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CAPITOLO 2
AGOSTINO VALIER VESCOVO DI VERONA
Il 4 dicembre 1563 termina il Concilio di Trento
100
e Bernardo Navagero,
nominato vescovo di Verona l’11 settembre 1562
101
, poté recarsi nella sua diocesi
pronto ad intraprendere l’azione pastorale, tenendo fede ai precetti fissati a
Trento. Arrivato a Verona il 9 dicembre 1563
102
, il nuovo vescovo chiamò al suo
fianco uomini di chiesa come Nicolò Ormaneto, arciprete di Bovolone, futuro
vicario di Carlo Borromeo e vescovo di Padova, Adamo Fumano, Pier Francesco
Zini, Filippo Stridonio.
103
La maggior parte dei canonici nominati da Navagero
verranno riconfermati da Valier, in particolare Stridonio che come attesta lo
stesso Valier: «nel principio del mio Vescovato ebbi per Vicario , come egli era
stato, ancora appresso lo stesso lodato vescovo, raccontava che il Giberti soleva
dilettarsi assaissimo del pastorale suo impiego»
104
. Filippo sarà, dunque, un
personaggio molto importante per Agostino per l’esperienza fatta in qualità di
vicario del vescovo di Verona Matteo Giberti (1524-1543), l’ecclesiastico definito
100
TACCHELLA 1974, p. 69
101
Ivi, p. 68
102
Ibidem
103
Ivi, p. 68-69
104
VALIER 1770, p. LXXIII
26
da Jedin il «modello della futura riforma tridentina nel campo diocesano»
105
,
tant’è che lo stesso Valier, negli Occulti benefici così parla del suo predecessore:
«parlo volentieri di Gio: Matteo Giberti Genovese, il quale fu da Clemente VII creato Vescovo di
Verona, e sebbene finora non sia annoverato tra i Santi, e tra i Beati diede però egli moltissimi
esempi di fortezza di animo, di carità, e di ecclesiastica disciplina, cosicché la medesima Città non
mai cancellerà dalla sua memoria il di lui pastorale governo».
106
L’entusiasmo del Navagero, nell’attuare i dettami tridentini, si attenuò solo in
conseguenza del peggioramento delle sue condizioni di salute, che lo porteranno
ad appellarsi a Pio IV per ottenere la dispensa dal suo incarico a favore di
Agostino, come lui stesso ricorda:
«nell’anno 1565 morì il Cardinale Bernardo Navagero mio Zio, dopo d’aver già compiuta la sua
Legazione del Concilio, e di essere venuto a Verona, e dopo di avermi chiesto al Papa per suo
Successore. »
107
La successione del Valier, a vescovo di Verona, non fu tuttavia cosa facile, in
quanto era ostacolata da un divieto canonico e, come sottolinea argutamente
Lorenzo Pieresca, anche da un pericolo di accusa di nepotismo
108
. La vicenda
viene esplicata in un testo del 1796:
105
JEDIN 1993, p. 526
106
VALIER 1770, p. LXXIII
107
VALIER 1787, p. 351
108
PIERESCA 2014, p. 15
27
«E perché vietavano i decreti del presente Concilio; che si eleggesse il Vescovo chi in prima almeno
per sei mesi non avesse portato l’abito ecclesiastico, Pio IV preconizzò al Sacro Concistoro
Agostino in Vescovo di Verona solo due mesi dopo che da Chierico s’era vestito»
109
Il papa, dunque, visto che il Valier aveva ricevuto «li ordini sacri»
110
da soli due
mesi circa, lo nominò vescovo ordinario di Verona. La scelta di prendere l’abito
sacerdotale, viene vista da Patrizi come «il coronamento di un percorso di
maturazione spirituale che si era sviluppato in modo relativamente lento e
progressivo nel corso dei due anni vissuti a Roma e conclusi a Trento»
111
. Lorenzo
Tacchella, nei suoi studi sul vescovo, entrò in possesso di due documenti vaticani
di estrema importanza, in quanto attestano come «questa nomina sia stata opera
del Card. Carlo Borromeo»
112
. Più nello specifico il primo documento contiene la
proposta di nomina del Borromeo al concistoro
113
, mentre il secondo consiste
nella registrazione della provvisione per la sede episcopale di Verona
114
. Con
quest’ultimo documento Tacchella ha la prova del fatto che Agostino Valier non
109
TIPOGRAFIA PEPOLIANA 1796, II, p.104
110
Lettera di Agostino Valier a Carlo Borromeo, 17 marzo 1565; BAM, F, 105 inf., c. 202 edita in
TACCHELLA San Carlo Borromeo e il cardinale Agostino Valier (carteggio), Verona, 1972, p. 89
111
PATRIZI 2015, p. 68
112
TACCHELLA 1974, p. 70
113
Ivi, p. 70-71 nota 24: Archivio Segreto Vaticano, Miscell. Arm. XII 146, p. 149: «Ego Carolus
Card.lis Borromeus proponam in prox. futuro consistorio Ecclesiam Vernen, per cessionem R.mi Domini
mei Bernardi Card.lis Navagerii illius perpet. administratoris in favore R.di d.ni Augustini Valerio clerici
et nobilis Veneti (…)»
114
Ivi, p. 71 nota 24: Archivio Segreto Vaticano, Cons. Acta. Miscell. 19, p. (344) 346r et v «Admisit
cessionem factam a R.mo Card.li Navagerio de ecclesia veronense et providit d. Ecclesia de persona
Augustini Valerii ipsumque et cum reservatione omnium fructuum pro R.mo cardinale cedente demptis
100 scut monete Veronen pro electo et voluit S. sua quod cessan. pens. antiquis acquiratur R.mo cardinali
pto.»
28
fu nominato coadiutore di Verona, come riporta Cipriani
115
e «come
comunemente era ritenuto dagli studiosi»
116
, bensì vescovo ordinario, visto che
Pio IV accettò la rinuncia di Navagero a favore del nipote. Questa vicenda
indubbiamente consolidò il legame tra i due episcopi; altresì faceva del Valier
una persona sulla quale Borromeo riponeva stima ed aspettative per la diffusione
del nuovo credo religioso, come dimostra la lettera del 2 giugno 1565, che il
Borromeo scrisse al Valier in risposta ai ringraziamenti per averlo «honorato di
una chiesa come è quella di Verona»
117
:
«io ho pensato sempre di satisfar non solo a l’amicizia nostra, ma alla conscientia mia propria
riputando di dover far cosa grata di S. Iddio, et persuadermi che la sua promotione al vescovato
habbia ad esser servizio di Sua D.na M.tà et di quelle anime che ha date alla cura et custodia sua,
et perciò poco occorre che mi ringratii (…)»
118
Fu così che Agostino Valier, dopo la morte dello zio, prese possesso del
vescovado di Verona: era il 17 giugno 1565
119
.
2.1 Azione pastorale
Nell’intraprendere la sua missione episcopale il giovane vescovo prese come
modello Giovanni Matteo Giberti
120
, il quale aveva lasciato come eredità ai suoi
115
CIPRIANI 2009, p. 46
116
TACCHELLA 1974, p. 71 nota 24
117
Lettera di Agostino Valier a Carlo Borromeo 25 marzo 1565; BAM F. 36 inf., n. 131, c 297r- 298v;
edita in TACCHELLA 1974, p. 71
118
Lettera di Carlo Borromeo ad Agostino Valier, Milano 2 giugno 1565 BAM, P. 27 inf., cc. 46v-
47r edita in PATRIZI 2015, p. 70
119
TACCHELLA 1974, p. 72
120
Su questa figura segnalo la fondamentale monografia di Adriano Prosperi Tra evangelismo e
controriforma Gian Matteo Giberti (1495-1543) Roma, 1969
29
successori le Constitutiones emanate nel 1542, un anno prima della sua morte, e
ricordate dal Valier come indispensabili per: «il buon governo di questa nostra
Chiesa, et quel buon nome che si ha acquistato il nostro Clero Veronese»
121
. Difatti
Giberti viene visto dalla maggior parte degli studiosi come il «pre-Reformation
bishop»
122
, «uno dei grandi protagonisti della rinascita spirituale pre-
tridentina»
123
, colui che «nei fatti si è dimostrato un anticipatore delle risoluzioni
che sono state prese dopo pochi anni del Concilio di Trento»
124
. È stato però Jedin,
nel suo fondamentale testo Il tipo ideale di vescovo secondo la riforma cattolica a
definirlo come «il primo grande pastore di anime»
125
. Fu, per lo studioso, un vero
«sorvegliante e amministratore»
126
della sua diocesi nella quale risiedeva
stabilmente, curò la formazione del clero attraverso l’invenzione del seminario
127
,
convocò ogni anno il predicatore della quaresima
128
, indusse i parroci
all’inclusione e alla spiegazione del Vangelo, ma anche al possesso di un registro
dei battesimi e un liber animarum per annotare coloro che si accostavano ai
sacramenti
129
. Ribadì l’importanza della visita pastorale che attuava insieme ad
un piccolo seguito per far capire che essa non serviva solo come controllo ma
121
VALIER 1596, pp. 3 r-3 v
122
PULLAPILLY 1992, p. 312
123
CIPRIANI 2009, p. 47
124
LUGOBONI 2018, p. 92
125
JEDIN 1950, p. 40
126
Ibidem
127
Ibidem
128
Ivi, p. 42
129
Ivi, p. 40
30
come momento di confronto con altri parroci e così facendo riuscì a spogliarla di
quelle «odiosità che essa da lungo tempo suscitava nel clero per i gravissimi oneri
che portava con sé»
130
. Da questo si comprende come per Giberti la Chiesa «non
è soltanto padrina e amministratrice dei mezzi della grazia (…) ma è la
sopravvivenza del Buon Pastore che conosce le sue pecorelle e ne ha cura»
131
. I
risultati del suo operato sfociarono nelle Costitutiones, direttive fornite dal Giberti
per riformare e rinnovare la Chiesa veronese, che altresì «Presentando un quadro
della situazione religiosa, morale e disciplinare del clero diocesano (...) lasciando
intravedere il livello di religiosità del popolo»
132
. Agostino restò colpito dal
profondo spirito cristiano che animava il testo gibertino, che lesse, con buona
probabilità, durante il suo soggiorno a Trento
133
. Più nello specifico il Valier
«apprese l’arte di conferire nel concreto esercizio del ministero pastorale il succo
della teologia pratica appreso dal Padri»
134
. Difatti Agostino fin dalla sua
formazione si cimentò nelle letture dei Padri della Chiesa come Gregorio
Nazianzeno e Giovanni Crisostomo, fonti primarie di quella «teologia pratica»
135
che voleva attuare nella sua azione pastorale. È questo che unisce lo spirito di
Giberti a quello del Valier: la presenza e la vicinanza della Chiesa nella società
130
JEDIN 1950, p. 43
131
Ivi, pp. 44-45
132
FOIS 2001, p. 253
133
PATRIZI 2015, p. 76.
134
Ivi, p. 75
135
Ibidem
31
veronese. E dunque per queste ragioni che Agostino Valier decise di fare del testo
del Giberti la raccolta legislativa di Verona apportando, a distanza di qualche
anno, alcune «correctiones ac moderationes»
136
. Il Giberti rappresentò, dunque, per
il Valier e per i vescovi successivi un punto di riferimento fondamentale dal quale
partire per formulare quell’idea di vescovo capace di guidare la sua diocesi. Lo
stesso Carlo Borromeo fu attratto dalle idee innovatrici del Giberti. Difatti, come
testimonia il Valier nella Vita del Borromeo, in un suo viaggio da Milano a Roma,
l’arcivescovo di Milano volle fermarsi a Verona perché desiderava confrontarsi
con i collaboratori più vicini al Giberti al fine di apprendere il suo innovativo
governo episcopale:
«illos, qui Giberti optimi episcopi familiaritate usi fuerat, diligenter interrogavit, qua ratione
gregam illum tanta sua cum laude pasceret mirunque studium pastoralis artis addiscendae prae
se tulit tamptamque modestiam, aut umilitatem potius ostendit ut a nemine non velvet discere»
137
Quanto appena riportato mette in luce un aspetto interessante che viene
delineato dallo storico Jedin, il quale non nega il fatto che il Borromeo con il suo
Acta ecclesiae Mediolanensis divenne «il vero modello del vescovo curatore
d’anime (…) Ma basta semplicemente confrontare l’opera sua con le costituzioni
del Giberti per valutare di quanto egli sia debitore al vescovo di Verona.»
138
.
Detto ciò, il legame tra il Valier e il Borromeo fu certamente solido, unito da un
136
VALIER 1589, Augustinus Valerius S.R.E. Cardinalis ed Episcopus Veroneae clero suo salutem
137
VALIER 1586, pp. 12, 13
138
JEDIN 1950, pp. 95-96
32
eguale intento di aderire ai precetti conciliari ma, come ha sottolinea Patrizi, «i
due prelati incarnano due modi diversi di interpretare il ministero episcopale»
139
.
Agostino, al pari del Giberti, scelse un’azione episcopale basata su una
conoscenza diretta del popolo dei fedeli e dunque per esteso della diocesi e
questo poteva essere attuato attraverso due strumenti ribaditi dal Concilio: i
sinodi e le visite pastorali
140
2.2 Visite pastorali
Il vescovo ideale, secondo i dettami del Concilio, era colui che si prendeva cura
del “gregge” in una prospettiva “pastorale” ed è per questo che si insiste sulla
residenza, sulla predicazione e sulla vista pastorale, ribadita nella XXIV sessione
dell'11 novembre 1563. Più nello specifico la visita era uno strumento
estremamente rilevante in quanto, oltre a valutare l’efficienza delle strutture e
degli strumenti destinati al servizio pastorale, era un’azione apostolica e per
questo la testimonianza della presenza di Gesù nella comunità attraverso
l’inviato apostolico, cioè il vescovo. Nella visita, dunque, il pastore-vescovo si
potrebbe considerare come il successore degli apostoli che viveva a contatto col
proprio clero e con i fedeli della sua diocesi. Da qui si comprende l’importanza
della visita pastorale che Agostino Valier, subito dopo la nomina a capo della
139
PATRIZI 2015, p. 115
140
Ibidem
33
diocesi, attuò con fervore ed impegno. Al tempo del Valier, la diocesi di Verona
era un territorio molto vasto, si estendeva a sud fino a Ostiglia e a nord fino a
Brentonico, contando più di 200 chiese extraurbane visitate
141
. Dai registri XIII-
XIV delle visite degli anni 1565-1589, la cui trascrizione «fedele»
142
è stata
pubblicata nel 2001 a cura dell’Archivio Storica della Curia Diocesana di Verona,
si può comprendere l’operato di Agostino e più in generale «l’impegno di
diffusione del Regno di Dio»
143
riflettere dunque, «sul passato della pietà, della
spiritualità, della mentalità religiosa (…) cogliere “dal di dentro”»
144
l’azione
dettata dalla controriforma. Più nello specifico dall’itinerario delle visite
registrate sul volume XIII (1565-1673), nel quale sono riportate quelle compiute
sicuramente dal Valier, si evince che egli visitò: il 22 settembre Monteforte
insieme al canonico Adamo Fumano, Vincenzo Cicogna prelato della chiesa di S.
Zeno in Oratorio, Francesco Varugola arciprete di Lazise; dal 9 ottobre Agostino
giunse a Colognola, Illasi, Cazzano, Tregnago ed alla parrocchia di Soave fino ad
arrivare a Lago dove visitò sette parrocchie. Dal novembre 1566 fu la volta di 3
parrocchie della Valpolicella, precisamente ad Arbizzano, e a fine febbraio del
1567 visitò Malcesine. Il 1568 è l’anno più impegnativo per il vescovo: dalla Bassa
veronese alla Valpantena, dalla Lessinia al Villafranchese fino a Peschiera nel
141
ASDV 2001, p. 9
142
SEGALA 2001, p. 7
143
Ivi, p. 8
144
Ivi, p. 8
34
1569. Nel 1570 fu il turno della Val d’Adige e nel 1573 ritornò a Lago e in
Valpolicella
145
. L’analisi del registro rivela come si svolgeva la visita: il vescovo
veniva accolto dal parroco, dal clero e dai fedeli ai quali veniva conferita la
cresima, dopodiché si visitava il Santissimo Sacramento, la fonte battesimale, gli
altari e la chiesa in generale e per finire veniva visitato il cimitero. Particolare
attenzione veniva riservata alla voce dei fedeli o di coloro che erano più vicini al
prete; difatti, il Valier attuava delle vere e proprie interviste al fine di
comprendere da vicino lo stato del luogo visitato. Ad esempio può essere
ricordata la testimonianza del cappellano della Chiesa di San Floriano ad
Arbizzano, che il Valier visitò il 4 novembre 1566
146
: «quanto a me, mi pare ch’el
faccia el debito suo et attenda al suo ufficio et al celebrar la messa et visita li
infermi et non manca né io so della sua vita cosa alcuna che sia scandalosa»
147
.
Oltre a questo il Valier stilava anche delle liste dettagliate di oggetti posseduti
nella Chiesa ad esempio per la sacrestia di San Floriano annota:
«una croce d’argento sopra dorata, un tabernacolo d’argento dorato, doi calici con le coppe
d’argento dorati (…) tre veli di seta, doi drappi da mano per uso della sacrestia, quattro fazzoletti,
una scatola con 26 purificatori, dieci pianate, una di veluto cremosimo alto basso con doe stole et
un manipolo, una di fustagno nuova, una di damasco bianca con stola e manipulo (…), tovaglie
tra buone et vecchie numero 26, un corporale nero di fustagno per li morti (…) doi drappi di seta
145
ASDV 2001, pp. 9-10
146
ASDV 2001, p. 26
147
Ivi, p. 27
35
gialla uno novo et uno vecchio (…) un borsa di velluto cremosino per conservare il vasetto
dell’oglio delli infermi (…) una scatola per conservare l’hostie (…)»
148
.
L’importanza dell’inventario sarà ribadita dal Valier nel 1576 quando emanò un
decreto Sopra l’ordine di far gli inventari, et descrittioni de beni di qualunque chiesa et
beneficio ecclesiastico della città e diocesi di Verona da essere riposti nel novo Archivio
del Vescovado, con il quale forniva direttive nella stesura dell’inventario, che ogni
curato ecclesiastico era tenuto a presentare in Vescovado al fine di avere sotto
controllo il patrimonio ecclesiastico
149
.
La visita alla Chiesa di Santo Stefano a Malcesine del 21 febbraio 1567
150
, fornisce
probabilmente il quadro più problematico del volume XIII, difatti riporta 45
pagine di verbali, in cui si illustra una situazione non ottimale. A quanto
riportano varie testimonianze «al presente la governano [Santo Stefano] li monaci
bianchi di Santa Maria in Organo di Verona»
151
, «da circa 4 anni»
152
, «l’hanno
avuta a pensione et che pagano quattrocento e più ducati»
153
; e alla domanda del
Valier: «Quomodo dicti monaci regant dictam ecclesiam si bene vel male»
154
un fedele
risponde «l’ha governano male e si governava molto meglio quando l’era al
governi di preti»
155
, in quanto, come attesta un’altra testimonianza: «parea che ne
148
Ivi, p. 29
149
PATRIZI 2015, p. 132
150
ASDV 2001, XIII p. 45
151
Ivi, XIII, p. 53
152
Ibidem
153
Ibidem
154
Ibidem
155
Ibidem
36
volessero far un mondo di bene, ma la cosa è reuscita altrimenti»
156
. A quanto
pare, dunque, il governo dei monaci olivetani non soddisfaceva i fedeli anche
perché non c’era un punto di riferimento fisso. Questo si evince dalla risposta di
un popolano alla domanda del Valier «quot monaci soliti sint commorari in dicto loco
et de eorum nomine»
157
che asserisce «di continuo non ve ne sta se non un solo ma
alle volte ve ne vengono doi et tre et poi si partono et non si fermano et al presente
sta un don Placido et prima vi stettero un don Mauro et un don Hippolito»
158
,
testimonianza ribadita da altri fedeli: «vi stete prima un don Mauro e poi un frate
detto Butiron il nom del qual non so et al presente vi è un don Placido»
159
, «ve ne
vengono due et tre et al presente vi sta don Placido»
160
. Tuttavia il monaco non
riesce a gestire la chiesa, che secondo una testimonianza «stava molto meglio
avanti chel venisse»
161
anche perché come attesta un cittadino: «Ho sentito a dir
che giocca alla borella et chel è scarso et non da elemosina»
162
stessa grave accusa
rivolta anche al cappellano, Don Alvise:
«lui non si porta troppo bene et mi par chel suo proceder non sia da sacerdote, perchè lo trovo
negligente nelle cose della chiesa (…) et dalla prima messa in poi che lui dice in buon’hora el non
156
Ivi, p. 56
157
ASDV 2001, XIII, p. 53
158
Ibidem
159
Ivi, p. 52
160
Ivi, XIII, p. 58
161
Ibidem
162
Ivi, p. 55