri movimenti culturali sono scaturite le idee e le forze che
hanno portato alla condivisione dei famosi “Quattordici punti di Wilson”,
enunciati nel suo discorso al Congresso degli Stati Uniti il 18 gennaio
1918. La Società delle Nazioni però, pur istituita per stabilire un sistema di
pace e di sicurezza mondiale, non si spinge fino ad imporre alcun
riconoscimento alla causa dei diritti umani (anche se il Covenant della
Società delle Nazioni prevede alcune disposizioni riconducibili al rispetto
di questi diritti, per esempio l’abolizione del traffico di donne e bambini, la
prevenzione e il controllo delle malattie, trattamenti equi per i nativi e i
popoli coloniali).
Non è stato quindi prima dei terribili eventi causati dalla Seconda guerra
mondiale che il diritto internazionale dei diritti umani ha potuto trovare
riconoscimento. Le atrocità perpetrate dai nazisti nei confronti della loro
stessa popolazione e di quelle degli Stati occupati, convincono gli Alleati
della necessità di creare un sistema nel quale siano garantiti i diritti umani e
le libertà fondamentali, quali prerequisiti per la creazione di un sistema
politico internazionale stabile ed equo.
1.2 L'Organizzazione delle Nazioni Unite
La Carta delle Nazioni Unite, firmata a San Francisco il 26 giugno 1945 ed
entrata in vigore il 24 ottobre 1945, è il frutto di uno sforzo diplomatico che
si può far iniziare già dai primi anni della Seconda guerra mondiale, nel
1941 con la Carta Atlantica e nel 1942 con la Dichiarazione delle Nazioni
Unite. La Conferenza di San Francisco è stata l’apogeo di tutto questo
movimento politico mirante alla creazione di un nuovo ordine mondiale.
Reduci dal secondo conflitto mondiale, la consegna è “mai più”: si è mirato
19
a garantire che la pace e i diritti dei popoli siano d’ora innanzi rispettati. In
questo spirito, dunque, viene steso nel 1945 lo Statuto (o Carta) dell’ONU,
il cui Preambolo indica come obiettivo “quello di salvare le future
generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nel corso della
stessa generazione aveva portato indicibili afflizioni all’umanità”, e
riafferma la fede “nei diritti fondamentali della persona umana,
nell’uguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne e delle nazioni
grandi e piccole”. Queste parole dello Statuto dell’ONU vogliono rivelare il
legame indissolubile tra il rispetto dei diritti umani e la sopravvivenza
dell’umanità, e questa convinzione è stata poi alla base della Dichiarazione
Universale dei Diritti Umani (la cui formulazione è stata uno dei primi
compiti assunti dall’ONU).
E’ proprio nella Carta che troviamo un primo, reale riconoscimento dei
diritti umani. L’articolo 1, paragrafo 3, stabilisce tra i fini
dell’organizzazione: “promuovere e incoraggiare il rispetto dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali per tutti senza distinzione di razza,
di sesso, di lingua o di religione”. Questo fine viene poi ripreso negli
articoli 55 e 56 come compito, come obbligo ad agire a carico degli Stati
parte. Altra importante disposizione della Carta è quella dell’articolo 68,
secondo la quale “il Consiglio economico e sociale istituisce commissioni
per le questioni economiche e sociali e per promuovere i diritti dell’uomo”:
proprio in virtù di questo articolo nel 1946 è stata creata la Commissione
dei diritti dell’uomo.
1.2.1 La Dichiarazione Universale
Il primo testo riguardante la materia dei diritti umani è stata la
Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, adottata il 10 dicembre
20
1948. Si tratta di un documento elaborato in seno alla Commissione dei
diritti dell’uomo e che risente, nella sua enunciazione, del contesto storico-
politico di quel periodo. Infatti negli anni della sua elaborazione (1946-
1948) l’ONU contava 58 membri, 14 dei quali riconducibili all’area
politica occidentale, 20 latino-americani, 6 socialisti, 4 africani e 14
asiatici. I Paesi cosiddetti in via di sviluppo si potevano quasi interamente
ricondurre all’area politica occidentale, perciò si può facilmente rilevare
che in occasione del dibattito sulla Dichiarazione i contrasti sono emersi fra
Occidente e Oriente, cioè fra l'Occidente industrializzato e liberista e i
Paesi a economia socialista dell’est. Questi ultimi, che in un primo
momento non hanno partecipato ai lavori del “Comitato di redazione” a
causa del diniego dei Paesi occidentali a inserire nel testo un riferimento ai
diritti economici e sociali, hanno comunque collaborarono successivamente
alla redazione del documento; si sono astenuti però poi al momento della
votazione finale perché la maggior parte degli emendamenti da loro
presentati era stata respinta.
Per la prima volta gli Stati hanno riconosciuto, in uno strumento giuridico a
portata universale, non soltanto che i diritti dell'individuo sono inerenti alla
persona umana (“Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e
diritti”, articolo 1), ma che a tutti gli individui, cittadini o stranieri, senza
discriminazione alcuna, a prescindere dallo status giuridico del Paese o del
territorio a cui essi appartengono, spetta il riconoscimento e la tutela di una
serie di diritti espressamente enunciati (“a ogni individuo spettano tutti i
diritti e tutte le libertà enunciati nella presente Dichiarazione, senza
distinzione alcuna..” articolo 2). Il passaggio dalla sfera del diritto naturale
al diritto positivo è ormai avviato anche a livello internazionale e,
attraverso l'identificazione di un'intera categoria di diritti sottratta
21
all'arbitrio dello Stato, ha inizio una lenta, ma inesorabile, erosione del
limite della competenza esclusiva degli Stati.
La Dichiarazione Universale non è stata, comunque, il punto d'arrivo, ma
soltanto una fase, per quanto importante, di un processo complesso.
Strumento di attuazione della Carta delle Nazioni Unite (dall'espressione
generica “diritti umani” contenuta nello Statuto dell'Organizzazione si è
passati all'enunciazione di un catalogo dettagliato di diritti), la
Dichiarazione Universale ha posto le premesse per l'adozione di due
strumenti giuridici vincolanti (il Patto sui diritti civili e il Patto sui diritti
economici, sociali e culturali). Sarà però solo nel 1976, con la loro entrata
in vigore, che riuscirà a operare un meccanismo obbligatorio di garanzia
internazionale. Soltanto a partire da quel momento, infatti, viene risolta una
questione alla quale la Dichiarazione universale non da una risposta: che
cosa fare, sul piano pratico, per assicurare l'effettiva attuazione dei diritti
che erano stati formalmente riconosciuti agli individui sul piano
internazionale.
La maggior parte dei diritti proclamati dalla Dichiarazione universale sono
diritti civili e politici, già riconosciuti da diversi Stati a livello nazionale,
ma oggetto di tutela da parte di un numero assai esiguo di trattati
internazionali preesistenti (ad esempio la Convenzione contro la schiavitù,
stipulata a Ginevra nel 1926). All'interno di questa ampia categoria è
possibile distinguere i diritti e le libertà di ordine personale (art. 3-11); i
diritti dell'individuo nei rapporti con il gruppo di appartenenza (art. 12-17);
i diritti politici in senso stretto (art. 18-21).
Oltre ai diritti civili e politici, la Dichiarazione universale enuncia anche i
diritti economici (come il diritto di proprietà, art.17), sociali (come il diritto
alla sicurezza sociale, il diritto al lavoro, il diritto a un tenore di vita