sul film che ne approfondisca tutti gli aspetti, dalle vicende produttive alle tematiche,
alle influenze presenti, all'analisi dei personaggi principali: nel disinteresse ostinato di
molta critica e soprattutto di larga parte del mondo accademico, sono state pubblicate
solo alcune recensioni (soprattutto in corrispondenza delle rare proiezioni proposte fino
ad oggi) e pochi studi più approfonditi, sempre diretti comunque ad alcuni aspetti del
film. Sembra insomma sia stato spesso evitato un approccio totale al film, preferito
sempre ad un avvicinamento timido a una parte di esso. A questo contribuisce la fama, a
nostro avviso ingiustificata, del cinema rivettiano, troppo spesso visto e pensato come
enigmatico, scostante e “difficile”: preciso scopo del nostro lavoro è non solo di
sollevare Out 1 dalla trascuratezza in cui è stato gettato e in cui continua a languire, ma
anche seminare il dubbio che il cinema di Rivette sia forse più semplice e più aperto di
quanto spesso si creda.
Da qui la necessità di intraprendere uno studio che abbracciasse la generalità
dell'opera, cercando di raccogliere e approfondire gli spunti di riflessione più
significativi proposti in letteratura, che sta alla base della trattazione che segue.
La prima fase del nostro lavoro è stata dedicata alla raccolta del materiale
bibliografico, senza limitazioni disciplinari di alcun tipo. In seguito, si è proceduto ad
organizzare la stesura dello studio. La struttura della nostra trattazione è orientata dal
proposito di fornire un quadro del film allo stesso tempo ampio, per la vastità degli
approfondimenti proposti, e il più possibile preciso ed esauriente nella singola
specificità degli stessi. La prima parte del lavoro è dedicata a un approfondimento di
carattere filologico, in cui abbiamo cercato di tracciare un ritratto delle vicende che
hanno interessato Out 1 dal 1970 ad oggi (ricostruendo dunque le vicissitudini
produttive e distributive della pellicola, e raccogliendo il massimo di riferimenti
possibili alle proiezioni mondiali e ai passaggi televisivi europei del film di cui abbiamo
avuto notizia).
Se la scelta dei personaggi da approfondire è stata relativamente semplice (le
figure principali del film sono poche), più complesso è stato decidere quali tematiche e
quali influenze presenti nel film privilegiare. Per le prime, si è deciso di selezionare
quelle che, nella loro specificità, permettessero di condurre riflessioni il più possibile
articolate e ampie sul film e l'autore; argomenti dunque ben definiti, ma
2
contemporaneamente ricchi di possibili collegamenti con il resto dell'opera, con la
cinematografia rivettiana, fino a lambire il contesto storico, culturale e artistico in cui
Out 1 è nato. Ciò non significa che altri elementi e temi del film siano stati ignorati:
l'ampiezza a cui abbiamo fatto riferimento riguarda anche e soprattutto la possibilità di
includere, come in un gioco di scatole cinesi, gli aspetti “minori” del film nell'ambito
delle riflessioni, più vaste, su quelli “maggiori”.
Allo stesso modo, fra le influenze presenti nell'opera si è scelto di approfondire
quelle che avessero i rapporti più forti con esso, sia per ammissione dell'autore (come
nel caso di Jean Rouch, esplicitamente citato da Rivette a proposito di Out 1) sia per
oggettiva presenza nel film (Balzac ed Eschilo, ispirazioni letterarie alla base
dell'opera). La scelta di Louis Feuillade è stata compiuta con l'intenzione di seguire
alcuni interessanti spunti sul rapporto fra i due autori, presenti in letteratura ma mai
approfonditi, a nostro avviso, in modo adeguato (o almeno, proporzionato alle
potenzialità di interesse che vi abbiamo ravvisato). Non abbiamo comunque ignorato le
altre fonti di ispirazione e di riferimento più generali dell'autore: lo scopo del paragrafo
iniziale dedicato alla bio-filmografia e all'attività critica di Rivette è precisamente quello
di fornire un quadro preliminare dei film, degli autori e delle esperienze personali e
professionali che hanno contribuito alla formazione del cineasta, necessariamente
riflesse nelle sue opere, che vada dunque a completare e orientare la lettura della
trattazione che segue.
La nostra ricerca è stata svolta presso le biblioteche torinesi del Museo
Nazionale di Cinema (Biblioteca Internazionale di Cinema e Fotografia Mario Gromo) e
di alcuni dipartimenti dell'Università degli Studi di Torino (Dipartimento di Lingue e
Letterature Straniere e D.A.M.S.), nonché quelle civiche e accademiche di Milano
(Sormani, Braidense e Università Degli Studi); alcuni documenti ci sono stati invece
spediti da altri Istituti (Cineteca di Bologna, Biblioteca dell'Archivio storico delle arti
contemporanee di Venezia). Una parte della ricerca è inoltre stata svolta per via
telematica, grazie alla possibilità di consultare in rete database, cataloghi europei e
statunitensi, programmi di retrospettive.
3
I
UN NUOVO CAPOLAVORO SCONOSCIUTO
I.1 Jacques Rivette
Jacques Rivette nasce a Rouen l'1 marzo del 1928. Studia al liceo classico
cittadino Corneille, ma presto si fa sentire la passione per il cinema; una volta diplomato
prepara da autodidatta l'esame di ammissione all'IDHEC (Institut des Hautes Etudes
Cinématographiques). Nel 1949 gira il suo primo cortometraggio, Aux quatre coins (20',
in 16 mm e a colori), mai distribuito, e nello stesso anno decide di trasferirsi a Parigi,
dove conosce presto i suoi futuri amici e colleghi:
Per fare del cinema non c'era altra soluzione. Tuttora non c'è altra soluzione.
Parigi era una festa [...] Avevo un tale di Rouen, che ho peraltro subito perso di
vista. Mi aveva dato appuntamento in una libreria di Place Saint Sulpice, che
oggi non c'è più. Sono arrivato a Parigi al mattino. Un amico mi ospitava, ma
abitava lontano, in periferia. Ho dovuto depositare la valigia da lui e tornare a
Parigi alle tre del pomeriggio. Il gestore della libreria era un giovane attore che
lo faceva per campare. Si chiamava Jean Gruault (e una delle sue amiche era
Suzanne Schiffman).1
Appena giunto a Parigi, Rivette entra dunque in contatto fin da subito con il
mondo dei cinéphiles parigini. L'esame all'IDHEC non avrà un buon esito2, e nemmeno
gli studi di Lettere antiche all'Università di Rouen a cui si è iscritto nel frattempo sono
fruttuosi: l'attenzione di Rivette è tutta rivolta alla sua formazione cinematografica. Il
1 Tassone, 2002: 137.
2 «[...] mi sono presentato, avevo preparato il concorso per un anno, da solo, alla biblioteca di Rouen,
che era piena di libri interessanti. Ho passato lo scritto, poi mi sono fatto stangare all'orale; la cosa mi
è sembrata strana e allora mi sono detto: capiterà qualcos'altro, nell'attesa, sopravviviamo, andiamo al
cinema». Tassone, 2002: 137.
4
giovane, assieme a Gruault e a Suzanne Schiffman, frequenta assiduamente i cineclub
del quartiere latino, e soprattutto il Chez les Gars du Ventilateur in rue Danton, diretto
dal giovane professore di Lettere Maurice Schérer. Il cineclub è frequentato da tutti i
giovani cinéphiles futuri protagonisti della Nouvelle Vague, poco per volta Rivette vi
conosce François Truffaut, Claude Chabrol e Jean-Luc Godard:
Sia con Jean-Luc che con François ci siamo conosciuti nei mesi seguenti. Allo
studio Parnasse davano La règle du jeu. Il martedì ci vado, all'epoca si sapeva
che bisognava andarci il martedì: dopo c'era il dibattito. Io ero con Gruault ed
ecco che ti arriva una specie di monellaccio, e Gruault gli dice: «Toh, hai messo
la cravatta oggi?». E lui risponde: «Sì, in onore di Renoir!» Era François. Credo
che sia stata la prima volta che l'ho visto, poi l'ho incontrato alla Cinémathèque
con Jean-Luc. [...] Credo che Jean-Luc facesse finta di laurearsi per fare
contenti i suoi genitori; Suzanne, credo invece che sia arrivata fino alla fine di
una laurea in Estetica o qualcosa del genere.3
Mentre prosegue il suo “apprendistato” dietro la macchina da presa (nel 1950
gira La Quadrille, 40' circa, con Godard come attore principale assieme ad Anne-Marie
Cazalis4, e nel 1952 Le Divertissement, anch'esso di 40'), Rivette inizia presto a
collaborare con le riviste di cinema su cui i giovani amici scrivono già da qualche
tempo, prima su La gazette du cinéma, poi dal 1953 sui Cahiers du cinéma5, di cui
diventerà caporedattore nel 1963. Assieme ai compagni frequenta assiduamente la
Cinémathèque, diretta da Henri Langlois, lo Studio 28, il cinema Broadway e la Pagode.
Rivette, come Truffaut (con cui ha un'amicizia molto stretta, tanto che Bazin li chiamerà
«Rivaut et Truffette»)6, ha un approccio rigoroso e quasi maniacale al cinema: «compila
schede su schede dei film visti, senza omettere nulla, anche i nomi del cast tecnico»7. Il
suo carattere riservato e silenzioso ma capace di guizzi sornioni e taglienti8, gli fa
guadagnare la reputazione scherzosa di “Saint-Just” del gruppo:
3 Tassone, 2002: 138.
4 «Gli spettatori hanno iniziato a urlare nel giro di tre minuti perché non succedeva niente. Questo
creava una bella atmosfera!». De Pascale, 2002: 36.
5 «Non era tanto per i soldi che si guadagnavano ai Cahiers, perché Dio sa se eravamo mal pagati,
praticamente non pagati per nulla». Tassone, 2002: 138.
6 De Pascale, 2002: 21.
7 De Pascale, 2002: 18.
8 «Era piccolo, lo si vedeva appena. Sembrava che non mangiasse. Quando sorrideva, spariva
completamente dietro i suoi denti superbi. Ma ciò non significa che fosse meno feroce degli altri».
Chabrol in De Pascale, 2002: 18.
5
[...] l'essere tagliente corrispondeva abbastanza al mio carattere dell'epoca, visto
che avevo la reputazione, vera o falsa che fosse, di essere il Saint-Just del
gruppo del gruppo, a me piaceva di più l'idea di essere un po' l'eminenza grigia,
piuttosto che Saint-Just e tutto sommato Saint-Just era l'eminenza grigia di
Robespierre.9
Argomentazione lucida, logica esplicativa, uso delle immagini, giudizi
tranchant ― sottolineati dall'espressione «couper dans le vif» accompagnata
dal gesto della mano destra che di taglio va decisa sul palmo dell'altra ― fanno
di Rivette il Saint-Just, l'eminenza grigia del gruppo [...] Come gli altri, Rivette
ama il cinema, ma a differenza loro non perde una proiezione. Guarda di tutto e
i film che lo affascinano li rivede più e più volte.10
Godard ricorda così la presenza e il carisma del giovane Rivette: «J'aimais
beaucoup un film et si Rivette disait "c'est de la connerie", je disais comme lui. Il y avait
un côté stalinien dans ces rapports là. C'était comme s'il avait détenu la verité
cinématographique, différente de celle des autres»11. Jean Douchet ne fa un ritratto
simile: «Le grand discoureur, c'était Rivette. C'était l'âme secrète du groupe, le penseur
occulte, un peu censeur. On l'appelait d'ailleurs "le père Joseph". Son jugement était
toujours très abrupt, très contradictoire, n'hésitant pas à brûler ce qu'il avait adoré»12.
Nel 1954 Rivette è assistente alla regia di Jacques Becker in Ali Baba et les
quarante voleurs. Partecipa inoltre agli esordi dietro la macchina da presa degli amici:
nello stesso anno è operatore per il primo cortometraggio di Truffaut, Une visite (girato
a casa di Jacques Doniol-Valcroze) e per Eric Rohmer in Bérénice, di cui è anche
montatore; l'anno successivo collabora come stagista alle riprese di French Cancan di
Jean Renoir. Prosegue nel frattempo la sua attività critica: nel 1953 firma l'articolo L'art
de la fugue, a proposito del cinema hitchcockiano, e alla fine dello stesso anno cura una
intervista con Otto Preminger; l'anno successivo intervista Jacques Becker e Abel
Gance. Nel 1955 appare sui Cahiers la celebre Lettre sur Rossellini, appassionata
dichiarazione d'amore per l'autore e per il suo Viaggio in Italia (il quale «apre una
9 Tassone, 2002: 139.
10 De Pascale, 2002: 18.
11 Godard, in De Baecque, 1991: 235.
12 Douchet, in De Baecque, 1991: 235.
6
breccia», che «il cinema intero deve attraversare per non morire»)13 e
contemporaneamente, come vedremo, manifesto in nuce di molti tratti della futura
poetica rivettiana. Fra il 1956 e il 1959 intervista per i Cahiers Howard Hawks, Joshua
Logan, Max Ophuls, Jean Renoir, Gene Kelly, Fritz Lang e Roberto Rossellini.
Nel 1956 l'autore firma il suo primo mediometraggio, Le coup du Berger (35
mm, 30') scritto a sei mani assieme a Chabrol, che collabora alla produzione, e Charles
Bitsch, che ne cura anche la fotografia; assistente alla regia è Jean-Marie Straub. Dal
punto di vista produttivo il film è un esempio brillante della “cooperatività” auspicata
dai giovani esordienti della Nouvelle Vague, di cui Rivette è uno dei più accesi
sostenitori (è lui ad avere l'idea della Cinéastes associés)14. L'anno successivo, inoltre,
l'autore compare come attore in Le Beau Serge, opera d'esordio di Chabrol.
Nel 1958 Rivette approda al suo primo lungometraggio, Paris nous appartient
(35 mm, 140', poi ridotto a 120' per la distribuzione in provincia), scritto nel 1957 in
collaborazione con Jean Gruault e prodotto da Claude Chabrol (AJYM) e François
Truffaut (Les Films du Carrosse): vi appaiono molti amici, fra cui Chabrol, Brialy,
Demy e Godard ― che in occhiali scuri e con piglio sfacciato e polemico interpreta
praticamente se stesso. L'iter produttivo del film è travagliato; i fondi arrivano a
singhiozzo, e l'opera uscirà a Parigi solamente nel 196115. Labirintico e percorso da uno
spirito leggero e giocoso, Paris nous appartient contiene già molti accenni alle
riflessioni che il regista svilupperà con più attenzione nei film immediatamente
successivi: la metropoli tramutata in un dedalo di inseguimenti e incastri, il nonsense, il
complotto, l'ironico farsi beffe della logica narrativa, il fiume debordante di citazioni più
o meno implicite (agli stilemi del cinema noir, alla letteratura, al teatro, alla politica
internazionale, alla vita metropolitana dei giovani parigini).
Nel 1960 Rivette scrive assieme a Jean Gruault il primo dei soggetti “fantasma”,
che non vedranno mai la luce: L'An II, ambientato nel 1793 e ispirato dalle Mémoires di
Madame de la Rochejaquelein16. L'idea non trova investitori:
13 Rivette, in Grignaffini, 2006: 170.
14 De Pascale, 2002: 35.
15 «[...] proceeded sporadically as funds periodically ran out [...] finally opened in Paris in Mid-
December 1961» Rosenbaum, 1977: 92. Il film è inoltre girato senza sonoro, aggiunto in post-
sincronizzazione nel 1959, quando Truffaut e Chabrol sono intervenuti come produttori (cfr.
Rosenbaum, 1977).
16 La sinossi di L'An II è stata pubblicata nel 2002 all'interno di Trois films fantômes de Jacques Rivette
7
J'ai été voir les deux ou trois producteurs que je connaissais, Braunberger,
Dauman, un ou deux débutants... ça a été le refus total, sans phrases: ils avaient
tous l'air de penser que c'était le projet le plus stupide qu'on leur ait jamais
présenté!17
Dal 1963 al 1965 l'autore diviene caporedattore dei Cahiers du cinéma, che
cerca di “emancipare” espandendo il raggio di interesse della rivista includendo
contributi “esterni” al mondo del cinema: nello stesso anno intervista Roland Barthes,
nel 1964 Pierre Boulez18 e Claude Lévy-Strauss. Del 1963 è inoltre la prima e unica
messa in scena teatrale firmata da Rivette; grazie a un finanziamento di Jean-Luc
Godard, l'autore propone un adattamento (scritto in collaborazione con Jean Gruault) di
La religieuse di Diderot, al Théâtre du Studio des Champs Elysées diretto da Antoine
Bourseiller19.
Lo stesso adattamento viene modificato e trasformato nella sceneggiatura del
secondo lungometraggio del regista, Suzanne Simonin, La Religieuse de Denis Diderot,
girato nel 1965 (35 mm, 135'). La pellicola, prima incursione rivettiana nell'ambito
religioso, vive un'uscita travagliata: il 22 marzo del 1966 il film viene ritenuto idoneo
dalla Commissione di Controllo, ma undici giorni dopo il segretario di Stato al
Ministero dell'Informazione Yvon Bourges revoca il permesso, vietandone la
distribuzione in Francia e l'esportazione all'estero. Si scatena una reazione violenta da
parte dei cineasti e degli intellettuali francesi (celebre la veemente risposta di Godard al
ministro Malraux pubblicata su Le Nouvel Observateur il 6 aprile 1966)20 e il film
(cfr. Frappat, Rivette, 2002).
17 Frappat, Rivette, 2002: 10.
18 Nel documentario Léaud l'unique (2001, Serge Le Péron) Jean-Pierre Léaud, parlando della redazione
dei Cahiers negli anni Sessanta, ricorda la sua iniziazione alla musica di Boulez: «Moi, j'avais
quatorze ans [...] il y avait Rivette, qui venait d'écouter des concerts de Boulez, et qui voulait... qui
m'emmenait aux concerts de Boulez, à l'époque, c'est Rivette qui m'a emmené aux concerts de Boulez!
[...] et bon, Boulez dirigeait, il y a trente ou quarante ans, et alors il y avait Rivette qui me disait:
“Ecoute... c'est du Bresson!”».
19 Aprà (a cura di), 1974: 6.
20 «Se non fosse prodigiosamente sinistro, sarebbe prodigiosamente bello e commovente vedere un
ministro U.N.R: del 1966 aver paura di uno spirito enciclopedico del 1789 [...] Lei ha le mani pure del
kantismo. Ma esso non ha più mani, diceva Péguy. Cieco dunque, e senza mani, appena i piedi per
fuggire dalla realtà, vigliacco in una parola, o forse più semplicemente debole, vecchio e stanco, che
fa lo stesso.» Lettera riportata in Aprà (a cura di), 1974: 8.
8
ottiene infine il visto per essere proiettato al Festival di Cannes nel maggio 1966.
Suzanne Simonin è impregnato del fascino profondo che la religione cattolica
esercita su Rivette, e soprattutto del fascino che sul regista esercitano le “Sante” che
popolano sia l'iconografia cristiana sia la letteratura laica. Suzanne Simonin (Anna
Karina) vive un'epopea straziante, mistica e solitaria, di isolamento e di fuga; mandata
in convento dalla famiglia, che si trova in condizioni finanziarie precarie, passa da un
Istituto all'altro, subendo soprusi e isolamenti che la spingono all'esaurimento nervoso;
fuggita dalla vita conventuale, Suzanne non trova comunque un posto nel mondo e non
riesce ad adattarsi alla vita erratica e solitaria cui sembra costantemente costretta. Il film
si avvia alla sola chiusura possibile: Suzanne si getta dalla finestra di un palazzo,
durante una festa, cadendo al suolo con le braccia aperte.
Nel 1966 Rivette gira Jean Renoir le Patron (264') documentario in tre parti
incluso nella serie televisiva prodotta dalla O.R.T.F. Cinéastes de notre temps (curata da
André Labarthe e Janine Bazin); il montaggio è firmato da Jean Eustache. La sua
attività critica, nel frattempo, inizia a ridursi: dal 1965 al 1969, anno del suo ultimo
intervento sui Cahiers du cinéma (un'intervista a Marguerite Duras pubblicata sul
n.207) Rivette firma solamente quindici articoli.
Nel 1969 l'autore gira L'Amour Fou (16 e 35 mm, 250'), sceneggiato in
collaborazione con Marilù Parolini e prodotto da Georges de Beauregard. Vengono alla
luce i primi accenni alle sperimentazioni le cui fila il regista dipanerà nel decennio
successivo, centrati soprattutto sul rapporto fra realtà e finzione, e su una critica alle
strutture narrative tradizionali. Interpretato da Jean-Pierre Kalfon, Bulle Ogier e
Michèle Moretti (queste ultime parte dell’affiatata famille Rivette, il gruppo di attori che
seguirà Rivette in buona parte dei progetti futuri), L'Amour Fou è il racconto di una
crisi, sviluppata in un tempo relativamente breve (tre settimane) che penetra endemica
nella vita dei protagonisti: Sebastien (Kalfon) è un regista che lavora su un nuovo
approccio all’Andromaque di Racine, seguito da una troupe televisiva che riprende il
lavoro (il film è infatti girato con due pellicole di diverso formato). La moglie del
regista, Claire (Ogier) mal sopporta lo stato di tensione durante le prove, causato sia
della presenza dei cineasti sia della stessa riflessione sul testo, che porta nella pratica a
ricerche e sperimentazioni per lei difficili da sostenere. Sebastien decide di sostituirla
9