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un’organizzazione può effettuare un cambiamento volto ad una maggiore
efficienza produttiva, una riduzione dell’organico, un miglioramento
dell’ambiente di lavoro, una struttura organizzativa di tipo orizzontale e più
snella di quella tradizionale, è solo un tipo di intervento possibile, senza
dimenticare che ne esistono altri, e che la realtà economica presenta casi in cui
l’effettivo utilizzo dei team-work in azienda ha prodotto risultati spesso
contrastanti.
Questo studio non ha l’ambizione di trovare una o più spiegazioni in grado di
fare emergere sotto quali condizioni un gruppo di lavoro può effettivamente
costituire uno strumento adeguato a rispondere alle maggiori esigenze di
flessibilità e dinamicità richieste dalle imprese, desidera solo essere un
contributo per una migliore comprensione delle dinamiche interne ad un
gruppo di lavoro, facendo emergere gli elementi più significativi, analizzando
la relazione tra più variabili, l’influenza reciproca e quella sull’efficienza di
gruppo, rendendo più semplice quello che senza dubbio è un argomento
complesso.
Una seconda finalità di questo lavoro, consiste nel rivalutare il “gruppo” come
strumento in grado di adattare le dimensioni sempre maggiori delle imprese,
spesso multinazionali supportate da strumenti tecnologici ed informatici
sempre più avanzati che riducono la comunicazione diretta, ad uno spazio
limitato, più consono a soddisfare le esigenze individuali di relazione e di
realizzazione dei singoli agenti, seppure all’interno della complessità
d’impresa.
Un particolare rilievo è stato attribuito alla tecnologia applicata al processo
informativo, che in ogni caso non può mai sostituire completamente le abilità e
le capacità umane, poiché sarà sempre presente qualche forma di conoscenza
tacita e non programmabile, utile a livello operativo, in grado di essere
impiegata efficacemente con il sostegno delle moderne tecnologie, ma senza la
possibilità che queste ultime sostituiscano gli individui. Perfino i più sofisticati
sistemi di coordinamento non sarebbero in grado di far fronte a tutti i possibili
eventi, in questo modo ci sarà sempre bisogno delle abilità e delle capacità di
discernimento dell’uomo, infatti, solo dando il giusto valore all’elemento
3
umano, è possibile trovare un modo per impiegare in maniera efficiente la
moderna tecnologia.
Lo stesso discorso vale per le risorse finanziarie, quale elemento senza dubbio
indispensabile nei processi produttivi di qualsiasi azienda, ma spesso impiegato
in investimenti esterni in grado di migliorare la produttività d’impresa, e
dimenticato come possibile investimento in attività umane, inteso come
processo di apprendimento e sviluppo di idee, creatività, conoscenze, abilità ed
ingegno. Tutte queste caratteristiche fanno parte dell’elemento umano, in
questo senso, la maggiore ricchezza che un’impresa possiede sta proprio nelle
persone che la compongono, per questo motivo, prima di impiegare risorse
nell’acquisire mezzi esterni per competere sul mercato, credo sia necessario
riflettere su quell’enorme potenziale composto dalle risorse umane che, tra
l’altro sono già remunerate dall’impresa, e spesso non sono considerate come
fonti di valore presenti nell’organico e sotto-utilizzate, né sono sostenute
attraverso investimenti volti alla formazione, all’apprendimento continuo, allo
sviluppo di nuove conoscenze e competenze.
In questo senso, lo studio che segue non può limitarsi ad un’analisi economica,
seppur approfondita, poiché il termine stesso: “gruppo di lavoro” individua una
rilevanza significativa dell’aspetto sociale, da cui non è possibile prescindere
poiché costituisce (potenzialmente) il valore aggiunto che un gruppo di lavoro
possiede rispetto alla singola somma dei contributi individuali.
Una particolarità di questo studio è il suo ambito di applicazione: i gruppi di
lavoro, oltre a costituire una modalità di cambiamento organizzativo per
imprese che competono a livello internazionale, può essere adottato come
modalità di intervento riferita a realtà aziendali che operano in ambito locale,
di dimensioni ridotte, in cui non necessitano meccanismi molto articolati di
coordinamento dell’azione collettiva, di incentivazione o di controllo
(analizzati in questo studio), ma possono attingere la filosofia alla base dello
sviluppo dell’attività nei gruppi di lavoro: la cooperazione.
Un’ultima caratteristica è data dalla natura del gruppo di lavoro, in grado di
fare emergere l’importanza attribuita ad una molteplicità di discipline; questo
studio, infatti, costituisce un ambito in cui è facile individuare la rilevanza di
una buona integrazione tra discipline diverse, quali la sociologia in grado di
4
fare emergere aspetti importanti delle relazioni tra membri del gruppo, la
psicologia del lavoro per ciò che riguarda l’influenza delle caratteristiche
individuali sulla coesione e sul risultato di gruppo e l’economia per un’analisi
in grado di motivare formalmente i risultati cui si perviene, di fornire strumenti
e criteri di riferimento per la misurazione delle performance e la valutazione di
un’effettiva efficienza ed adeguatezza del lavoro di gruppo alle esigenze
applicative interne ad un’impresa. Tutto questo, senza dimenticare i vari
contributi che ogni disciplina apporta in termini di meccanismi di
coordinamento, di incentivazione, di orientamento di interessi individuali e
collettivi, di integrazione in realtà economiche molto differenti tra loro.
Il lavoro è strutturato in quattro capitoli, in cui è possibile riconoscere due tipi
di analisi: una rivolta strettamente ai meccanismi interni al gruppo, ed una in
cui emerge il rapporto tra il gruppo e l’organizzazione in cui opera. In questo
senso è possibile individuare nel secondo e terzo capitolo uno studio
focalizzato sull’analisi delle relazioni ed interdipendenze interne al gruppo,
mentre, il primo e quarto capitolo svolgono una funzione che è possibile
definire di raccordo tra il gruppo ed il sistema-impresa in cui l’attività dei
singoli deve trovare integrazione.
Un’altra caratteristica sul modo con cui si è svolta l’analisi avente per oggetto
il lavoro di gruppo, è costituita dal procedimento seguito per esporre gli
argomenti: i capitoli presentano un approccio sistematico in cui di ogni
argomento è analizzato sia l’aspetto strettamente economico, sia quello legato
alla sfera dei rapporti sociali (per ciò che riguarda il gruppo) o ad aspetti
strettamente individuali (se riferiti singolarmente agli agenti).
Nel primo capitolo si trova una definizione ed un’analisi di gruppo in termini
economico-sociologici, al fine di individuare le origini su cui si fonda il
processo di formazione che spinge gli individui ad aggregarsi tra loro.
Quest’approccio è utile per una comprensione degli elementi caratteristici a
tutti i gruppi, quindi a definire i fondamenti psicologici individuali e collettivi
(sotto quali spinte un individuo è portato ad associarsi, quali sono le aspettative
ed il significato del legame che relaziona ogni singolo individuo agli altri) che
stanno alla base di un gruppo, individuando ed analizzando gli elementi
5
fondamentali - bisogno, interazione, senso di appartenenza, identità - quali
condizioni essenziali affinché ogni singolo individuo possa essere qualificato
come “membro” di un gruppo.
Lo studio, in seguito, procede verso ciò che costituisce l’oggetto di questa tesi,
rivestendo di connotati economici la definizione di gruppo e i suoi elementi
essenziali; per un’analisi più approfondita ci si è riferiti al modello tratto da
Aoki (1984), in grado di identificare e definire in maniera formale delle “regole
del gioco” in cui circoscrivere le azioni ed i comportamenti di ogni agente
all’interno di un gruppo di lavoro, attraverso una rappresentazione in cui
l’impresa appare come istituzione preposta a definire tali regole.
In quest’analisi è emerso il valore e l’importanza delle norme istituzionali e
culturali, quali vincoli che l’impresa adotta affinché sia possibile sostenere un
processo basato sull’accordo spontaneo tra gli agenti, e al contempo rivestono
un ruolo di coordinamento tra gli obiettivi perseguiti dall’azienda e quelli del
gruppo di lavoro.
Il modello adottato, definisce quindi una struttura e dei confini ben precisa in
cui avviene il processo di interazione tra i membri di un gruppo, evidenziando
attraverso uno schema rappresentativo di fasi logiche sequenziali, tre elementi:
la complessità, la dinamica e la natura del legame che unisce gli agenti.
Il termine “complessità” vuole identificare il rapporto di interdipendenza tra le
azioni e scelte di comportamenti che ogni agente può adottare, queste scelte,
per quanto limitate da vincoli normativi (che definiscono ciò che è condiviso e
che unisce il gruppo), prevedono un certo grado di discrezionalità concessa ad
ogni individuo, e proprio in questa discrezionalità emerge il confronto tra
soggetti con idee, percezioni, competenze differenti, con le relative
problematiche che si sviluppano quando il confronto porta a contrasti tra i
partecipanti.
Con il termine “dinamiche interne”, si vuole evidenziare la caratteristica per
cui un gruppo non è mai stabile nel tempo, ma in continua evoluzione e
sviluppo, questo comporta che la realizzazione di un progetto comune
all’interno di un gruppo presenterà un problema di ricerca e mantenimento di
un equilibrio (problema caratteristico della fase relativa al processo
decisionale).
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Infine, la comprensione della natura del tipo di legame che unisce i membri di
un gruppo di lavoro: la cooperazione. L’accordo spontaneo, raggiunto e
mantenuto grazie alla struttura di vincoli normativi dati dall’impresa, è basato
su una forma di patto o di accordo che ha come fine la ripartizione equa dei
profitti derivanti dalla collaborazione.
Il secondo capitolo affronta le problematiche legate a possibili comportamenti
opportunistici da parte di uno o più membri di un gruppo di lavoro, ed al
verificarsi di possibili conflitti tra esigenze di autonomia e necessità di
controllo. Sono descritti in termini formali due problemi che possono causare
inefficienza all’interno di un gruppo di lavoro, il moral hazard (forma di
opportunismo post-contrattuale che può presentarsi in caso di compiti
individuali non osservabili) ed il free-riding (legato alla difficoltà di
individuare chi si è sottratto agli impegni contrattuali). Queste problematiche
legate a comportamenti sleali, difficilmente individuabili e sanzionabili è
affrontato con l’utilizzo di due modelli, entrambi volti a trovare delle possibili
soluzioni, ma attraverso l’utilizzo di due approcci differenti. I due modelli
servono da riferimento, in particolare entrambe propongono una soluzione
basata su un meccanismo di incentivazione, il primo modello (Holmstrom
1982) si basa su una logica di tipo economico punitivo, che si sviluppa su un
tipo di coesione basata sul compito.
Un secondo modello (Lazear E.1992) affronta la medesima problematica
analizzando l’impatto economico derivante da fattori emotivi presenti
internamente ad un gruppo di lavoro, fornendo un’utile applicazione di
intervento su tali fattori per influenzare il risultato di gruppo. La ricerca di
meccanismi di incentivazione in grado di far fronte alle potenzialità
opportunistiche, sono ricercati nella struttura emotiva individuale degli agenti
che compongono un team. Sentimenti quali la vergogna ed il senso di colpa
rivestono un ruolo fondamentale in quest’approccio e fanno emergere
l’importanza della struttura cognitiva individuale, come grado di sensibilità di
ogni agente al rapporto interpersonale, per questo si può considerare lo
sviluppo del modello basato su coesione interpersonale. La medesima analisi, è
proposta come modalità di controllo affidata ai singoli membri che
compongono il gruppo di lavoro, e non ad autorità esterne, una forma di
7
controllo reciproco che evidenzia una modifica sostanziale presente nei gruppi
rispetto alle tradizionali forme di controllo aziendali, in cui la funzione svolta
tradizionalmente dal potere (in termini di autorità e controllo), viene affidata
alle competenze (capacità di valutazione) di soggetti “pari” ed al processo
informativo basato sull’osservazione diretta.
Tra i due modelli che illustrano due differenti modalità di incentivazione
integrabili tra loro ai fini applicativi, è presente un paragrafo sull’equità
retributiva, considerata un principio base nell’attività di gruppo. Infatti i vari
schemi proposti si riferiscono a premi o punizioni, sia economici che di altra
natura, che hanno la funzione di coordinare le scelte individuali ed incentivare
azioni e comportamenti di tipo cooperativo; questo processo di orientamento,
fondamentale per lo sviluppo di un gruppo di lavoro, deve rientrare in un
criterio generale di equità, in questo caso retributiva, quale principio
sostanziale su cui successivamente possono essere integrate varie forme
motivazionali.
Il terzo capitolo si occupa di un altro problema tipico dei gruppi di lavoro: il
processo decisionale. Questo argomento è stato sviluppato intorno all’elemento
“sistema informativo”, come strumento utilizzato per recepire informazioni
dall’ambiente esterno e indirizzare i flussi informativi all’interno di un’unità di
lavoro; si è adottato quindi, come mezzo attraverso il quale relazionare i
membri di un gruppo tra loro, e al sistema ambientale, in cui operano. Si è
cercato di analizzare l’efficienza del sistema adottato in relazione ad una sua
applicazione al processo decisionale, evidenziando alcune variabili, quali: la
tecnologia e la struttura d’impresa in cui il gruppo è inserito, al fine di
comprendere in che modo ed in quale misura queste due variabili possono
influenzare il processo decisionale interno al gruppo. In particolare sono
emerse due strutture, una di tipo gerarchico integrate e l’altra di tipo
“reticolare”, supportate dai relativi sistemi informativi che sono state ritenute
molto interessanti per il differente impatto sul processo decisionale interno al
gruppo.
L’analisi seguente si è quindi articolata sulla base di queste due strutture
organizzative, valutando la loro efficacia relativamente a sistemi ambientali
diversi ed al compito che un’unità di lavoro è chiamata a svolgere. In questo
8
studio si è utilizzata la correlazione statistica come strumento in grado di
evidenziare, la relazione esistente tra sistemi ambientali differenti e tra i
compiti svolti in termini di complementarità o sostituibilità.
Questo capitolo si è considerato particolarmente utile per comprendere le
relazioni esistenti tra più variabili e l’influenza di queste nella scelta di un
preciso sistema decisionale; l’interesse è dato dalla possibilità di un’analisi che
non si limita ad evidenziare il rapporto tra un singolo elemento considerato
variabile all’interno di un modello statico, ma alla caratteristica di fare
emergere l’interrelazione esistente tra un insieme di combinazioni di elementi
diversi e modificabili che concorrono a costituire modelli adattabili a varie
realtà organizzative.
Un’ultima considerazione sulla modalità con cui si è affrontato il capitolo, è
data dal fatto che, uno studio così articolato su variabili economiche trascura,
per necessità, l’elemento umano, dovendo scindere in attributi la complessità
individuale; in questo caso si è trascurato l’elemento psicologico individuale,
privilegiando l’aspetto conoscitivo, basato sulle capacità, competenze e
conoscenze in relazione al compito.
Nel quarto capitolo si cerca si colmare la lacuna precedente, dando rilievo
all’aspetto psicologico individuale, quale elemento fondamentale affinché sia
possibile una buona integrazione del gruppo, e quindi dei singoli agenti
all’interno di un’impresa.
Questo capitolo riporta lo studio dei gruppi di lavoro, all’interno della
dimensione naturale in cui operano, ossia il contesto organizzativo ed
economico dell’impresa.
Sono ripresi alcuni concetti espressi nel primo capitolo, in cui ci si riferiva
all’impresa come istituzione, cui era preposta la funzione di determinare una
cornice di regole normative e di valori (norme culturali), in grado di vincolare
le azioni ed i comportamenti dei singoli agenti all’interno di precisi limiti che
consentissero loro di trovare un equilibrio spontaneo basato su un patto di
natura cooperativa.
Nel quarto capitolo si analizza la cultura d’impresa, indicata come fondamento
essenziale di coordinazione implicita, ma che, a differenza dei meccanismi
espliciti, risultava un concetto vago e impreciso, limitato alle indicazioni
9
generiche precedentemente fornite. Restava anche un problema irrisolto, legato
alla possibilità che si verificassero casi, nella realtà aziendale, in cui un gruppo
di lavoro fosse efficiente, ma tale efficienza non venisse trasmessa all’impresa
in cui operava, quindi si presentava un possibile problema legato ad
inefficienze nel processo di coordinamento tra obiettivi di gruppo e d’impresa.
L’analisi della cultura d’impresa si è sviluppata in riferimento ad un modello
proposto da Kreps D. (1990), in cui si è assunta la reputazione, come elemento
rappresentativo della dimensione culturale d’impresa, su cui si fonda la quota
intangibile di strategia, difficilmente codificabile e trasferibile in termini
contrattuali.
La reputazione di un’impresa, in questo studio, è il mezzo attraverso il quale
l’impresa riesce a trasmettere e diffondere, sia internamente (alla propria
organizzazione) sia esternamente (al mercato), la densità e la continuità dei
valori ideologici, morali, ed etici che la compongono. Questi valori sono
considerati requisiti fondamentali che ogni agente deve possedere, affinché
possa partecipare in modo continuativo, stabile, e costruttivo alla vita
d’impresa.
Un’ultima analisi formale si riferisce ai costi, in termini di comunicazione, e ai
benefici apportati dalle diversità individuali. Il modello utilizzato (Lazear
1999) è molto interessante poiché formulato in modo tale da poter interpretare
le diversità come derivanti da natura conoscitiva o culturale, facendo emergere,
contemporaneamente la complessità di doti apportata dalla diversità (intesa in
entrambe le asserzioni), senza dimenticare il conseguente incremento dei costi
(relativi a comunicazione, coordinamento e conflitti interni).
Per concludere vorrei citare una frase di Merton (1949) “…ogni modo di
vedere è anche un modo di non vedere”: perché l’individualità soggettiva sia
considerata come una ricchezza da salvaguardare anziché un limite, senza
dimenticare l’importanza di sapere volgere lo sguardo con comprensione e
interesse verso ciò che resta oltre il confine delle nostre percezioni, affinché
l’argomento trattato in questa tesi mantenga una valenza propositiva non solo
in ambito strettamente economico.
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Capitolo 1
TEORIE SOCIALI E MODELLI ORGANIZZATIVI NELLA
FORMAZIONE DI GRUPPI DI LAVORO
1.1 Struttura sociale nei gruppi
Per comprendere le dinamiche interne ai team-work è importante capire cosa
spinge due o più individui ad associarsi, a condividere le proprie abilità,
capacità e conoscenze; sotto quale stimolo, singoli individui sono disposti ad
aggregarsi ed a formare un gruppo di lavoro?
Prima di analizzare i fattori che determinano ed influenzano una realtà
economica così complessa, è necessario capire la struttura comportamentale
alla base della quale si forma un qualsiasi tipo di associazione tra due o più
persone; in questa concezione, il “gruppo” cui si fa riferimento non possiede
ancora le caratteristiche di attività economica che saranno studiate in seguito.
Ciò che si vuole indagare è prima di tutto l’aspetto sociale
1
per il quale un
individuo sia disposto a stringere un patto, un’alleanza con altri individui al
fine di unirsi in un gruppo, una classe, o categoria, sia esso costituito da
familiari (nucleo essenziale di ogni società), da un gruppo di amici, da
associazioni sportive, culturali, religiose, forme societarie con o senza scopo di
lucro, istituzioni sociali.
Consideriamo quella che oggi è definita “collettività”, ossia un insieme di
persone, molto vasto rispetto ai gruppi che analizzeremo in seguito, ma che può
fornirci un aiuto nel chiarire la motivazione principale alla base della
formazione di gruppi.
La collettività può essere definita come un esempio di “struttura sociale”,
composta da un insieme di individui che condividono valori comuni, tale
struttura è caratterizzata dall’acquisizione di sentimenti di solidarietà reciproci
e da un costante senso di obbligazione morale a soddisfare le aspettative
derivanti dal ruolo svolto all’interno della collettività.
La rinuncia parziale alla propria individualità, associata allo sforzo (valutato
diversamente da ogni singolo individuo) di doversi conformare ad una struttura
1
“Fondamenti di sociologia” di Anthony Giddens, Il Mulini ed. 2000
11
sociale che richiede una determinata condotta, quindi il riconoscimento di
norme e convenzioni che la regolano, risulta senza dubbio molto gravoso per
chiunque; quali sono le motivazioni alla base di tale rinuncia, e quali le
aspettative?
Solo la constatazione dell’impossibilità a soddisfare in modo autonomo quei
bisogni essenziali quali la sicurezza, bisogni sociali, affettivi, di relazione e di
appartenenza ad una comunità con norme, valori, credenze e consuetudini
simili in cui riconoscersi - insieme all’intollerabilità a rinunciarvi, può portare
una singola persona a limitare parte della propria individualità a favore di altri,
nel caso considerato, della collettività, al fine di assicurarsi quelle che abbiamo
definito: esigenze primarie.
La consapevolezza di questo “bisogno” può quindi essere considerato
l’elemento fondamentale che porta due o più individui ad unirsi per formare un
gruppo.
Le comunità costituiscono un sottogruppo della collettività, in cui, ai
sentimenti di condivisione di valori fondamentali, si associano patti di
cooperazione per raggiungere un fine comune che, altrimenti, sarebbe molto
difficile, o impossibile ottenere singolarmente.
Alla base della formazione di gruppi, possiamo quindi assumere il
riconoscimento implicito per ogni singolo individuo della propria limitatezza,
della mancanza di autosufficienza per soddisfare i propri bisogni o obiettivi, di
qualsiasi natura siano.
Dopo quest’analisi sommaria, su ciò che spinge gli individui ad aggregarsi, ora
è necessario un modello in grado di fornire una definizione più precisa di
gruppo, ed in particolare che renda possibile un’analisi dettagliata delle
caratteristiche comuni a diversi tipi di gruppi.
Il modello proposto da Merton
2
identifica un generico gruppo, come “un
insieme di persone che interagiscono secondo determinati modelli, che provano
sentimenti di appartenenza nei confronti del gruppo, e che vengono considerati
membri dello stesso gruppo, sia da parte degli altri componenti, sia da soggetti
esterni”.
2
“Teoria e struttura sociale” di Robert Merton; Il Mulino ed. 2000, vol. 2 “Studi sulla struttura
sociale e culturale”
12
Da questa definizione si possono ricavare un primo elemento che caratterizza
ciò che costituisce un gruppo, approfondendo il significato di “interazione
strutturata da modelli”.
L’interazione tra due o più soggetti, in ambito sia sociologico sia economico,
presuppone che le decisioni, il comportamento, le scelte dell’uno influenzino
quelle degli altri membri del gruppo e viceversa. L’interazione fa riferimento
ad uno scambio, diretto o indiretto, attraverso la comunicazione o, in assenza
con l’utilizzo di comportamenti abituali, rituali che assumono un preciso
significato per i membri di un medesimo gruppo. Perché tale interazione sia
definita “strutturata” è necessario qualcosa in grado di regolare, ordinare i
comportamenti in una precisa direzione.
Possiamo identificare una struttura, come mappa sulla quale più soggetti
interagiscono tra loro, attraverso un percorso costituito da consuetudini, norme
di comportamento, codici identificativi del gruppo, credenze, rituali.
Tale struttura può assumere forme diverse, la differenziazione proposta da
Merton verte sulla natura del modello di interazione, che può risultare di tipo
istituzionale o culturale.
La distinzione principale tra i due tipi di strutture sociali, è da ricercarsi nel
livello su cui influiscono sul comportamento degli individui, in particolare: le
norme istituzionali indirizzano i comportamenti degli individui verso
procedimenti ordinati a priori, prescrivono comportamenti specifici e azioni da
eseguire, possono essere state formulate per ottenere un risultato ma non
raggiungerlo.
Nei modelli basati su norme culturali, ciò che costituisce il fulcro dell’intera
struttura sociale, possiede natura ideologica, i comportamenti e le azioni dei
singoli membri di un gruppo sono valutati con criteri di ordine morale, etico.
Sono i singoli membri di un gruppo a definire il proprio modello culturale,
basato sulla condivisione dei valori, criteri di giudizio e mete comuni, tali
norme influiscono sull’emotività degli individui, sono orientate, non ai
procedimenti ma allo scopo comune, sono quindi flessibili dal punto di vista
pratico dello svolgimento di singole azioni.
13
Certamente, ogni insieme di individui, possiede uno specifico modello di
attività e di interazione, che definisce in modo preciso i confini del gruppo con
l’esterno.
L’importanza rivestita da tutto ciò che è estraneo al gruppo rafforza un’altra
caratteristica fondamentale quale il “senso di appartenenza”.
Al fine di stabilire l’appartenenza ad un gruppo, è necessario identificare dei
criteri oggettivi cui riferirsi per decidere quando un individuo appartiene ad un
gruppo. L’appartenenza dei singoli soggetti ad una medesima classe, si traduce
in una serie di comportamenti e attività svolte per riaffermare il proprio ruolo, e
per rinsaldare i legami che uniscono reciprocamente i membri.
Uno dei criteri per valutare l’appartenenza è da ricercarsi nel fattore “tempo” in
cui le attività sono svolte, ossia nella frequenza dell’interazione tra i soggetti e
nella durata del rapporto, quest’ultimo inteso come arco temporale in cui
persistono le azioni.
Un secondo criterio di appartenenza è individuato nel fatto che gli individui si
percepiscono come “membri” di un’entità comune, e come tali, hanno delle
aspettative definite, circa i comportamenti ammessi all’interno del gruppo o
considerati moralmente proibiti. Uno stesso comportamento, attuato da un
soggetto estraneo al gruppo, non è valutato negli stessi termini, in riferimento
ai principi adottati nel giudizio.
Quest’ultima considerazione indica, come, nel modello proposto da Merton,
anche l’ambiente esterno riveste un ruolo importante, secondo il quale, i
membri di un gruppo vengono percepiti come tali anche dall’esterno, è
attraverso questa percezione che il gruppo acquisisce un’identità propria.
Nel momento in cui vi è una situazione di conflitto con l’ambiente esterno, di
difficoltà o crisi, il gruppo si rivela nel suo massimo grado di coesione interna,
apparendo come un’unica entità, il cui destino di ogni singolo membro
coincide con quello del gruppo.
Spesso, il gruppo, è considerato come un’entità comune e superiore, questa
caratteristica è evidente ogni volta che ci si trova a prendere delle decisioni, è
in questi casi che l’interesse comune assume maggiore importanza rispetto agli
interessi individuali: il gruppo può allora essere considerato come organismo
dotato di una propria identità.
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L’identità è intesa come insieme coerente di assunti e valori fondamentali che
distinguono un particolare gruppo. Gli assunti costituiscono la struttura
normativa da cui non si può prescindere, affinché sia chiaramente definito un
insieme di comportamenti che i singoli membri possono adottare nel perseguire
il fine comune. I valori fondamentali necessitano di apprendimento e di
educazione dei singoli individui ad un modo di pensare comune, tale da
percepirsi non più come singoli ma come gruppo.
Le caratteristiche appena esposte – struttura di interazione, il senso di
appartenenza, l’identità – sono comuni a una grande varietà di gruppi.
Una possibile distinzione, particolarmente adatta allo studio che ci si appresta
ad esaminare, differenzia i gruppi in primari e secondari, in base al tipo di
legame esistente tra i membri.
Il legame costituisce l’origine da cui scaturisce il gruppo, le caratteristiche
comuni descritte sopra, assumono una particolare struttura dipendente dalla
relazione esistente tra i membri del gruppo, vantaggi e problematiche sono
differenti in base al legame.
¾ Gruppi primari e gruppi secondari
Per “gruppo primario” si considera un piccolo numero di persone che
interagiscono direttamente, in rapporti che si possono definire “personali”,
coinvolgendo l’aspetto psicologico della loro individualità. La dimensione
ridotta del gruppo è un elemento essenziale, in quanto pone le condizioni
affinché l’interazione tra i membri sia diretta, questo rende possibile la
formazione di legami stretti e personali.
Il termine gruppo primario è stato applicato la prima volta nell’indicare la
famiglia, ossia il nucleo alla base di ogni società, i cui membri sono legati tra
loro da rapporti affettivi molto stretti, ciò che i sociologi definiscono “forti
vincoli emotivi”. In seguito la terminologia ha acquisito un valore meno
restrittivo, ed ora è applicata per indicare un qualsiasi gruppo la cui
caratteristica dominante sia rappresentata da stretti legami personali.